Da "Umanità Nova" n.10 del 21 marzo 1999
Strage del Cermis
Colpevoli i morti... innocenti gli assassini !
Il 3 febbraio 1998, poco dopo le 15, un aereo militare statunitense Ea-6B
Prowler guidato dal capitano Richard Asbhy e da altri tre piloti americani
(W.Raney II, J. Schweitzer, C.Seagraves), partito dalla base di Aviano per una
esercitazione a bassa quota, tranciava i cavi della funivia che collega
Cavalese all'Alpe del Cermis provocando la morte di 20 persone che si trovavano
in vacanza in Val di Fiemme. A un anno di distanza, la corte marziale composta
da otto militari dei marines ha deciso il verdetto: il capitano Richard Ashby,
uno degli otto imputati poi ridotti a due, non è colpevole per la strage
di Cavalese. Le accuse di omicidio colposo plurimo, strage e negligenza in
stato di servizio non sono valide.
Un verdetto più che definitivo, sul quale i giudici americani non devono
spiegare e nemmeno scrivere le motivazioni, per quanto questo possa ancora
modificare qualcosa visto che la parte lesa non potrà ricorrere in
appello.
L'esito di questa sentenza non ci ha colto di sorpresa. Non nutriamo alcuna
fiducia nella "giustizia militare" e l'epilogo di questa farsa giudiziaria
è un'ulteriore dimostrazione di quanto abbiamo sempre sostenuto: la
violenza è intrinseca alla funzione degli eserciti, ne è la
natura stessa. Mettere in discussione questo principio significa ridiscutere
l'utilità degli eserciti, ma, in una società fondata sulla forza
delle armi, tutto ciò non è possibile. In nome della Patria si
possono commettere crimini inauditi, senza essere giudicati o condannati. A
volte è conveniente scaricare la responsabilità su qualche
soldato usato come capro espiatorio, ma la condanna di un soldato che fa il
"suo dovere" metterebbe in discussione quei rapporti di complicità,
fiduciosa sottomissione e quel senso di auto-assoluzione che sono veri e propri
ingranaggi della macchina militare.
Nel corso di una conferenza stampa, Sindy Renkowitz, tedesca e parente di due
delle vittime uccise dall'aereo assassino, cita un eloquente detto popolare
usato nel suo paese: "un corvo non può cavare gli occhi ad un altro
corvo". Sindy ha ragione. Avete mai visto un militare condannare un altro
militare per "reati di servizio"? Così, Casalecchio sul Reno, Ustica e
oggi Cavalese, sono la testimonianza che non ci sarà mai giustizia dove
regna la perversa logica militare.
Non è possibile dare un giudizio sul tragico evento di Cavalese senza
mettere in relazione l'uccisione di 20 persone con la presenza militare
(italiana e straniera) nel nostro territorio. E qualsiasi presa di posizione
che non parta da questo presupposto è, a nostro avviso, sbagliata.
Tra le recenti prese di posizione e le indignazioni di rito di qualche
"strombazzante" politico nostrano, giri di parole e pura retorica, spiccano le
prime reazioni di D'Alema ("Non commento le sentenze in Italia, figuriamoci
negli USA") e del presidente della Camera Violante ("Non sono abituato a
commentare le sentenze prima di averle lette"). La "gaffe" di D'Alema, in quei
giorni in visita negli Stati Uniti, e del suo amico Violante in realtà
nascondono un secondo fine. Evitare un inasprimento dei toni polemici con il
governo americano che tra breve dovrà esprimersi sulla questione
dell'ampliamento del consiglio di sicurezza dell'ONU, nel quale l'Italia spera
ardentemente di entrare.
Ma da fedele alleato degli Stati Uniti il rappresentante del governo di
centro-sinistra si porta a casa due belle sconfitte: l'assoluzione del pilota
responsabile della strage in Val di Fiemme e il no di Clinton ad una possibile
partecipazione dell'Italia al consiglio di sicurezza dell'ONU. Ma che bella
figura!
In questi ultimi giorni si è fatto un gran parlare di sovranità
limitata, di violazione del diritto internazionale, così come s'è
invocata la volontà di individuare i veri responsabili dell'uccisione
dei 20 turisti (ironia della sorte è lo stesso Presidente Clinton ha
dichiarare che la colpa è degli Stati Uniti!). E su queste ultime
questioni avremmo qualche considerazione da fare.
Il problema della sovranità limitata è un falso problema. Se
l'Italia nel dopoguerra ha subito la presenza militare americana con la
sottoscrizione degli accordi che concedevano agli Stati Uniti le basi militari
e con l'entrata nell'Alleanza Atlantica, oggi, venute meno le condizioni
storiche del cosiddetto "contenimento del blocco comunista", il governo
italiano avrebbe la possibilità di annullare quegli accordi e di uscire
dalla NATO, ma al contrario riconferma la sua piena fedeltà alla
politica militare americana ed atlantica. Gli interessi economici (all'origine
di ogni intervento militare) ai quali anche l'Italia concorre (Balcani, Medio
Oriente, ecc.) vanno ben oltre la questione della sovranità di uno stato
quando questo è, per di più, coinvolto nella ridefinizione dei
nuovi equilibri geo-politici.
