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Da "Umanità Nova" n.10 del 21 marzo 1999

Dibattito sui trapianti
Chi ha paura del dottor Frankenstein?

E' del tutto evidente che la questione trapianti, come d'altra parte ogni questione che abbia al centro un dilemma di natura etica, pone problemi non facilmente risolubili in modo netto. O, meglio, rende difficile assumere una posizione precisa a chiunque guardi o tenti di guardare la realtà con occhi disincantati e laici, senza soggiacere alle rassicuranti certezze che le varie religioni, compresa quella forma particolare di religione che è racchiusa nell'atteggiamento scientista, tentano di imporre a fondamento dell'ordine sociale e dell'agire individuale.

Se poi ci si mette anche lo stato con la pretesa di legiferare in merito a faccende che altro non possono afferire che alla scelta del singolo è evidente che le difficoltà non possono che aumentare. E continueranno a crescere perché l'oggetto del contendere riguarda la salute e la malattia, la vita e la morte di individui in carne ed ossa.

Da anarchica ritengo che la vita si dia allorché vi sia la possibilità di viverla, ossia di sceglierla in libertà, poiché quel che ciascuno è si da nelle scelte che compie. Tanto maggiori sono le possibilità di scelta, tanto maggiore è la libertà: quindi in ogni circostanza occorre mirare alla situazione che dia ad ognuno di noi il maggior numero di chance.

Per questo motivo, ad esempio, anche il "rovinarsi la salute", (bevendo, fumando, etc.) per quanto stolto possa apparire ai più, rientra tra le decisioni che nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di prendere al posto nostro. A maggior ragione ciò vale quando è in ballo la nostra stessa vita. E' inconcepibile che oggi il parlamento si accinga a discutere dello statuto giuridico dell'embrione, ossia di un grumo di cellule, e al tempo stesso legiferi con indifferenza sul confine tra la vita e la morte, lasciando sostanzialmente alla classe medica la facoltà di decidere in merito. Il paradosso cresce se si pensa che invece all'individuo è negata la possibilità di porre scientemente fine ad un'esistenza che non ritiene più degna d'essere vissuta: l'eutanasia, il suicidio assistito, è considerata un reato perseguibile penalmente.

Quanto sinora premesso mi consente di asserire che la legge sui trapianti recentemente approvata dalla camera dei deputati è in modo palese lesiva della libertà individuale, poiché la formula del silenzio-assenso informato è un imbroglio il cui unico scopo è far crescere la "materia prima" per la trapiantistica. Sia detto per inciso la situazione precedente, che rimandava la decisione ai parenti non mi pare migliore: non è affatto detto che qualche fratello o cugino la pensino, in un senso o nell'altro, come noi e nemmeno che siano in grado di farsi portavoce delle nostre reali intenzioni.

Già, le nostre reali intenzioni... In merito non posso che concordare con chi, su queste stesse pagine, ha sostenuto che la soluzione migliore consista nel considerare donatori esclusivamente coloro che volontariamente scelgono di farlo, magari aderendo ad una specifica associazione. Un dono non può essere deciso dallo stato o dai parenti, ma deve essere scelta consapevole e sicura di chi lo effettua.

Nondimeno il dibattito sin qui sviluppatosi sulle pagine di UN mi pare non tenga conto della delicatezza del problema del quale ci stiamo occupando. Nel suo articolo Paolino concludeva dicendo che non sapeva in che modo avrebbe risposto al quesito che l'ASL gli avrebbe sottoposto: se avrebbe taciuto, dichiarandosi così donatore, o si sarebbe opposto. Infatti, se mi pare facile smascherare gli interessi economici e di potere della classe medica che hanno portato ad una formulazione legislativa lesiva della libertà individuale, meno facile è invece schierarsi sulla questione in sé. Tutti, o quasi, sbandierano certezze, che mi risulta ragionevolmente difficile condividere. Lo stato decide per legge che, dati certi parametri, ben difficilmente verificabili, un individuo è morto e quindi espiantabile; la Lega contro la Predazione di Organi, asserisce che invece lo stesso individuo è vivo e curabile. Gli uni e gli altri parlano in nome della scienza, gli uni e gli altri asseriscono di poter esibire criteri certi, prove verificabili; gli uni e gli altri si pongono sotto il vessillo della Verità. In realtà alla più parte delle persone è negata la possibilità di accedere ad un'informazione certa, patrimonio di una classe di "esperti" sulla quale non è sostanzialmente possibile esercitare un controllo dal basso.

L'esperienza che ciascuno di noi ha fatto della medicina e della sua gestione è non di rado angosciante e non solo per il timore che la malattia, la sofferenza, la prospettiva della morte suscitano, ma per la difficoltà se non l'impossibilità di capire quel che ci capita, di controllare quello che un sapere che si vuole "scientifico" ci impone. Per mia fortuna non ho esperienza diretta del carcere ma solo l'ospedale è stato capace di darmi la misura di una privazione di autonomia e dignità che mi paia paragonabile alla galera.

