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Da "Umanità Nova" n.7 del 28 febbraio 1999

Sciopero dei metalmeccanici. In piazza le tute blu

Ufficialmente, stando ai sindacati confederali, la partita che si sta giocando riguarda il rinnovo del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici e dunque la trattativa in corso con i padroni della Federmeccanica, che ha al centro una piattaforma rivendicativa talmente morbida, per ammissione delle stesse Fim, Fiom, Uilm, da apparire praticamente inesistente: A raccontarlo in questo modo, lo sciopero delle 100 mila tute blu italiane di giovedì 18 febbraio, parrebbe una semplice azione dimostrativa di routine, necessaria per una sorta di tacito gioco delle parti tra sindacati e padronato, prima di firmare il contratto. In realtà, il copione sindacale, che deve tener conto però delle differenze esistenti nelle medesime organizzazioni confederali (la Fiom di Giorgio Cremaschi non è uguale a quella di Cesare Damiano, per esempio, o a certa Fim e alla Uilm), non sembra giustificare, in un curioso periodo di così scarsa seduzione sindacale, la combattività espressa da una buona parte di quei 100 mila scesi nelle piazze.

Fare di tutta l'erba un fascio, dire che tutto si equivale nelle lotte decise dal sindacalismo di stato, non solo è sbagliato, ma denota pure corte vedute. Perché bastava stare con le operaie e gli operai, il 18 febbraio, captare gli umori e ascoltare le storie individuali e collettive, per rendersi conto che il ritorno dei metalmeccanici in piazza può assumere ben altri significati rispetto al misero contratto e a quanto vanno predicando i confederali. Si può dire, insomma, che i sentimenti che hanno spinto migliaia di lavoratrici e lavoratori a scioperare, e a bloccare da qualche settimana gli straordinari nelle fabbriche, svelano la vera disperata posta in gioco: la resistenza operaia al dominio assoluto che vuole il padronato nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro, trovando alleati preziosi nel governo di centro - sinistra ormai più liberista dei liberisti stessi.

In assenza di azione e soprattutto di pensiero da parte del sindacalismo di base, incapace di unirsi e di mobilitare i lavoratori su obiettivi pratici e immediati, operaie e operai d'Italia interpretano a modo loro questi primi embrioni di lotta. Colgono l'occasione del contratto per andar in qualche maniera oltre, o almeno tentare di farlo: da quelli della Pininfarina, l'azienda del presidente di Federmeccanica ai giovani neo-assunti della Fiat, dalle fabbriche del sud ai 1200 dell'Op Computer di Ivrea che stanno per perdere il lavoro grazie a De Benedetti, all'Olivetti in scalata verso Telecom e a D'Alema, il Baffino di Palazzo Chigi che progetta nuovi scenari per forgiare un presunto capitalismo "sano" e produttivo contro i vecchi poteri forti di Fiat e soci.

Il diffuso sentire operaio: l'avvertire che se non si costruisce adesso un fronte di resistenza all'assalto padronale a ogni diritto, si potrà esprimere in forme confuse, contraddittorie, lacunose, però si esprime. Non sono stati d'animo astratti, ma molto concreti. Quelli dell'Op Computer, ex aristocrazia operaia che votava tutta a sinistra, assicurano che, dopo aver vissuto sulla loro pelle il dramma e l'abbandono di questi mesi, non andranno più a votare. E' solo un esmpio, certo, e non sarà neanche di straordinario impatto rivoluzionario. Eppure è qualcosa, qualcosa che si muove. Le tute blu sono tornate in piazza, cerchiamo di farcele restare a lungo.

Enne



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