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Da "Umanità Nova" n.9 del 14 marzo 1999

Cermis. L'impunità dei militari americani

La strage del Cermis ha riproposto al questione della presenza militare americana in Italia. Con questo breve articolo intendiamo dare un contributo soprattutto informativo sull'impunità goduta, di fatto, dai militari americani che compiono reati nel nostro paese. Non vogliamo annoiare i lettori con dotte citazioni giuridiche ma ci limiteremo a sintetizzare la questione. La disciplina relativa la giurisdizione penale nei confronti dei militari americani è concentrata nelle disposizioni elencate nell'articolo VII della Convenzione di Londra del 1951 (diventata legge in Italia nel 1955) che disciplina organicamente il trattamento che gli Stati aderenti all'Alleanza si obbligano a riservare alle forze militari NATO di stanza nel loro territorio, quindi ai militari americani. Diversamente da quanto si potrebbe ritenere tale articolo sancisce il principio per il quale la competenza a giudicare i reati commessi dai militari americani dislocati all'estero viene attribuita ad entrambi gli stati interessati. Per inciso merita sottolineare come la Convenzione di Londra abbia segnato, come vedremo però solo teoricamente, l'affievolirsi della teoria, sancita da una serie di pronunciamenti della Corte Costituzionale americana nel secolo scorso, della immunità assoluta delle truppe militari americane rispetto alla legislazione del paese "ospitante". In realtà la stessa Convenzione di Londra fa rientrare dalla finestra il principio fatto uscire dalla porta. Infatti, il terzo comma dell'articolo in questione stabilisce che se il reato rientra nell'esercizio di "mansioni ufficiali", il militare che lo ha commesso viene sottratto alla legislazione del paese che lo "ospita".. Il "trucco" sta nel fatto che a decidere il carattere "ufficiale" delle mansioni svolte dal militare che ha compiuto il reato sono... le autorità americane! A questo punto il gioco è fatto e gli americani possono rivendicare il giudizio su quasi tutti i reati commessi dai loro soldati. E' interessante però notare due cose. La prima è che nel 1973 la corte Costituzionale italiana ha respinto con una sentenza stranamente laconica "e quindi sostanzialmente politica" una eccezione di incostituzionalità del citato art. VII, comma 3. La seconda è che l'art. 3 della Convenzione di Londra ha trovato in Italia un'attuazione tesa a favorire gli interessi degli Stati Uniti attraverso l'istituto detto della "rinuncia". Detto in modo più chiaro, in Italia (diversamente da altri paesi aderenti alla NATO) il Ministero di Grazia e Giustizia, competente ad intervenire, lascia agli americani la possibilità di giudicare anche i militari che hanno compiuto reati "fuori servizio". In definitiva appare chiaro che l'Alleanza Atlantica garantisce i militari americani che sanno di poter comunque essere giudicati da un tribunale amico, ma pare altrettanto chiaro che l'Italia non ha alcun interesse o voglia di perseguire anche quei pochi casi che sfuggono al famigerato art. 3 della Convenzione di Londra. Esiste, insomma, un tacito accordo che garantisce i militari americani. Ricordiamo negli anni passati alcuni casi di militari USA ubriachi protagonisti di incidenti stradali "fuori servizio" fatti rimpatriare in fretta e furia, probabilmente con il sistema della "rinuncia" da parte del governo italiano. Insomma la vergognosa sentenza della corte marziale del North Carolina non deve meravigliare. Piuttosto c'è da domandarsi se il governo italiano con le migliaia di soldati italiani presenti in aree calde, abbia veramente l'interesse ad aprire un contenzioso per ribaltare un principio (l'immunità di fatto dei militari inviati all'estero) che può far comodo. Cosa sarebbe successo se le malefatte dei nostri soldati in Somalia fossero state giudicate da un tribunale somalo?

Antonio R.



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