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Da "Umanità Nova" n.9 del 14 marzo 1999

Il lager di Fini

Un comico televisivo ha recentemente detto che Fini era andato ad Auschwitz per rendere onore ad uno zio che vi era morto... cadendo da una torretta.

Umorismo nero, certo, ma forse più vicino al vero di certi commenti politici su tale evento che si sono divisi tra opinioni sostanzialmente positive -vedi quella di Bertinotti- e giudizi negativi che hanno spiegato la cosa solo con l'opportunismo del segretario di Alleanza Nazionale.

In realtà per chi si occupa di storiografia fascista, la notizia non ha destato meraviglia nè ha fatto ritenere Fini meno fascista dei suoi predecessori, dato che la posizione della destra italiana erede della Repubblica di Salò è sempre stata alquanto contraddittoria rispetto la questione dell'antisemitismo e dei campi di sterminio, tendendo comunque più ad addossare tali responsabilità sui tedeschi piuttosto che a fare del negazionismo.

La presunta divergenza di Mussolini e della R.S.I. dalla politica hitleriana è infatti sempre stata uno dei liet motiv del fascismo italiano e Fini, intelligentemente, se ne è impadronito per usarla come carta nel gioco della "pacificazione nazionale", come se tutti gli italiani fossero stati in qualche modo vittime del nazismo.

Per approfondire questo aspetto e, più in generale l'atteggiamento storiografico neo e postfascista, è senz'altro da segnalare l'ultimo lavoro di Francesco Germinario, L'altra memoria (Bollati Boringhieri), da cui su questo argomento vale la pena riportare un brano: "Rimozione e differenziazione sono state ambedue finalizzate all'obiettivo di assolvere la RSI dal coinvolgimento nei piani nazisti di sterminio degli ebrei. Non è certo un caso, quindi, che anche quando si celebrano i valori di eroismo dei volontari italiani nella Divisione delle Waffen SS, ci si premuri di specificare che questa divisione 'era estranea (...) ai sinistri scenari che il termine 'SS' può evocare. Viceversa, quei pochi e fortuiti casi di protezione degli ebrei italiani da parte dei reparti militari della RSI sono presentati dalla storiografia neofascista in chiave di sfida e contrapposizione nei confronti dei tedeschi, quasi a proporre la convinzione che le deportazioni degli ebrei italiani si fossero svolte in un clima di ostilità da parte dei soldati di Salò. E' la versione neofascista del mito cattolico-patriottico del 'bravo italiano'...".

Mito che con ogni evidenza serve ancora a Fini e che merita le uova e i pezzi di ghiaccio lanciatigli contro dagli anarchici di Cracovia.

Archivio Antifa



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