Da "Umanità Nova" n.14 del 25 aprile 1999
Costruzione del consenso
Il bombardamento della propaganda
Siamo in guerra. Una guerra fatta di migliaia di bombe e missili e di centinaia
di migliaia di deportati ma anche di una massa enorme di notizie con le quali
si "bombarda" il cosiddetto "fronte interno", per cercare di ottenere il
consenso delle opinioni pubbliche dei paesi belligeranti. Si può dire
dunque che anche noi che osserviamo le vicende belliche attraverso gli schermi
televisivi o le pagine dei giornali siamo "vittime" della guerra.
La fonte di quasi tutte le notizie sono i quartieri generali, soprattutto il
comando della NATO di Bruxelles e il Pentagono, ma anche la Casa Bianca si fa
sentire: dall'inizio della guerra, Clinton trova il modo di rilasciare
quotidiane dichiarazioni ufficiali. Dal 23 marzo tutti i giorni i portavoce
della NATO, del Pentagono e la Casa Bianca forniscono ai giornalisti la loro
verità sulla guerra. Questa verità viene diffusa dai media
borghesi che quasi sempre l'hanno accettata acriticamente nell'ambito di una
generale adesione alle ragioni della guerra. Lo spazio lasciato agli oppositori
alla guerra è minimo e si riduce a qualche scarna cronaca delle
manifestazioni di protesta e a qualche raro intervento nei dibattiti
televisivi, quasi sempre riservato a esponenti di Rifondazione comunista.
Il peso della macchina propagandistica si è fatto notare fin
dall'annuncio dell'intervento militare della NATO nei Balcani. Infatti quando
martedì 23 marzo il segretario generale della NATO, il socialista
spagnolo Solana, annuncia la guerra lo fa sottolineando quello che sarà
l'obiettivo "umanitario" sbandierato dalle cancellerie e dai comandi militari:
"Prevenire nuove sofferenze umane e il proseguimento della repressione e della
violenza contro la popolazione civile del Kosovo". Però quando
contemporaneamente Clinton informa gli americani della decisione di bombardare
la Federazione jugoslava gli obiettivi diventano due: "Abbiamo ragioni sia
umanitarie che strategiche per intervenire". Vedremo nei giorni successivi che
le ragioni strategiche, collegate agli interessi nazionali americani nell'area
balcanica, non appariranno mai nei comunicati e nei proclami della macchina
propagandistica della NATO. Evidentemente le popolazioni europee non devono
sapere che gli americani si muovono per difendere i loro interessi nazionali,
non necessariamente coincidenti con quelli degli Stati europei.
Venerdì 26, terzo giorno di guerra, i comandi NATO si rendono conto che
il regime serbo non cederà facilmente. La macchina propagandistica
inizia allora a lanciare la tiritera dell'escalation del conflitto e del
passaggio alla seconda e poi alla terza fase dei piani previsti dai comandi
militari. Questi passaggi vengono definiti "momenti cruciali" del conflitto e
si cerca di farli passare come scelte capaci di determinare il cedimento di
Milosevic. Le bugie hanno le gambe corte e infatti ben presto si
smetterà di parlare delle "fasi" dei piani militari preparati dalla
NATO.
Domenica 28 i propagandisti della NATO si rendono conto che i serbi stanno
facendo quello che tutti gli osservatori avevano previsto, cioè una
"pulizia etnica" di grandi dimensioni, e cominciano a battere su questo tasto
facendo apparire l'esodo dei kosovari come una tragedia unica: "Siamo sull'orlo
della più grande catastrofe umanitaria dalla seconda guerra mondiale"
dice il portavoce della NATO, Shea. Seguendo questa linea, martedì 30,
il portavoce militare della NATO, l'inglese Whilby, dichiara che "sono cose che
non avevano più visto dagli anni `70, dai tempi dell'evacuazione di Phon
Peng in Cambogia da parte dei Khmer rossi". Parole come "olocausto",
"genocidio" vengono usate normalmente dai giornali che riprendono le conferenze
stampa che quotidianamente si svolgono a Bruxelles e Washington. I fumogeni
della propaganda evitano di ricordare che dal marzo 1998 al marzo 1999 le
vittime del conflitto etnico nel Kosovo erano valutabili in circa 2.200 e che
dal 1 gennaio al 25 marzo 1999 le vittime degli scontri in Kosovo erano state
132. Cifre enormi ma ben lontane da quello che quelle di un genocidio.
L'obiettivo di questa manovra è chiaro: coprire l'evidente fallimento
della strategia militare che ha accelerato invece di frenare la violenza dei
serbi ma coprire anche l'impreparazione degli "alleati" che non avevano fatto
assolutamente nulla per far fronte al prevedibile massiccio esodo di
kosovari.
Nei giorni successivi i comandi NATO e americani sono costretti ad ammettere
gli "errori tecnici" che causano decine di morti civili in Serbia e nel Kosovo.
L'effetto di questi "errori" sulla campagna propagandistica è che quasi
scompare ogni riferimento ai "bombardamenti chirurgici", parola "magica" che
era stata ripetuta spesso nei primi giorni di guerra ma che di fronte ai
continui tragici "errori" rischia di divenire controproducente.
In generale una osservazione appena un po' approfondita di quello che è
apparso sui media dimostra che la macchina propagandistica della NATO e degli
americani ha scelto la strada delle campagne brevi (due o tre giorni al
massimo) ma intense, con l'evidente scopo di influenzare l'opinione pubblica
con bombardamenti mirati ad alcuni argomenti. Abbiamo visto l'uso delle "fasi",
poi quello della esagerazione dei massacri in atto ma potremo ricordare anche
le "campagne" sugli stupri di massa e quella sulle fosse comuni. Evidentemente
gli strateghi della manipolazione del consenso ritengono che le opinioni
pubbliche siano meglio influenzabili con questo tipo di campagne che potremo
definire "usa e getta".
Nonostante l'enorme spiegamento di mezzi e il sostegno quasi unanime
dell'apparato massmediale i risultati delle campagne propagandistiche della
NATO e degli americani non paiono del tutto soddisfacenti. La motivazione
"umanitaria" fa acqua da tutte le parti (anche se il "fuoco di sbarramento"
propagandistico è riuscito a mascherare i veri motivi della guerra)
mentre è molto diffuso un sentimento di opposizione alla guerra,
sentimento che è cresciuto in questi primi 25 giorni di guerra.
Felix Castagna
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