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Da "Umanità Nova" n.12 del 4 aprile 1999

Sindrome del Golfo
Gli alti comandi americani hanno mandato la truppa allo sbaraglio

Riesce piuttosto difficile stendere queste note mentre a poche centinaia di km di distanza l'apparato della guerra colpisce ancora una volta. Riesce difficile soprattutto mantenere una dimensione il più possibile obiettiva ed astenersi dai proclami: quasi la tastiera (una volta era la penna) vorrebbe correre ed addentrarsi nell'attualità invece che nel tema proposto.

L'odierno sfoggio dell'apparato militare, soprattutto americano, con le sue pretese azioni "di precisione" o "chirurgiche" sugli obiettivi, segue di poche settimane la sentenza di assoluzione agli assassini della strage del Cermis, ed entrambi sono in linea con un unico superiore disegno: risollevare nell'immaginario delle popolazioni il mito dell'uomo di guerra, aitante, feroce, "bello", impunito, premiato e osannato, che negli ultimi tempi, anche in conseguenza delle avversità che stanno attraversando gli ex combattenti del Golfo, come già era accaduto con quelli del Vietnam, stava raggiungendo fondali mai esplorati. Una manovra su più fronti che si è resa necessaria perché nel frattempo altri miti stanno paurosamente incrinandosi, rischiando di lasciare a nudo le certezze del comando, e perciò rendere di nuovo possibile per l'immaginazione popolare il crollo del castello del potere, cui consegue la riappropriazione dei valori del diritto all'autoaffermazione e all'autogestione. Di altri temi abbiamo già parlato in precedenti interventi, e qui soltanto li riassumiamo: non è vero che gli Usa posseggono la tecnologia per andare sulla Luna, anzi non vi sono mai stati; le armi "selettive" e "chirurgiche" il più delle volte sono un fallimento; ancora una volta nella storia, dopo il Vietnam (ma crediamo che un discorso identico valga anche per l'intervento russo in Afganistan) col Golfo la truppa fa le spese a posteriori dei sistemi utilizzati.

Ci occupiamo questa volta del mito dell'apparato "logistico", che nel caso degli americani era certezza. Dopo le pessime esperienze della Prima guerra mondiale, misure sempre più efficaci erano state prese per costruire attorno ai combattenti un complesso protettivo a tutela dei "ragazzi" che venivano lanciati in battaglia. Molti ricorderanno che durante il Secondo conflitto l'avanzata degli Alleati, in particolare degli americani, era oltremodo lenta e piena di cautele, che veniva preceduta da bombardamenti a tappeto per giorni e giorni, o a intrighi mai del tutto confessati (vedi mafia in Sicilia) proprio per non esporre i "ragazzi" a rischi avventati o inutili. Ancora, ad entrare per primi nelle località liberate di solito erano truppe di colore o varie formazioni considerate secondarie.

Nei decenni passati, ai contingenti italiani che è capitato di svolgere il servizio militare in ambito Nato, la sostanziale differenza con cui i militari anglo-americani erano tenuti rispetto al resto saltava decisamente all'occhio: maggior soldo, vaccinazioni e cure sanitarie di qualità, minor esposizione complessiva e particolare ai rischi e alle incognite, ecc. ecc., protezioni di ogni genere.

Questo ha fatto sì che cogli anni si sia venuto creando un mito non dichiarato ma ben presente: servire per gli Usa voleva dire disporre di mezzi, tutele, certezze: i comandi non mandavano allo sbaraglio nessuno, e benessere successivo. E anche questo, con le tormentate vicende dei reduci del Golfo, è un altro mito che cade in frantumi.

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Il secondo studio che prendiamo in considerazione è stato effettuato in Gran Bretagna e pubblicato sulla prestigiosa rivista di ricerca scientifica "The Lancet", vol. 353, 16 gennaio 1999, pagine 169-78. E' stato realizzato da C. Unwin, N. Blatchley, W. Cocker ed esamina personale del Regno Unito in servizio durante la Guerra del Golfo.