La denuncia di violazione dei più elementari principi di diritto
internazionale rientra tra le ipocrisie di una classe politica con la "coda di
paglia", che in tutti questi anni ha depistato le indagini sulle stragi
militari e protetto i responsabili.
Nei documenti che regolamentano i rapporti tra Italia e Stati Uniti in tema di
basi militari (memorandum d'intesa relativo alle installazioni/infrastrutture e
quello relativo all'uso della base di Aviano), documenti con caratteristiche di
riservatezza, citati più volte dalla Procura della Repubblica di Trento,
si stabiliscono precisi compiti e responsabilità del Comando Italiano,
"al quale è comunque sottoposta l'installazione". Nell'art. 9 si dice:
"il Comandante Italiano è responsabile dei Servizi del Traffico Aereo e
dell'emanazione di norme relative alla Sicurezza del volo ..."; nel paragrafo
6, art.5 si dice: "... Il Comandante italiano interverrà affinché
il Comandante USA interrompa con effetto immediato le attività
statunitensi che manifestamente costituiscono un pericolo per la vita o la
salute pubblica."
Sarebbero sufficienti queste prove per dimostrare in maniera inconfutabile che
le responsabilità in primis sono del Comando Italiano che doveva
intervenire per sospendere quei voli a bassa quota più volte denunciati
dagli abitanti di Cavalese alle autorità competenti. Ma a cancellare
ogni dubbio è la Procura di Trento. Nella sua inchiesta si legge "ogni
altro volo di quel reparto (riferito al reparto di appartenenza del Prowler di
Ashby e colleghi) che non fosse finalizzato per le operazioni previste da
Deliberate Guard non rientrava in alcuna previsione `pattizia', volta a
consentire la sua permanenza sul suolo nazionale".
Certo che i politici italiani la sanno lunga. Prima permettono il trasferimento
del processo negli Stati Uniti per evitare un coinvolgimento dei vertici
militari italiani e poi si scandalizzano denunciando la violazione del diritto
internazionale. In verità tutto questo ha come unico scopo quello di
disorientare l'opinione pubblica e di nascondere quella parte di
responsabilità che investe le autorità militari italiane nella
strage di Cavalese.
Con questo non vogliamo sollevare i piloti americani e le autorità
militari statunitensi dalle loro responsabilità. La storiella delle
mappe date in dotazione ai piloti del Prowler sulle quali non era riportata la
funivia è fin troppo comica. Per l'Enav (Ente nazionale di assistenza al
volo) sulle carte in possesso di Ashby erano segnalati ostacoli superiori ai 61
metri, ma erano esclusi viadotti, funivie, teleferiche, ponti sospesi, etc.,
perché i voli militari si svolgono, infatti, "a quote superiori ai mille
piedi (300 metri), rispetto al più basso ostacolo della zona", mentre
nelle missioni addestrative a bassissima quota, "è previsto che
l'equipaggio abbia conoscenza diretta della zona in cui vola". Riconoscere come
buone le prove a carico dei piloti americani, paradossalmente, sarebbe come
sostenere che se domani uno di noi finisse con la sua auto dentro un negozio
facendo una strage e avendo la cartina della città sbagliata, la
responsabilità sarebbe di chi gli ha dato la carta o di chi l'ha
realizzata.
Un'ultima considerazione la vogliamo fare a proposito delle accuse di
antiamericanismo che ci rivolgono in ogni occasione in cui contestiamo la
presenza dei militari americani.
La nostra lotta non è contro il popolo americano, semmai siamo contro
l'imperialismo del governo americano. Ci sentiamo vicini alle lotte dei
lavoratori e degli sfruttati americani, così come siamo solidali con le
lotte di tutti lavoratori. Siamo fermamente convinti che il fine ultimo di
tutte le classi oppresse sia l'emancipazione dallo sfruttamento politico ed
economico. La nostra solidarietà va oltre i confini degli stati. Siamo
internazionalisti ed antimilitaristi. Crediamo che gli eserciti servano solo a
difendere gli interessi e i privilegi delle classi dominanti. Essi sono inoltre
portatori di una cultura di violenza e morte; sono la negazione della
libertà di ogni uomo che nell'esercito viene intruppato, disciplinato,
comandato, omologato e punito.
Per questo ribadiamo che non siamo contro gli americani, ma siamo contro tutti
gli eserciti!
Comitato Unitario Contro Aviano 2000
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