Da "Umanità Nova" n.16 del 9 maggio 1999
13 Maggio. Sciopero contro la guerra
Un importante momento di lotta
Giovedì 13 maggio si svolgerà lo sciopero contro la guerra
indetto da gran parte del sindacalismo alternativo.
A questa scadenza si è giunti con qualche difficoltà, peraltro
comprensibile, ma si è giunti.
Si tratta ora di lavorare perché lo sciopero riesca al meglio e
perché sia l'occasione per rilanciare un'iniziativa contro la guerra che
rischiava di impantanarsi in una serie di manifestazioni oramai ripetitive e
nella ricerca di mediazioni fra le diverse aree della sinistra di governo e di
opposizione.
Senza fare dello sciopero un mito, infatti, si deve cogliere il suo carattere
di chiarificazione dello scenario e di definizione delle forze in campo.
Sul 13 maggio si definirà, in primo luogo, la differenza fra chi
costruisce lo sciopero e chi lo chiede a CGIL-CISL-UIL dimenticando o fingendo
di dimenticare su che posizioni sono schierati questi sindacati.
Può apparire una dialettica interna ai militanti sindacali ma non ne va
dimenticata la ricaduta fra i lavoratori.
Sul 13 aprile si misurerà la capacità di legare la critica alla
guerra all'esterno con la denuncia della sua ricaduta interna in termini di
riduzione delle libertà politiche, sociali e sindacali per un verso e di
taglio del reddito delle classi subalterne per l'altro.
Il sindacalismo alternativo dovrà, in questo frangente, misurare la
propria capacità di tradurre il consenso che ha conquistato in questi
anni sul terreno aziendale, categoriale, rivendicativo in adesione ad una
prospettiva più generale di lotta sindacale e politica volta a incidere
sulle decisioni generali del governo e del padronato.
Il 13 maggio sarà anche l'occasione per una verifica del comportamento
della sinistra sindacale istituzionale.
Il "Coordinamento Nazionale delle delegate e dei delegati eletti nelle RSU"
riunito a Bologna il 30 aprile 1999 ha, infatti, deciso di dar vita ad un
"Comitato nazionale per lo sciopero generale, contro la guerra" che, oltre a
ribadire che richiederà a CGIL-CISL-UIL uno sciopero, ha promosso una
giornata di lotta e mobilitazione contro la guerra per il 21 maggio.
Il fatto che questa decisione sia stata presa il 30 aprile, dopo che
l'indizione dello sciopero del 13 maggio era stata resa nota, che si parli di
"mobilitazione e lotta" e non di sciopero generale la dice lunga sulle
ambiguità di quest'area che sembra più interessata ad arginare la
disponibilità allo sciopero della propria base sociale che a fare
qualcosa di concreto.
Detto ciò, è evidente che l'iniziativa delle RSU rischia di
creare tensioni, sconcerto, sbandamenti e che va, al contrario fatto uno sforzo
per porre tutti di fronte alle proprie responsabilità. I settori delle
RSU che vogliono mobilitarsi potranno iniziare a farlo il 13 maggio senza nulla
togliere ad iniziative seguenti più larghe ed incisive.
Lo sciopero diviene un elemento di chiarezza anche sulle modalità di
costruzione della costruzione della lotta alla guerra.
Non è, infatti, accettabile l'opposizione, sostanzialmente spettacolare,
fra il pacifismo perbenista di chi vuole sfilare in piazza a fianco di quella
stessa sinistra istituzionale che appoggia il governo della guerra e la
tensione all'animazione sociale dei settori di movimento che puntano tutto
sulla contestazione di piazza alla sinistra governativa.
L'autonomia politica, progettuale, sindacale, operativa delle classi subalterne
si costruisce, nella misura in cui ci si riesce, sui posti di lavoro, sul
territorio, nei luoghi ove le vittime della politica di guerra vivono e
lavorano.
Solo sulla base di questo percorso si può pensare ad iniziative vere
contro la guerra e nessuna scappatoia è praticabile.
Ritengo evidente che il fatto che viviamo in Italia, che da basi italiane
partono gli aerei della NATO, che truppe italiane sono già stanziate nei
Balcani e che altre rischiano di essere spedite nella zona di guerra ci ponga
dinanzi al compito di una critica secca e radicale di ogni pretesa
dell'occidente di sottoporre il resto del mondo ad un regime di polizia
comunque mascherato.
È altrettanto importante, anche se si percepisce meno, che va rifiutata
ogni logica nazionalista ed etnicista. Il nemico del nostro nemico non è
necessariamente il nostro amico e certo il regime serbo non merita alcuna
solidarietà.
I settori "nazionalbolscevichi" del movimento contro la guerra sono un problema
secondario ma sono un problema. Infatti, il disgusto per i crimini
dell'occidente liberaldemocratico può ridare spazio a culture che il
crollo del blocco a capitalismo di stato ha significativamente messo in crisi.
Si perderebbe, se queste posizioni si affermassero, un'occasione preziosa per
affermare un punto di vista internazionalista, radicale, classista che
è, oggi ancora più che in passato, l'unico adeguato a giudicare
la situazione che viviamo ed a costruire gli strumenti per affrontarlo.
Lo sciopero, proprio per il suo carattere di classe rimanda immediatamente alla
dimensione della solidarietà internazionale fra gli sfruttati,
dimensione che va valorizzata, esplicitata, resa operativa.
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