unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.11 del 28 marzo 1999

Sindrome del golfo
Uno studio sui veterani della guerra del Golfo

Alcuni primi cenni di informazione

Fin dai tempi più antichi le guerre hanno avuto una peculiare caratteristica, che di solito viene tralasciata da chi ne racconta episodi e gesta ma che nondimeno ne rappresenta il continuum: mentre esse vengono formalmente combattute fra individui più o meno armati e preparati allo scopo, a pagarne fino in fondo i costi e le conseguenze sono le popolazioni inermi, spesso estranee ai motivi ed allo svolgimento dei conflitti. E se le guerre del passato senza pietà mietevano vittime a migliaia fra la gente, quelle dell'ultimo secolo sono arrivate a cifre parossistiche di molti milioni di morti civili. Forse il più indegno esempio, cui portare termine di confronto per generazioni, è stato il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki alla fine della Seconda guerra mondiale, quando gli americani non hanno esitato a sganciare, per provarle, le prime bombe atomiche su soggetti periferici di una nazione ormai in ginocchio.

Ma a quanto pare negli anni seguenti la tendenza si è invertita.

A cominciare dalla guerra del Vietnam, che pure ha seminato morte e devastazione in tutto il territorio aggredito, i veterani americani hanno dovuto in seguito pagare un alto prezzo per il Napalm e l'Agente Orange che i loro comandi avevano loro consegnato e che hanno puntualmente irrorato. Malattie croniche, disfunzioni dell'apparato riproduttivo, tumori, perdita di concentrazione, malattie della pelle, malformazioni alle nascite sono stati negli anni successivi i motivi che hanno fatto sorgere clamorose proteste collettive.

Con la guerra del Golfo le popolazioni, specie irakene, sono state sottoposte a tutta una sperimentazione di nuove armi da entrambe le parti: un eccidio che continua a tutt'oggi. Ma mentre si fa in quattro per trovare pretesti per continuare l'aggressione, l'apparato militare - in particolare americano, ma anche inglese e di altri stati "alleati" - deve a sua volta difendersi dalle rivendicazioni dei soldati che hanno preso parte al conflitto e che ora stanno pagando in termini di salute, sopravvivenza, riproduzione, per le apparecchiature e i proiettili utilizzati, per le vaccinazioni cui sono stati sottoposti, per le condizioni ambientali in cui hanno operato.

Consapevoli che il potere vorrebbe stendere una solida cappa di silenzio su tutta la questione, specie nel nostro bel paese dove il servilismo rispetto al potente alleato non ha mai esitato a palesarsi, abbiamo cercato di raccogliere informazioni e documenti che dimostrino quanto anticipato su U.N. n. 5 del 14/2/99, con la recensione del documentario di D'Onofrio, che nel frattempo, in attesa di più ampie platee, sta cominciando ad essere proiettato nei circoli e nei centri sociali.

* * *

Il primo studio che prendiamo in considerazione è quello eseguito per conto del Comitato Consultivo Presidenziale (1) sulle malattie dei veterani della Guerra del Golfo negli Stati Uniti. Si tratta di una investigazione pubblicata nel 1998 (2) e gli autori sono: L.M. Joellenbeck, P.J. Landrigan ed E.L. Larson.

La ricerca è condotta sui circa 697.000 uomini e donne che hanno servito negli anni 1990-91 nella Guerra del Golfo.

I ricercatori hanno preso in considerazione i seguenti possibili rischi alla salute: fumo emesso dai pozzi petroliferi che ardevano; vaccini contro le armi biologiche; stress psichico e fisiologico; uranio impoverito; insetticidi e repellenti; trattamento preventivo contro, ed eventuale esposizione ad armi chimiche (bromuro di piridostigmina); sbalzi estremi dal caldo al freddo; emissioni dei carburanti bruciati; malattie infettive; polvere.

Secondo questa ricerca svolta sui primi 2 anni dopo la guerra, la percentuale degli ex combattenti che erano morti era del 9% superiore rispetto ad un gruppo di confronto di militari in servizio. TUTTI I DECESSI ERANO AVVENUTI PER INCIDENTE AUTOMOBILISTICO. (3)

Uno studio sui difetti alle nascite non riscontrò alcuna evidenza di un rischio superiore dei figli di veterani della guerra rispetto al gruppo di confronto.

Uno studio nello stato dello Iowa ha messo in luce: predisposizione alla depressione; tensioni post-traumatiche disordinate; disfunzioni cognitive (questa allocuzione è difficile da tradurre, probabilmente si tratta di diminuite capacità percettive); stanchezza cronica; bronchite; asma; abuso di alcoolici; ansia; problemi sessuali; funzionamento generale a più basso livello fisico e mentale rispetto a uomini e donne in servizio che non erano stati nel Golfo.

Uno studio in particolare sulle donne ha messo in evidenza che le reduci dal Golfo erano maggiormente predisposte a sindrome da tensione post-traumatica; esantemi cutanei; depressione; incontrollata perdita di peso; insonnia.

Uno studio sui ricoveri in ospedale non ha dimostrato differenze dei veterani rispetto al gruppo di controllo.

Nelle conclusioni gli autori della ricerca lamentano una impossibilità di relazionare gli specifici problemi in assenza di un preciso monitoraggio effettuato al momento delle esposizioni. Tutti gli studi sono stati effettuati sulla base della memoria dei soldati di avvenute esposizioni, il che potrebbe essere impreciso. A titolo di esempio indicano che un militare che si è trovato coinvolto in un'esposizione può con maggior probabilità relazionare questa col suo presente malessere. Concludono che in futuro sarebbe meglio raccogliere più informazioni sulla salute e circa le esposizioni quando queste avvengono. (4)

* * *

A commento, soltanto alcune brevi sottolineature, per non tediare oltremodo il lettore.

1) Va da sé che essendo commissionato a livello presidenziale, questo lavoro è suscettibile di una certa tendenza a trarre o ad indurre verso alcune conclusioni piuttosto di altre.

2) La ricerca qui considerata si è svolta in un periodo immediatamente successivo alla guerra, per cui mentre alcuni effetti possono essere ricollegati più all'immediato, altri ben più gravi potrebbero ancora non essersi manifestati.

3) Anche se nello studio si evidenziano gli incidenti d'auto, il solo fatto della diminuita capacità di concentrazione è da ritenersi un fattore di nocività.

4) Agli esecutori della ricerca non è venuto in mente che forse il modo migliore per evitare conseguenze di questo genere potrebbe essere non esporsi a simili esperimenti.

A cura di Alfonso Nicolazzi, con l'aiuto di Barbara



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org