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Da "Umanità Nova" n.8 del 7 marzo 1999

Kosovo. Avamposto della NATO

2000 morti, 300 villaggi distrutti, oltre 300.000 profughi: la contabilità del Kosovo continua ad aggiornare i suoi dati. Ed è un aggiornamento di cui non si vede la fine. A pochi giorni dalla "sospensione" del negoziato di Rambouillet, le truppe serbe hanno infatti già ripreso l'offensiva attaccando villaggi e ammassando almeno 4.500 uomini, carri armati e cannoni lungo i confini del territorio. Attentati ed esecuzioni si alternano nella capitale Pristina mentre i cosiddetti mediatori pare siano al lavoro per tentare di mettere d'accordo le parti in previsione del prossimo incontro che si terrà il 15 marzo, sempre sul suolo di Francia. Un accordo difficile se non impossibile. Come conciliare infatti la richiesta di indipendenza avanzata dai kosovari albanesi (che, ricordiamo, rappresentano il 90% dell'intera popolazione della regione) con l'esigenza serba di mantenere il controllo sulla zona? Proprio su questa difficoltà il negoziato si è arenato evidenziando i vari livelli di responsabilità delle parti nel conflitto in corso. Se infatti il nazionalismo serbo agitato da Milosevic aveva innescato il conflitto etnico nel 1989, con l'abolizione dell'autonomia a statuto speciale e con il tentativo di favorire l'esodo di massa degli albanesi (in forte crescita demografica), oggi è l'estremismo nazionalista albanese impersonato dall'UCK a voler spingere l'acceleratore della rivendicazione indipendentista.

Dietro a questi contrapposti obiettivi, c'è poi, il diverso dispiegarsi dei padroni del mondo.

Rambouillet ha dimostrato chiaramente la volontà statunitense di accrescere il proprio ruolo nei Balcani, imponendo l'ineludibile bombardamento della Serbia agli alleati europei, fin troppo preoccupati a garantirsi i commerci con Belgrado. E bombardamento ci sarebbe stato se la disponibilità serba a ripristinare una qualche forma di autonomia del Kosovo non avesse spuntato le unghie all'aggressività statunitense. La richiesta di un referendum indipendentista da parte albanese ha poi contribuito a ridicolizzare le manovre americane, dimostrando la complessità di una tragedia con più attori disposti a recitarla fino in fondo.

La parola d'ordine dell'Unione europea di rifiuto dell'indipendenza del Kosovo dimostra tutta l'ipocrisia di quanti, dopo aver incoraggiato lo smembramento della Repubblica Jugoslava, iniziato il 27.6.1991 con la guerra di Slovenia, temono oggi le conseguenze dello sganciamento di questa regione a maggioranza musulmana dalla Serbia. Guardando alla Macedonia e alla sua forte componente albanese (30% della popolazione), all'instabilità generale dei Balcani, questi apprendisti stregoni temono oggi un'ingovernabilità diffusa di quella regione, una sua trasformazione in un focolaio endemico fuori da ogni controllo. Non è un mistero per alcuno che il corridoio balcanico è la via attraverso la quale il commercio di armi, droga, immigrati clandestini, prolifica, promuovendolo ad una delle più importanti vie del contrabbando internazionale, in combutta con le mafie locali. Sono inoltre ben note nella gestione di questi loschi traffici le responsabilità dei regimi che governano i vari ministati nati dalla liquidazione della Jugoslavia titoista: dai servizi segreti serbi, al famigerato comandante Arkan, fino alla famiglia Milosevic da una parte, alle varie frazioni dell'UCK divise tra loro da rivalità `commerciali' più che ideologiche dall'altra.

Questo spiega la riluttanza odierna a spalleggiare totalmente l'UCK e a favorire un processo di indipendenza che potrebbe risultare del tutto incontrollato. Meglio allora affidarsi alle "garanzie" offerte da un Milosevic e promuovere un blando processo di autonomia della regione. C'è il rischio però di non fare i conti con la volontà USA di trasformare i Balcani nella nuova linea di confronto tra est ed ovest, nel nuovo fronte della NATO, dalla Bosnia alla Turchia: un filo ininterrotto di presenza americana per assicurarsi il controllo delle fonti energetiche tra Asia ed Europa, condizionando così pesantemente il futuro del vecchio continente. Il diverso trattamento riservato a curdi e a kosovari la dice lunga sulle intenzioni americane che non si preoccupano nemmeno delle contraddizioni palesi della loro politica: il bombardamento della Serbia vedrà la partecipazione degli aerei turchi, quegli stessi aerei che massacrano i curdi in lotta per la loro indipendenza. Ma si sa la Turchia è troppo importante per la NATO, non solo in Europa, ma per la sua continua opera di sostegno ad Israele e per la sua penetrazione nelle repubbliche dell'ex-URSS. Chi pensava che la guerra fredda fosse finita non ha fatto i conti con i nuovi scenari aperti dalla lotta per il controllo delle fonti energetiche. La lotta nei Balcani è un aspetto di questa guerra e i diritti dei popoli un paravento per le operazioni imperialistiche.

M.V.



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