Da "Umanità Nova" n.7 del 28 febbraio 1999
Legge elettorale
Fra referendum e vecchi merletti
Abbiamo già avuto modo di rilevare su queste pagine come il sistema dei
partiti che si è disegnato con la seconda repubblica sia in relazione
con quello della prima per alcuni elementi di continuità e per delle
significative discontinuità.
È proseguito il processo di svuotamento del partito di massa
novecentesco che era ormai evidente negli anni `80 con l'effetto di avere un
numero crescente di partiti ridotti a comitati elettorali sempre più
spesso legati a singoli leaders o aggregati di leaders.
È proseguita la frantumazione degli aggregati partitici che, in luogo di
ridursi a due o tre, crescono in maniera assolutamente impressionante sia a
livello nazionale che locale.
Questi elementi di continuità e, anzi, di accelerazione delle derive
già evidenti in precedenza si accompagna alla disaffezione per la
politica parlamentare da parte di una quota crescente della popolazione con la
conseguente crescita dell'astensione elettorale anche nelle zone ove sono forti
soggetti politici apparentemente vivaci e tali da suscitare consensi e
repulsioni forti come quelle del nord est nelle quali sarebbe lecito attendersi
uno schierarsi dell'elettorato a favore o contro la Lega Nord.
Ritengo, nello stesso tempo, che le derive alle quali si è fatto
riferimento abbiano determinato un modificarsi sostanziale della forma partito
che sarà bene riassumere nelle sue linee essenziali.
Il partito di massa novecentesco nasceva dalla sintesi fra la burocratizzazione
della vita collettiva, l'integrazione nella dialettica elettorale dei diversi
movimenti popolari, il definirsi di culture politiche, di maggiore o minore
rilievo, presenti nella società. In altri termini, pur essendo uno
strumento di integrazione sociale e di sottomissione delle classi subalterne
alle regole del gioco dominante, si trattava di istituzioni dotate di un
effettivo discorso politico, legate ad un'idea di società ed allo
schierarsi netto su questioni significative. Era, quindi, ragionevolmente
chiaro in cosa si distinguesse un comunista da un democristiano, un
repubblicano da un fascista, un liberale da un socialista ecc..
Naturalmente le dinamiche elettorali erano allora, come oggi, complicate,
contava la presenza locale dei diversi soggetti partitici, il loro rapporto con
forze sociali di vario genere (parrocchie, sindacati, associazioni culturali,
cooperative ecc.). Ritengo inutile insistere sul carattere clientelare di gran
parte del consenso sociale e sul ruolo delle campagne elettorali e della
politica spettacolo.
Al fine di evitare equivoci, non penso vi sia alcuna ragione di rimpiangere il
partito di massa novecentesco, ne ricordo l'esistenza al solo fine di porre in
luce alcuni caratteri relativamente nuovi del sottosistema politico.
Per motivi che non è qui il caso di ricordare l'Italia passa da un
modello che vedeva la relativa sopravvivenza di questa modalità di
controllo sociale ad una più "moderna" con una velocità
notevolissima ed in forma traumatica. La transizione dal sistema elettorale
proporzionale, volto a favorire la chiara distinzione fra partiti, a quello
uninominale, volto a favorire il bipolarismo e, di conseguenza, l'accorpamento
tra partiti, si colloca dentro questo processo.
Se l'obiettivo esplicitamente perseguito dalla riforma elettorale era la
semplificazione della rappresentanza nasce legittimo l'interrogativo del come
mai questo tentativo sia parzialmente ma significativamente fallito al punto
che i riformatori più convinti puntano su di un nuovo referendum sulla
normativa che regola le elezioni.
Basta riandare alla riforma elettorale e pensare a chi l'ha gestita per
individuare le ragioni prime degli attuali mal di pancia del ceto politico. La
scelta di introdurre un sistema uninominale a turno unico con riserva
proporzionale, un ircocervo a ben vedere, è stato l'uovo di drago che la
vecchia DC ha deposto sul cammino della riforma avendo il fine, evidente, di
garantire lo spazio ad un partito di centro (se stessa) di consistenza
presumibilmente minore rispetto al polo di destra e di sinistra ma tale da
farne l'ago della bilancia.
