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Da "Umanità Nova" n.15 del 2 maggio 1999
Destabilizzare l'Europa
Alle basi del conflitto
All'indomani del fatidico 1989, quando con la caduta simbolica del muro di
Berlino, si ebbe un incruento rimescolamento della carte in Europa e nel mondo
- fine della cristallizzazione bipolare - molti si auspicavano un futuro roseo,
fatto di pacifici commerci, di liberalizzazione dei movimenti di persone tra i
confini, oltre che di merci e di capitali, di cessazione dei conflitti per
procura (quelli che non potevano vedere lo scontro tra Usa e Urss a metà
strada, cioè in Europa, male cui tensioni reciproche venivano scaricati
su altri teatri di conflittualità armata), di diminuzione del traffico
di armamenti, che avrebbe apportato un dividendo di pace per lo sviluppo
finalmente dei paesi poveri.
Questo scenario è totalmente lontano dal fotografare la realtà
odierna che addirittura alcuni cominciano a rimpiangere la gelida
"stabilità" della guerra fredda. Già, perché i conflitti
armati non solo non sono cessati, ma incalzano in Europa, nei Balcani; non
essendoci più un condominio tra superpotenze nucleari, l'unica rimasta
sul campo ha mostrato al mondo i propri effetti speciali (mel 1991 contro
Saddam) e li continua a mostrare ritenendosi invicibile, per la gioia
dell'industria bellica. L'Europa è sì più unita, ma solo
economicamente e finanziariamente, e la circolazione libera di persone è
limitata alle frontiere esterne contro gli extracomunitari poveri e
all'interno contro i comunitari dissidenti (Ventimiglia docet).
L'Europa ribolle come alla vigilia della prima guerra mondiale, nonostante
quelle premesse. Perché?
Quella premessa, se realizzata sia pure in minima parte, avrebbe probabilmente
portato il mondo veros un assetto multipolare, in cui l'Europa di Maastricht e
Amsterdam, una volta dotatasi di una politica estera edi sicurezza comune,
emarginati i perplessi e i dissidenti interni, avrebbe potuto competere alla
pari con gli Usa, la cui presenza in Europa con la fine della minaccia nucleare
sovietica, la caduta del comunismo e l'integrazione nella Ue e nella Nato
addirittura di alcuni paesi un tempo al di là della cortina di ferro,
sarebbe stata difficile da giustificare, se non in presenza di qualche
ulteriore grosso pericolo planetario. Infine, l'Ue dotata di moneta unica, ha
un peso demografico, economico, finanziario e commerciale comparabile se non
quello superiore a quello statunitense (ma non del continente americano e
latino-americano, spesso alleato se non succubew al volere degli Usa), e in
più un volto meno arrogante nei confronti del mondo lontano (Cina e Asia
per intenderci) e probabilmente anche di quello vicino (il mondo arabo e
mediorientale, anche nelle sue componenti minoritarie fondamentaliste e
teocratiche, è forse più antiamericano che antieuropeo, comunque
con Occidente identifica alcune espressioni arroganti della civiltà
"americana", ma non tutte, utilizzando ampiamente le telecomunicazioni, le
tecnologie d'armi, ecc.).
Mettiamoci allora nie panni dell'unica superpotenza rimasta, che assiste al
declino pericoloso della Russia e al potenziale di crescita dell'Europa in
tempi brevi e della Cina in tempi lunghi (entro il 2050 la Cina potrebbe
raggiungere lo standard occidentale, ma con oltre un miliardo e passa di
popolazione, contro l'appena un miliardo di abitanti del mondo occidentale
euro-americano).
A breve termine, pertanto, e nell'ottica di arrivare a un eventuale
incontro/scontro con la Cina fra mezzo secolo, gli Usa (e il $) devono
"annettere" l'Europa e l'euro in un unico blocco euro-americano neoliberale e
neoliberista, prolungando un'alleanza squilibrata e asimmetrica risalente al
sacrificio americano per salvare gli europei dalla morsa nazi-fascista. Questo
è il patto faustiano della Nato, che oggi va revisionato ma non abolito,
nonostante la caduta dell'alter ego per cui era sorto (il Patto di Varsavia) e
contro la tendenza improbabile di fare della Nato - alleanza difensiva
anticomunista - il braccio armato della Ue a tutto raggio - ma allora gli Usa
non avrebbero spazio non facendo parte dell'Ue.
Per riuscire in tale intento, gli Usa devono destabilizzare l'Europa, e il
dollaro, non potendo destabilizzare l'euro come va facendo con altre divise in
Asia e in Russia grazie alla globalizzazione,deve cedere il passo alla
politica. E quale migliore occasione se non alimentare un conflitto violento,
crudele, cruento e senza soluzioni immediate nel cuore dell'Europa, ai confini
con l'Ue?
Approfittando della debolezza europea, e in stretta sinergia con i nemici di
ieri che mal gradiscono una Ue forte che si allarga politicamente,
economicamente e militarmente sino ai propri confini (una Russia anche
così come è non potrebbe mai fare parte della Nato o dell'Ue
perché la squilibrerebbe essendo tanto grande e grossa, e smembrarla
è più pericoloso che lasciarla debole ai margini dell'attrito
geopolitico euroamericano e asiatico, nazionalismo permettendo...), gli Usa si
pongono come apparente faurote attivo della pace nei Balcani (vedi Dayton) ma
solo fuori tempo massimo quando il danno è compiuto e l'odio violento
montato a sufficienza per i prossimi decenni.
Legando il destino dell'Europa unita alla potenza militare statunitense, l'Ue
si ritrova in guerra senza saperlo, sconvolgendo ogni proiezione ottimistica
dei conti economici, delle bilance di pagamento, dell'allargamento ad est, dei
rapporti euromediterranei. Una guerra dei Balcani rilega l'Europa all'America
dando a Washington il pallino della strategia mondiale, limitando con una
alleanza politica che usa lo strumento militare secondo gli interessi
statunitensi, una equa competizione liberale tra l'economia e la civiltà
europea dell'euro e la penetrazione commerciale del dollaro di cui è
sintomo da non sottovalutare lo scontro sull'Accordo Multilaterale degli
Investimenti (rinviato dalla sede Ocse a quella Wto con acceso conflitto sulla
poltrona del prossimo segretario generale) oppure la guerra delle banane tra
Usa e Ue per le preferenze di favore con i paesi Acp cui l'Europa è
legata dalla Convenzione di Lomè il cui rinnovo l'anno prossimo è
messo in pericolo, con grave danno per i paesi africani, caraibici e dell'area
del Pacifico, tra i più poveri del pianeta, dai vincoli di
non-discriminazione commerciale del Wto, che negherebbe aiuti necessari per una
idea di liberalizzazione astratta tra partners disuguali.
Nello scontro tra euro e dollaro sul commercio, gli Usa possono ricorrere alla
destabilizzazione politica dell'Europa, prima di arrivare o per prevenire lo
splash down finanziario che potrebbe far crollare l'intero edificio della
globalizzazione (ad esempio, qualora i giapponesi in crisi trovassero
più conveniente investire i risparmi in Europa ritirando al contempo gli
investimenti in titoli di stato americani dagli alti interessi bancari,
mandando il Tesoro americano in bancarotta data la forte esposizione debitoria
nella bilancia dei pagamenti con l'estero compensata appunto con la forza di
attrazione dei capitali esteri in una Borsa di Wall Street sovravvulata,
essendo gli Usa ancora oggi il paese che attira più capitali di ogni
altro paese al mondo, come se fosse una economia povera da aiutare...).
Fantapolitica?
Salvo Vaccaro
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