L'immaginare pertanto che tale potere sia accresciuto dalla legge sui trapianti, che la possibilità di controllo e sottrazione sia del tutto risibile basta a farmi dire che la mia risposta al quesito dell'ASL sarà senz'altro negativa. Se tuttavia qualcuno mi chiedesse di iscrivermi alla Lega contro la Predazione degli Organi la mia risposta sarebbe altrettanto negativa. Infatti, mi pare che tale associazione segua criteri non sostanzialmente differenti da quelli del potere medico che combatte, che alla fin fine dichiari, tanto quanto la camera dei deputati e la classe medica, di possedere criteri di valutazione certi, misure "scientifiche" e, quindi, indubitabili ed indiscutibili del confine tra le vita e la morte, tra etica e sopruso. Ma le affermazioni di tale associazione mi paiono inverificabili tanto quanto quelle di chi si schiera a favore dei trapianti. In questa come nella gran parte delle questioni di grande rilevanza etica è opportuno per un libertario fuggire ogni rassicurante tentazione a rifugiarsi nelle Verità che la religione o la scienza pretendono di imporci. Misurarci con la sfida che la condizione umana in sé rappresenta, significa anche accettare la difficoltà di scegliere senza poterci aggrappare allo scoglio rassicurante di una qualche verità, ma scegliere diviene arduo se da un lato ci viene proposta l'immagine edulcorata del fiammifero che prima di spegnersi riaccende una vita e dall'altra quella del macellaio che affonda il coltello nella carne viva e palpitante delle sue vittime.

Per questo non posso che rifiutare di pormi sullo stesso piano di chi in nome di una scienza che appare tutt'altro che "esatta" pretende di sapere quello che è bene e quello che è male. Voglio poter decidere io se e quando la mia vita è finita, se donare o meno i miei organi. Voglio per me e per tutti il diritto di dubitare, il diritto di misurarmi con la difficoltà della scelta, con l'incertezza del giudizio. Il dibattito sviluppatosi su UN pare dibattersi in difficoltà difficilmente sormontabili se si pretende di poter dimostrare con sicurezza qual è oggi esattamente il confine tra la morte e la vita. Secondo la Lega contro la predazione degli organi dichiarare morto chi "caldo e roseo, respira ausiliato, il suo cuore batte autonomamente mantenendo la circolazione, muove gli arti ed il tronco" (cfr. UN 6 pag. 5) rappresenta un omicidio, la scelta di rinunciare al tentativo di curarlo. In sostanza per questa associazione costui non è morto. A sostegno della propria tesi cita le diverse opinioni e le diverse esperienze di vari studiosi. La medicina ufficiale e lo stato italiano sostengono il contrario, anch'essi basandosi sulle diverse opinioni e le diverse esperienze di altri studiosi.

So bene che i mostruosi interessi economici che ruotano intorno alla gestione della sanità e la notoria disinvoltura con la quale vengono trattati gli esseri umani ogni volta che è in ballo il profitto non possono che indurre ad una sana diffidenza. Non credo tuttavia che si difendano bene i diritti dei singoli se si assumono i toni tipici delle crociate, l'intransigente sicumera con la quale si considera chiunque sia favorevole ai trapianti alla stregua di un delinquente da strada, con la quale si dichiara che: "Migliaia di dipendenti statali infami saranno pagati coi nostri soldi per macellarci negli ospedali-lager".

In realtà in una società classista e gerarchica, in cui il sapere è a disposizione di pochi abbiamo scarse possibilità reali di capire se la cosiddetta morte cerebrale sia o meno morte, se chi si trova in quello stato possa essere curato o sia comunque destinato a non "risvegliarsi" più. In fondo la reale materia del contendere sta nella cosiddetta "morte cerebrale", sulla quale oggi non si può accedere (sempre che ve ne siano) a ragionevoli certezze. In queste circostanze quello che conta, l'unica cosa veramente importante è che la decisione in merito non sia presa da un "esperto" della politica o della medicina ma dai diretti interessati, ai quali, questo sì, dovrebbero essere forniti il più possibile tutti i criteri di giudizio disponibili. Nell'espianto a cuore battente non vi è nulla di scandaloso se si è certi che l'espiantato non ha nessuna possibilità di riprendere a vivere: ma su questo, nelle attuali circostanze non siamo in grado di esprimere alcun giudizio certo. A questo punto ponendosi da un punto di vista libertario si aprono due prospettive: da un lato la necessità di un impegno forte per smontare i meccanismi gerarchici e mercantili che sottendono la gestione della medicina; dall'altro la consapevolezza che, anche in presenza di un'informazione onesta non sempre è possibile avere certezze e , quindi, a nessuno può essere delegata una scelta (quale che essa sia) nella quale entrano in ballo la nostra e l'altrui vita.

Spesso mi capita di pensare alla creatura del dottor Frankenstein, perché rappresenta in modo emblematico il senso profondo di quanto si è venuto sviluppando nella cultura di questi ultimi due secoli. "Mostro" nel senso originario dell'etimo latino, l'uomo creato dal laboratorio del dottor Frankenstein suscita nel contempo timore e meraviglia, allude al sogno straordinario e prepotente di farsi dei nella creazione della vita dalla morte ed al timore che tanta tracotanza ingenera. La creatura affascina e spaventa, ma in fondo non fa che rispecchiare il "troppo umano" che è in noi tutti. Ma alla fin fine oggi come allora l'unico mostro da temere e da combattere resta la pretesa di ordinare e governare il mondo in nostro nome ma senza il nostro consenso.

Mary Shelley e Boris Karloff



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