![]() Da "Umanità Nova" n.13 del 18 aprile 1999 Referendum. Giochi di potereIl regime democratico italiano sembra avviluppato in un dilemma: da un lato, esigendo stabilità di governo (come se i quaranta e passa anni di governi democristiani dalla composizione correntizia variabile non rappresentasse stabilità...) spinge per un sistema elettorale maggioritario, qualcuno auspica addirittura bipartitico, non solamente bipolare; dall'altro, però, tale sistema innalza fisiologicamente i livelli di astensionismo perché non sempre l'elettorato trova gradevole l'alternativa secca tra singoli candidati nel proprio collegio. Del resto, la spettacolarizzazione e l'individualizzazione dei processi politici in atto esalta il singolo candidato, il suo appeal elettorale, la sua telegenia, piuttosto che l'appartenenza o la linea politica portata avanti, che si impongono lo stesso senza passare al vaglio della scelta.Tale situazione è dilemmatica perché l'astensione politica alle elezioni, ricorrenti, sovente inutili, dissipative di denaro pubblico, produttiva di una overdose televisiva, mina il consenso e la legittimazione della élite politica che si candida a strappare privilegi allo stato di cui intende occupare i posti di potere. La disaffezione di per sé è pericolosa non tanto perché segna una presa di coscienza rivoluzionaria, per così dire, quanto perché sgancia il cittadino da una ritualità simbolica, foriera di aperture incontrollabili a altre forme di seduzione politica (apatia, avventurismo, soggezione carismatica, contropotere sociale, autonomia autogestionaria, ecc.). Diviene allora indispensabile escogitare qualche meccanismo dissuasivo che leghi ancora il cittadino al rito simbolico che, solo per i concorrenti, ha un senso pratico: la selezione del ceto politico. Ormai è arcinoto che le elezioni rappresentano esclusivamente il meccanismo di scrematura del ceto politico che aspira a professionalizzarsi: una sorta di concorso per titoli e prove, di cui però i giudici sono i cittadini, i quali tuttavia, avendo smarrito il senso originario della delega democratica ormai pacificamente introiettata, corrono il rischio di disaffezione a questo rito perché lo percepiscono appunto per quello che è: un concorso a vantaggio dei pochi. Ma allora che se lo facessero da soli! Pertanto, il referendum è da alcuni anni in qua lo strumento prediletto di recupero del legame tra cittadino e istituzioni, al fine di vincolarlo affettivamente al regime democratico ed ai suoi riti. Referendum vuol dire mobilitazione, esaltazione del potere sovrano dei cittadini (fittizio perché solamente abrogativo; poi occorrerà sempre una nuova legge parlamentare), coinvolgimento emotivo sul Sì o sul No secco, divisione a leggero rischio di unità giacché rischia di spaccare in due il paese, anche se oggi il tecnicismo dei temi, tuttavia, attutisce il pericolo per via della loro sostanziale insignificaza per la vita quotidiana dei cittadini. Ecco perché la tradizionale posizione anarchica astensionista sia per le elezioni che per i referendum esce vincente dal punto di vista logico: essa segnala una estraneità al concorso non solo come partecipazione alla competizione ma anche come complicità al meccanismo di selezione, l'uno, e di recupero della disaffezione, l'altro. Per il referendum si tratta quindi di sottolineare l'insussistenza di ragioni politiche per interessarsi a farsi coinvolgere in un processo funzionale a rinsaldare i fragili rapporti simbolici tra sfera politica professionale; questo referendum addirittura vuole costringerci ad appassionarci su quale deve essere il sistema di selezione della classe politica, come se l'uno o l'altro cambiasse qualcosa per noi cttadini, mentre rende più o meno arduo l'accesso a chi vi aspira. Il quesito del 18 aprile svia l'attenzione, inoltre, da problemi seri e grossi (conflitti armati, inoccupazione, senso di esproprio della vita) sui quali né elezioni né referendum di sorta, né partiti né governi sono in grado di rintracciare soluzioni a breve termine, del resto affidate solo all'invenzione di un immaginario istituente radicalmente sottrattosi alle maglie del potere planetario integrato e delle sue raggelanti istituzioni. Salvo Vaccaro
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