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Da "Umanità Nova" n.14 del 25 aprile 1999

Banche: un contratto da sudare (freddo...)

Tra le varie categorie che sono prive di contratto, figura quella dei bancari, con un Ccnl scaduto alla fine del 1997. La trattativa non è mai entrata nel vivo, e la categoria ha scioperato in modo abbastanza compatto il 5/3 scorso, con un'adesione vicina all'80%, nonostante le forti contestazioni alla piattaforma dei sindacati.

Sarà bene ricordare in breve come sono andate le cose in banca in questi ultimi due anni. Come noto il calo dei tassi ha messo in crisi i bilanci delle banche a partire dal 1996, mentre la recessione degli anni precedenti aveva fatto lievitare le sofferenze a livelli preoccupanti. Le banche hanno pensato bene di scaricare sui lavoratori i propri problemi, scatenando una canea giornalistica che nel primo semestre fece apparire il sistema nazionale sull'orlo della bancarotta generalizzata. Le aziende più compromesse passarono a vie di fatto, bloccando le componenti aziendali del salario ed arrivando anche, in taluni casi, a ridurre lo stipendio mensile con complesse manovre su orari e straordinari. Messi sotto pressione, i sindacati arrivarono in soccorso dei padroni ed il 4/6/97 firmarono un protocollo in cui si impegnavano a fare i bravi in sede di rinnovo contrattuale. Dopo un'altra chilometrica trattativa, si arrivò, il 28/2/98, ad un accordo quadro che disegnava lo scenario del futuro: riduzione del 10% del costo del lavoro nel periodo 1998-2001, riduzione sensibile di automatismi di anzianità e di carriera, maggiore flessibilità di utilizzo della forza lavoro, deregulation degli orari ed altre amenità di questo genere, in cambio dell'istituzione di un fondo di sostegno al reddito per gestire gli esuberi (una sorta di cig a perdere per quelli da prepensionare).

L'accordo quadro scatenò molte contestazioni, la presa di distanza della Federdirigenti, e una firma con molti mal di pancia da parte della Falcri (gli autonomi delle casse di risparmio). Le altre sigle firmarono tutte, la Cgil rimbrottò i suoi estremisti di sinistra, richiamandoli a maggior disciplina di organizzazione, e tutti insieme di accinsero a stendere la piattaforma. Il compito non era facile, si trattava di tradurre in proposte concrete la rinuncia a diritti precedentemente acquisiti, bisognava far digerire alla categoria la prima piattaforma senza richieste salariali e tutto questo in un clima dove (ufficialmente) solo 55.000 lavoratori (su 300.000) avevano votato sì all'accordo quadro.

In più c'era da far partire l'Euro. Stabilita una moratoria fino al 31/1/99, i sindacati impiegarono quasi tutto l'anno a stendere una piattaforma sufficientemente generica, in modo da farla passare nelle assemblee e garantirsi spazi di manovra in sede negoziale. Naturalmente le assemblee non passarono lisce, per il sindacato, che di nuovo andò in minoranza in regioni importanti e verificò l'esistenza di dissensi molto ampi.

Il bello però doveva ancora venire: scaduta la moratoria, a fine gennaio avveniva il primo incontro ufficiale con l'Abi, che a sorpresa dichiarava la piattaforma "irricevibile" e la rimandava al mittente, comunicando contemporaneamente che dal giorno dopo avrebbe bloccato unilateralmente scatti d'anzianità e di carriera. Grande scorno del sindacato, che a quel punto si vedeva costretto a indurire i toni, rimarcando la "coerenza" tra accordo quadro e piattaforma, ribadendo la disponibilità a ridurre i costi della manodopera e negoziare il processo si smaltimento degli esuberi, che nessuno ha ancora avuto il buon gusto di quantificare in modo nemmeno sommario (si va da 30.000 a 60.000, "a la page").

Mentre l'Abi portava il proprio affondo respingendo la piattaforma, le aziende passavano ad azioni concrete. Se quasi tutte le banche procedevano al blocco degli scatti, la Bnaca di Roma accelerava la procedura di cessione di un ramo d'azienda (i centri contabili) con modalità non previste dall'attuale contratto. Intanto subiva un'accelerazione anche l'intenso processo di concentrazione che interessa il settore da circa un decennio: Unicredito lanciava un'offerta du fusione con Comit ed il Sanpaolo-Imi faceva lo stesso con la Banca di Roma. Altri movimenti analoghi sono in gestazione (Banca Intesa - Bnl, ricompattamento delle banche popolari, ecc). La fusione genera un aumento di valore solo tramite una forte razionalizzazione dei costi, che significa un drastico taglio agli organici. L'Unicredito stima in 3.700 gli esuberi nell'unione con Comit, Sanpaolo-Imi in 5-6.000 unità gli esuberi della fusione con Banca di Roma. Il fondo di sostegno al reddito riacquista dunque una sua scottante attualità, e non a caso il governo, nell'incontro preliminare con le parti, si è impegnato a vararne velocemente il regolamento.

E' curioso però che l'Abi abbia respinto una piattaforma così ben disposta a concedere tutto. In realtà c'è anche nel fronte bancario un asse confindustriale, che vede nella distruzione sostanziale del contratto nazionale il punto di partenza per una riscrittura delle regole contrattuali, dove perde peso il salario contrattato a vantaggio di quello variabile, dove scende la copertura normativa in cambio di maggior spazio di negoziazione aziendale, dove calano cioè le garanzie tutte assieme e sale la competitività di chi sa "dare di più".

Non a caso è uscita una circolare interna del gruppo Sanpaolo-Imi, che è pur sempre la prima banca italiana ed ha la vice-presidenza dell'Abi, dove si legge come l'azienda non abbia affatto intenzione di distruggere posti di lavoro, ma intenda semplicemente favorire il ricambio, incentivando sin da subito le uscite degli anziani, ed aspettando un quadro normativo "meno costoso" per assumere i giovani. In soldoni, siamo disposti ad assumere, se ci date il salario d'ingresso, la formazione fuori orario di lavoro, la possibilità di scremare con i CFL, e così via. Identico discorso per il salario: non di blocco si tratta, ma di riduzione del salario certo, in cambio di incentivi legati ai risultati.

Si tratta dunque di una svolta a 180 gradi: alla fine un accordo si troverà, la forza lavoro verrà svecchiata, il salario legato agli obiettivi e alle performance, le rigidità fortemente diluite. Dopo la prima giornata di sciopero nazionale, la trattativa si è sbloccata, sono state revocate altre tre giornate di sciopero già indette, dello stato dei colloqui non si sa più niente. Visti i precedenti, ci attendiamo un accordo senza lotte alla soglia delle ferie estive. L'iniziativa è in mano alle aziende che ristrutturano, i sindacati sono al traino e puntano solo a trattare. Le vertenze aziendali aperte non promettono bene, nonostante i buoni livelli di lotta. Non ci sono molti spazi di iniziativa autonoma, anche se le organizzazioni di base hanno raccolto decine di migliaia di firme per ottenere almeno un referendum alla fine della vertenza. Occorre ancora fare molto lavoro.

SBANCOR



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