Lo studio è ben concepito da un punto di vista scientifico, in quanto un gruppo a caso scelto fra tutti gli ex combattenti nella Guerra del Golfo è stato preso in considerazione ed è stato paragonato con un gruppo a caso scelto fra i veterani della Bosnia ed un terzo gruppo, anch'esso a caso, di truppe in servizio durante la Guerra del Golfo ma che non vi hanno preso parte. In altre parole, il primo gruppo è stato scelto a prescindere dal fatto che avesse o meno dichiarato un cattivo stato di salute, ed i paragoni sono stati effettuati in maniera che potesse risultare con maggior certezza l'eventuale diverso responso.

L'indagine ha incluso 2.735 veterani della Guerra del Golfo, 2.184 veterani della Bosnia e 2.245 altri militari che non sono stati mandati nel Golfo. Il questionario era formulato su sintomi e problemi di salute. Ne è risultato che il gruppo che aveva servito nel Golfo ha riportato tutti i sintomi e i malesseri elencati nel questionario con maggior frequenza dei gruppi di paragone.

I 15 sintomi maggiormente denunciati, in maniera significativa più presenti fra le ex truppe del Golfo, sono: sensazione di stanchezza dopo il sonno; irritabilità e scoppi d'ira; mal di testa; fatica; sonno difficile; smemoratezza; rigidità nelle articolazioni; perdita di concentrazione; flatulenza sia intestinale che orale (scorregge e rutti); dolore alle articolazioni pur in assenza di gonfiore o irritazione; sensazione di distanza dagli altri o di esclusione; mancanza di volontà nel fare alcune cose o affrontare certe situazioni; dolori al torace; formicolio alle dita ed alle braccia; sudori notturni.

Fra i principali risultati è emerso che gli ex combattenti del Golfo, rispetto agli altri presi in esame, sono tre volte più suscettibili di avere: stanchezza cronica; tensioni post traumatiche; "sindrome di sintomi multipli" analoghi a quelli segnalati nella ricerca effettuata negli Stati Uniti (v. U.N. scorso numero).

Lo studio mette quindi in relazione queste risultanze con le esposizioni nel Golfo:

- i soggetti che hanno dichiarato di esser stati esposti ad un attacco chimico hanno riportato più problemi di salute e perdurante maggior fatica;

- quelli che sono stati sottoposti a molte vaccinazioni (più di 7), ed in particolare quelli che hanno dichiarato di essere stati vaccinati contro la guerra biologica (peste + tracoma + pertosse) presentano una salute peggiore; ed ancora: quelli che hanno notato reazioni al momento delle vaccinazioni, sia ex del Golfo che ex della Bosnia, sono coloro che al momento dello studio hanno ancora una salute carente.

Tre tipi di esposizione differenziano sostanzialmente i veterani del Golfo dai gruppi di confronto:

- esposizione al fumo dei pozzi;

- vaccinazioni contro la guerra biologica;

- possibili esposizioni ad armi chimiche (alcuni soldati hanno dichiarato di aver preso misure per proteggersi da agenti chimici; se l'esposizione sia effettivamente avvenuta, al momento dello studio rimaneva un'incognita).

Gli autori hanno infine preso in considerazione il trauma della guerra: il fatto di aver visto corpi smembrati ed altri eventi simili possono esser comuni fra ex combattenti del Golfo ed ex della Bosnia. Non si spiega dunque perché i primi debbano averne ritenute peggiori conseguenze, come effettivamente rilevato, rispetto ai secondi, se non per le specificità della Guerra del Golfo.

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Concludendo, senza farsi inutili illusioni e cercando di evitare la retorica: le peggiori utopie negative degli anni '30 e '40 sembrano esser realtà quotidiana ai nostri giorni: il Grande fratello, i bambini in provetta, la guerra permanente con Eurasia sono qui. Huxley e Orwell suggerivano diverse forme di autoalienazione dei dissenzienti: il chiuso di un negozio di rigattiere o l'umida foresta centroamericana o la pasticca di soma. Ma la verità continua ad essere rivoluzionaria; per questo non filtrano sui grandi canali di informazione le vicende dei reduci del Golfo; per questo val la pena di continuare a parlarne. C'è un domani fino a quando continuiamo a volerlo.

Alfonso Nicolazzi, con l'aiuto di Barbara



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