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Da "Umanità Nova" n.15 del 2 maggio 1999

13 maggio. Sciopero contro la guerra

La guerra nei Balcani, come sempre avviene di fronte ad eventi del genere, ha posto tutte le forze sociali, politiche e sindacali di fronte alla necessità di assumere una posizione che non permette eccessivi sforzi di interpretazione.L'articolo che segue è stato steso prima che ci giungesse notizia del fatto che la CUB, i Cobas e diverse altre realtà del sindacalismo alternativo hanno deciso lo sciopero nazionale contro la guerra per giovedì 13 aprile, Risente, quindi di un clima di incertezza e di problematicità che, oggi, è, per certi versi, superato con nostra soddisfazione ed anche grazie alla pressione che molti compagni hanno fatto nella direzione di una maggior determinazione nell'azione. Può essere opportuno pubblicarlo anche per rendere conto di questioni che hanno un interesse non contingente e che ci coinvolgono come militanti libertari che siamo impegnati o meno sul terreno sindacale.

La guerra nei Balcani, come sempre avviene quando si danno eventi del genere, ha posto tutte le forze sociali, politiche e sindacali di fronte alla necessità di assumere una posizione che non permette eccessivi sforzi di interpretazione.

La destra, se si escludono alcuni settori fascisti o fascisteggianti, ha preso, come era prevedibile, la sua tradizionale posizione filo americana, gran parte della sinistra ha calcato l'elmetto ed è corsa in soccorso agli USA e l'opposizione, più o meno coerente, alla guerra è stata lasciata ad un arco di soggetti fra di loro non troppo omogenei.

Sulle pagine di UN si è già reso conto, e si continuerà a farlo, delle iniziative e delle prese di posizioni politiche più significative.

Vale, a mio parere, la pena di ragionare sul dibattito che attraversa i diversi soggetti sindacali sia per completezza della riflessione che per le implicazioni pratiche di questa discussione soprattutto per quel che riguarda l'indizione di uno sciopero contro la guerra.

La posizione di CGIL-CISL-UIL è nota: sostegno al governo nel difficile momento che la nazione attraversa.

Questo sostegno assume, e non è un caso, i toni osceni dell'impegno "umanitario" nei confronti dei profughi, impegno che viene condiviso, per motivi più che comprensibili, da molti lavoratori colpiti dalla tragica condizione degli albanesi del Kossovo, nel mentre serve a nascondere le responsabilità del governo e della NATO nel determinare la situazione che ha creato l'attuale massa di rifugiati.

La sinistra sindacale della CGIL e settori delle RSU hanno preso le distanze dalla posizione delle loro direzioni e hanno lanciato la parola d'ordine dello sciopero contro la guerra legando questa possibilità ad una decisione di quegli stessi apparati che pretendono di combattere.

Si tratta di una prassi politica e sindacale non nuova, anzi, ma volta a tenere dentro la CGIL le aree dissidenti a sinistra e ad impegnarle in una battaglia persa in partenza per spostare l'asse interno alle organizzazioni di riferimento.

Dal nostro punto di vista questa dialettica va colta nelle sue potenzialità, sia come possibilità di rendere visibile a strati di lavoratori e militanti l'opportunismo della sinistra sindacale che, soprattutto, come occasione per offrire ai delegati delle RSU in buonafede uno spazio per agire concretamente contro la guerra.

L'area che può giocare un ruolo diretto ed attivo nella costruzione di lotte più radicali su questo terreno è, per definizione, quella del sindacalismo di base. Sinora quest'area ha prodotto due iniziative: lo sciopero delle prime ore di lavoro del 30 marzo e la manifestazione romana del 17 aprile mentre l'USI-AIT ha rotto gli indugi con uno sciopero dell'intera giornata il 14 marzo.

Dopo lunghe e complesse discussioni gran parte delle strutture del sindacalismo di base ha deciso una giornata di sciopero nazionale contro la guerra per Giovedì 13 aprile. Si tratta di un passaggio in avanti decisamente positivo e sul quale dovremo impegnarci con determinazione. Vale, comunque la pena, di ragionare sulle cause della relativa lentezza di una decisione che avrebbe dovuto, a nostro parere, essere presa prima sia al fine di preparane al meglio lo svolgimento che a quello di mandare un segnale ancora più forte ai lavoratori ed al governo.

