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Da "Umanità Nova" n.9 del 14 marzo 1999

Per una scuola pubblica non statale
Fuori e contro l'istituzione

Mi è stato richiesto un intervento sulla scuola. Dopo insistenze accolgo con qualche perplessità. La memoria dei compagni non è certo avara di ricordi: da anni e per anni, insieme a pochi altri sodali, ho sostenuto una posizione culturale e poi politica sulla istituzione-scuola, sulla sua pratica, sulla necessità della sua abolizione e sull'urgenza di una sua reinvenzione al di là dei fuorvianti dualismi fittizi tra scuola pubblica di stato e scuola privata (cattolica o lucrativa).

Posizioni espresse su vari fogli e in alcuni interventi pubblici in occasione di convegni - me ne ricordo uno ad hoc a Bologna. Ho anche riportato esperienze libertarie contemporanee nel campo della scuola libertaria (dalle Freieschulen in Germania a Bonaventure, per non citarne che due), e ho ricordato alcuni prototipi meno noti della Escuela Moderna di Ferrer (Korsczak, Cempuis, Jasnaja Poljana).

Speravo di far nascere un dibattito anarchico sulla istituzione della scuola nella società contemporanea, al di là di chi la gestisce (lo stato o il privato); speravo di sensibilizzare compagni e compagne, specialmente chi di loro facesse la professione di insegnante, affinché potesse liberarsi uno spazio utopico di progettualità libertaria che reinventasse la socializzazione dei saperi e delle pratiche corporee al di fuori della riproduzione del sistema garantita dalla scuola istituzionale; speravo di radicare qualcosa nella mia città con la costituzione di un'associazione ad hoc protesa in tale direzione(denominata "Viridiana", dal film di Bunuel).

Fallimento su tutta la linea. E così mi sono ripromesso di non intervenire, per il bene della causa (portassi jella!...).

E allora, che dire oggi mentre vedo soldi distribuiti alle scuole solamente cattoliche (non essendocene altre, non essendoci un movimento di defiscalizzazione per tutti dei costi scolastici, non avendo la forza di dirottare altrimenti il prelievo fiscale: obiettivi tattici, beninteso)? che dire oggi mentre vedo, dal mio punto di vista, cadere i compagni nell'equivoco della scuola statale in qualità di pubblico? e le espulsioni dai cicli? e le selezioni di fatto alle superiori? e l'ignoranza prodotta sino a prolungarsi nelle università? e la giusta apatia dei bambini (con l'evasione recuperata coattivamente)? e l'insofferenza dei grandi di fronte alla stupidità della pubblica amministrazione? e la arrogante cultura manageriale dentro la scuola pubblica, cioè di stato?

Quel che non capisco realmente è perché una doverosa e solidale lotta a difesa del salario debba essere confusa con la difesa della pretesa "qualità" della istituzione presso cui si presta a pagamento il proprio lavoro. Come dire che chi lavora per difendere il proprio salario da operaio in miniera debba pure tutelare il posto fisico della miniera, la qualità del suo lavoro, la "bontà" della sua funzione sociale. Perché trattare la scuola diversamente dalla fabbrica? Se la posta conflittuale è sindacale, sul posto da conservare, e sul salario da difendere con i denti, non ho alcuna obiezione da muovere alla partecipazione di compagne e compagni di idee libertarie e anarchiche alle lotte dei Cobas e degli altri sindacatini del settore (contro gli accordi dei Confederali e dello Snals con i padroni del settore, ossia con lo stato).

Ma non vedo perché, da anarchici che in qualsiasi altra sfera ci sforziamo di cogliere e veicolare gli elementi pubblici non statali, dobbiamo sposare la causa della scuola obbligatoria, dei programmi ministeriali, degli orari prefissati, degli spazi ingabbiati, dei saperi inculcati, e via dicendo. Cosa c'entra tutto questo con l'idea libertaria di e-ducazione (trarre fuori, non in-struire, immettere dentro)?.

Si badi, la mia non è stata (non è) una posizione ideologica, astratta e pregiudiziale, non fosse altro perché altri movimenti anarchici e libertari fanno esperienze "scolastiche" (scusate il brutto termine) extraistituzionali senza vendersi al governo per i finanziamenti e senza cadere nella faziosità dogmatica della scuola cattolica, confessionale e dottrinaria unilateralmente (una eventuale scuola anarchica non insegnerà il catechismo di Bakunin & co.!).

Il campo della socializzazione dei saperi è un luogo conflittuale d'eccellenza oggi nel mondo occidentale (paragonabile forse a quello dei trasporti e delle comunicazioni) perché il modello capitalista globale sussume sotto di sé la conoscenza oggettivata e disciplinata, attraverso una strategia già visibile negli Usa: degrado della scuola pubblica come marcia indietro rispetto all'estensione dei diritti di acculturazione tipica dell'espansione di un mercato del lavoro intelligente e non più bestiale (mentre oggi questo lavoro è messo sotto scasso dall'innovazione tecnologica e dalla delocalizzazione dei processi produttivi ad alta intensità di forza-lavoro).

Quel sapere generale che permette a ciascuno di noi di acquisire competenze, bagagli di cognizioni, memoria storica specifica del proprio radicamento culturale, identitario, nonché capacità di orientarsi nel mondo, insomma quel sapere che offre opportunità di autonomia critica e di emancipazione liberatoria consapevole deve essere deformato e consegnato alla futura élite dirigente, appiattita sulla genericità dei modelli formativi dell'era informatica e televisiva: in modo passivo, non interattivo né ricostruttivo, come ad esempio gli ipertesti tanto rivoluzionari ma che offrono agganci e approfondimenti finiti e limitati, inferiori a una buona ricerca in qualche biblioteca, ma certo più comodi da usare stando fermi, col corpo e col cervello, pronti a recepire ma non più a inventare percorsi, a costruire piste di indagine, ad avventurarsi su qualche sentiero non calpestato da altri...

Io che ho la sventura di interagire con soggetti universitari e post-universitari, tocco con mano tale disegno di colossale espropriazione di sapere e saper fare che passa attraverso questa scuola (pubblica o privata poco importa), grazie a questo modello di scuola, e non certo contro (ovviamente contro le volontà di buona parte degli insegnanti, questo sì, che non sono complici del sistema di ignoranza pianificata di massa).

Se è notorio che le strutture non cambiano qualità secondo chi le abita - e ciò vale tanto per l'istituzione scuola quanto per l'istituzione parlamentare, nel caso contrario, se così non valesse per la prima, tanto varrebbe candidarsi in massa per Montecitorio -allora è urgente muoversi verso altri modelli, rispondenti ad altre progettualità, fuori e contro l'istituzione, a prescindere chi sia il gestore funzionale, lo stato-insegnante (che già Godwin e Stirner consideravano sommo pericolo alle libertà) o il privato-religioso/lucrativo (del resto, se lo stato-imprenditore privatizza, gli anarchici non difendono certamente l'Eni o l'Iri, non vedo perché se in questa fase storica si dismette lo stato-insegnante, gli anarchici non debbano prestare senza dubbio attenzione a leggere le novità della fase, al fine però di intravvedere spiragli di opportunità, di anticipare margini strategici di manovra qualitativamente innovativa e non meramente difensiva o addirittura regressiva rispetto alla funzione storica della istituzione-scuola.

Mi ero ripromesso di tacere per evitare di assumere il ruolo sconclusionato di parolaio a ruota libera in un deserto di ricezione. E' l'unica incoerenza che mi rimprovero adesso che a distanza di tanto tempo riprendo il mouse per intervenire in merito.

Salvo Vaccaro



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