Come è noto la sorte ha voluto che questo obiettivo sia stato mancato,
per quanto di poco, nelle elezioni del 1994, che il PPI (erede diretto della
DC) abbia vissuto una frammentazione accelerata, che sia nato in Italia uno
strano bipolarismo.
D'altro canto, l'obiettivo sostanziale della DC è stato raggiunto anche
se non nelle forme previste. In un paese a tradizione pluripartitica come
l'Italia, infatti, l'attuale sistema elettorale permette a qualsiasi forza
politica minore di ricattare quelle maggiori con il semplice espediente di
presentarsi alle elezioni, di raccogliere abbastanza voti da colpire il
soggetto maggiore più vicino e di contrattare o seggi o posti di potere
in cambio dell'impegno a non creare ulteriori problemi.
La diaspora democristiana è stata straordinariamente avvantaggiata da
questa situazione ma trova gradite alleanze in settori vari dello schieramento
politico dalla Lega Nord al PRC, dai cespugli dell'Ulivo a quelli del Polo.
Le vittime di questa situazione sono, ovviamente, le forze maggiori della
destra e della sinistra ma la situazione attuale, al momento, penalizza
più il PDS che l'asse fra Forza Italia e Alleanza nazionale che pure,
nelle precedenti elezioni, è stato penalizzato dal meccanismo elettorale
attuale.
Sembrerebbe, di conseguenza, facile un accordo fra PDS, FI e AN per sgombrare
il campo dai piccolini mediante l'introduzione di un sistema uninominale senza
riserva proporzionale e a doppio turno. In realtà l'operazione è
meno facile di quanto parrebbe visto che i cespugli dell'ulivo sono pronti a
morire sulle barricate in nome della libertà e della poltrona ed
un'analoga determinazione caratterizza il PRC, la Lega Nord ecc..
In questa situazione bloccata si inserisce l'iniziativa dei referendari che,
proprio a partire dall'impaludamento del PDS, bloccato dalla necessità
di salvaguardare i buoni rapporti con le coorti dei suoi alleati sanguisuga,
possono proporsi come il blocco politico modernizzatore e porre le premesse per
costruire quel soggetto politico di centro non più democristiano ma post
democristiano che può ragionevolmente proporsi di ridimensionare i DS e
giocare il ruolo di ago della bilancia,
Il ragionamento di quest'area è semplice e potrebbe persino funzionare:
c'è un elettorato senza più riferimenti partitici, un cartello di
"personalità" da Prodi a Di Pietro, da Cacciari a Rutelli offre una
sponda politica a quest'area e occupato il centro dello schieramento
parlamentare governerà appoggiandosi ai DS relegati nel ruolo di guardia
plebea posta sotto ricatto dalla possibilità di arruolare segmenti della
destra allo sbando dopo una seconda batosta elettorale.
Possiamo immaginare i mal di pancia degli antireferendari, le alleanze che
uniscono forze di destra e di sinistra nel tentativo di evitare il referendum
sono dinanzi agli occhi di tutti.
Possiamo anche immaginare che si cercherà, e forse si troverà,
qualche compromesso per salvare un qualche spazio per tutti.
Quello che è certo è che in questa partita le classi subalterna
non entrano in alcuna maniera nonostante i tentativi di diverse forze politiche
di chiamarle a "difesa della democrazia" sia perché, per la
verità, l'oggetto del contendere non è affatto la democrazia sia,
soprattutto, perché la morte del mito democratico non fa che seguire la
compiuta realizzazione della democrazia stessa che appare, oltre che essere,
una mera tecnica per il ricambio non traumatico del ceto politico.
Cosa ci si possa attendere dalla fine del mito democratico è,
ovviamente, altra questione.
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