Si è notato, infatti, che hanno pesato diversi fattori di freno all'azione. Proverò a segnalarli:

- in primo luogo, e si tratta della preoccupazione più comprensibile e condivisibile, è un fatto che i lavoratori italiani sono bombardati da una campagna televisiva e giornalistica assai più efficiente di quella che c'è stata nel corso della guerra del golfo. Molti iscritti ai sindacati di base hanno tutt'altro che le idee chiare sulla guerra nei Balcani e, per dirla tutta, i meccanismi che portano a scegliere un sindacato alternativo rispetto ad uno di stato non sono necessariamente gli stessi che portano ad assumere una posizione politica netta su questioni generali. Costruire un sciopero contro la guerra che coinvolga settori significativi di lavoratori non è di conseguenza, facile, tutt'altro. A maggior ragione, però, la battaglia perché riesca e coinvolga il maggior numero di lavoratori possibili oltre a tutte le forze sociali che possono contribuirvi deve svilupparsi senza esitazioni. Se, come è evidente, la guerra ha toccato la sensibilità di strati larghi di lavoratori, un iniziativa chiara può essere un'occasione di mobilitazione e di aggregazione di forze più ampie di quelle che il sindacalismo di base organizza attualmente:

- sulla guerra il PRC si è speso in maniera molto visibile occupando lo spazio mediatico che il partito della guerra ha lasciato libero. Non a caso i centri sociali ed il variegato mondo della sinistra non istituzionale hanno teso a rafforzare le iniziative dello stesso PRC più che agire in prima persona. Non ritengo valga la pena di insistere troppo su quali siano le ambiguità e le contraddizioni del PRC che combatte la politica del governo sulla questione della guerra nel mentre cerca rapporti con le stesse forze che lo sostengono su altri terreni e mira a coinvolgere in un'opposizione generica alla guerra settori della sinistra di governo pagando dazio alla necessità di fare proposte condivisibili dalla sinistra cattolica, verde e diessina e limitando la propria azione ad una serie, pur di per sé utile, di manifestazioni. Una considerazione analoga vale sul piano dell'intervento sindacale del PRC che resta, nella sostanza, legato alla pratica della sinistra CGIL, pratica fatta di pressioni virtuali sull'apparato sindacale e di subalternità reale alle sue scelte. Il fatto è che c'è un deficit di autonomia della sinistra sociale e, in qualche misura, di settori del sindacalismo alternativo, deficit le cui ragioni vanno individuate e rispetto al quale c'è necessità di agire con determinazione;

- sul comportamento dei centri sociali vale forse la pena di insistere. Abbiamo spesso rilevato come quest'area abbia la propensione a coniugare il più aperto opportunismo sul piano delle parole d'ordine e delle alleanze tattiche con la pratica dell'animazione sociale di tipo muscolare nelle manifestazioni di piazza alle quali partecipa. Si tratta di una modalità di azione che inchioda quest'area ad una funzione subalterna nei confronti della sinistra istituzionale, una funzione di vero e proprio recupero di strati giovanili che domandano un'azione decisa sui temi che attraversano la società. Va, nei confronti di costoro, rimarcata la differenza fra radicalità delle proposte e delle pratiche ed estremismo confusionario da mosche cocchiere della sinistra parlamentare. Questo discorso, comunque, non vale solo per il momento attuale anche se alcune scelte appaiono decisamente scandalose anche all'osservatore più benevolo;

- le divisioni interne al sindacalismo alternativo, divisioni che derivano in parte da ragioni serie e in parte da giochi di potere, non hanno aiutato la costruzione di un'iniziativa forte e incisiva. Si tratta di un problema di non facile soluzione che non può, però, giustificare bizantinismi e manovre diplomatiche infinite fra gli stati maggiori del sindacalismo alternativo.

Le ragioni per le quali la scelta, dopo discussioni defatiganti, di una data precisa per lo sciopero è assolutamente positiva sono diverse:

- proprio il fatto che lo sciopero è difficile da farsi rende necessario avere il tempo per prepararlo, per spiegarne le ragioni, per coinvolgere il maggior numero possibile di lavoratori. Questo se si vuole che lo sciopero riesca e non sia una iniziativa che coinvolge solo gruppi locali di lavoratori particolarmente sensibili a questi temi;

- la tesi sostenuta da alcuni settori di movimento che sarebbe stato bene legare lo sciopero all'intervento di terra e alle misure economiche di sostegno alla guerra (nuove tasse e tagli) sembra fondata ma è debole per vari motivi. In primo luogo l'intervento di terra non è qualitativamente diverso dai bombardamenti ma ne è solo la prosecuzione. In secondo luogo la pressione mediatica farà apparire l'intervento di terra necessario e legittimo come oggi fa apparire necessari e legittimi i bombardamenti. In terzo ed ultimo luogo, se la guerra proseguirà per mesi questo sciopero non sarà che una delle iniziative da costruire e, a rigore, nemmeno la principale.

Per concludere. se, come è noto, la lotta politica. sociale e sindacale vive delle accelerazioni e dei momenti di chiarificazione su temi nodali per il corpo sociale. la guerra è uno dei momenti di verifica dei termini dello scontro sociale più rilevanti. Si tratta per tutti noi di assumerci le nostre responsabilità e di operare di conseguenza.

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