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Da "Umanità Nova" n.8 del 7 marzo 1999

Iraq. La guerra continua

Mentre Serbi e UCK (Esercito di liberazione del Kosovo) stanno trattando per raggiungere un accordo e la NATO si dice pronta ad un intervento militare, da mesi minacciato ma non sempre rinviato, a qualche migliaio di chilometri di distanza, nella quasi completa indifferenza, la popolazione irachena continua ad essere bersaglio di uno stillicidio di bombardamenti americani.

Evidentemente ci sono due pesi e due misure nel "nuovo ordine internazionale", che poi non è altro che il nuovo imperialismo americano. Spiegare i "muscolosi" interventi americani con le difficoltà personali di Clinton è certamente molto facile, anche perché dimostra la mediocrità di un'intera classe politica, ma funziona anche come un comodo paravento politico che maschera la realtà: dopo la caduta dell'impero sovietico, l'impero americano si va costruendo senza avversari e imponendo i suoi ritmi.

Selezione degli obiettivi

"Nessuno si illuda. Non esiste paese al mondo che noi non possiamo colpire", dichiarava nel 1997 il comandante delle forze militari USA nell'Atlantico. Ma avrebbe dovuto aggiungere "e senza chiedere il permesso a nessuno, ONU compresa". Le centinaia di missili lanciati contro l'Iraq in questi ultimi mesi costituiscono un messaggio chiaro, sia per gli alleati mediorientali che per quelli europei. L'obbiettivo essenziale è quello di garantirsi l'approvvigionamento petrolifero al prezzo più basso, impedendo che i paesi produttori possano usare il petrolio come arma economica. Ma il bersaglio iracheno ha anche una portata mondiale, specialmente per gli alleati/concorrenti degli Stati Uniti: Il messaggio è chiaro: noi siamo i padroni, siamo noi che scegliamo i bersagli e ogni intervento militare deve sottostare al nostro placet.

Sperimentazione di nuovi armamenti

Per i militari americani, i bombardamenti contro l'Iraq costituiscono anche l'occasione per provare le nuove strategie e i nuovi armamenti : Subito dopo l'operazione "Tempesta nel deserto" del 1991, i militari rovesciarono le concezioni strategiche degli Stati Uniti producendo la nuova dottrina (RMA, Revolution in the Military Affairs), fondata essenzialmente su quattro pilastri: 1) rinuncia a combattere una guerra nucleare; 2) capacità di combattere, a livello regionale, contemporaneamente, due guerre regionali del livello di quella contro l'Iraq; 3) centralità della guerra dell'informazione (intelligence militare ma anche controllo dei media); 4) porsi l'obbiettivo di zero morti (americani, naturalmente!).

Intervento nel Kosovo?

La risoluzione 1199 del consiglio di sicurezza dell'ONU esige dal settembre 1998 un cessate il fuoco nel Kosovo e il ritiro delle truppe serbe. Malgrado ciò, la NATO, nonostante le sollecitazioni europee, ha fatto marcia indietro dopo aver tuonato e minacciato di far rispettare con la forza la risoluzione dell'ONU. Tuttavia non esiste alcuna difficoltà tecnica di fare in Serbia quello che viene sistematicamente fatto in Iraq. La sesta flotta USA incrocia normalmente nel Mediterraneo e gli americani possono contare su basi in Italia, in Turchia e anche nella vicina Ungheria. Anche ideologicamente non esistono difficoltà: il presidente serbo Miliosevic è universalmente descritto come un "cattivo" non meno del suo collega iracheno Hussein. E' dunque evidente che la ritirata della NATO è servita a mostrare all'alleato europeo, così fiero del suo piccolo "Euro", che sugli affari seri è ancora l'America che comanda.

Tuttavia è probabile che i militari della NATO fremano per inviare in Kosovo una missione composta da forze terrestri. E' anche probabile che, come in Bosnia, il grosso del contingente sarà formato da francesi, italiani, tedeschi, etc. e che gli americani si impegneranno ad imporre l'ennesimo "accordo bidone". In effetti quando si accresce il rischio di subire delle perdite, l'impero preferisce ricorrere agli alleati. Saranno insomma gli europei ad impegnarsi perché il conflitto del Kosovo non degeneri in un conflitto regionale che potrebbe provocare l'instabilità nel Mediterraneo.

Guerra!

Gli Stati Uniti sono in guerra. Non si tratta di difendere il loro territorio o di ingrandirlo. Si tratta di una guerra economica e commerciale, condotta anche con mezzi militari. Niente deve impedire la libera circolazione dei capitali e delle merci in modo che le multinazionali americane possano realizzare il massimo dei profitti. "quello che è buono per le nostre imprese è buono anche per il paese" ha proclamato Al Gore, attuale vice di Clinton e candidato democratico alle prossime elezioni presidenziali. Per imporre un potere senza limiti sul pianeta, gli americani hanno bisogno di alleati e quindi generalmente preferiscono convincere prima che vincere. Ma essi dimostrano chiaramente di essere pronti, se necessario, ad usare la forza, anche quella più brutale. L'intimidazione degli avversari e la sottomissione degli alleati sono le chiavi dell'imperialismo americano.

In contesti e con poste in gioco diverse , la crisi del Kosovo e la guerra in Iraq dimostrano che gli Stati Uniti intendono divenire l'unica superpotenza del XXI secolo.

Liberamente tratto da un articolo comparso su "Le Monde Libertaire" del 10 febbraio a cura di MZ



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