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Da "Umanità Nova" n.17 del 16 maggio 1999
Le proposte del G8 per la crisi jugoslava
La Pace delle Bombe
Chi sostiene che l'accordo per concludere questa fase della guerra dei Balcani,
trovato all'interno del G8, sia un modo per ridimensionare la NATO a favore
dell'ONU, rimettendo in gioco la Russia (e anche la Cina dopo il bombardamento
della loro ambasciata a Belgrado, grazie a mappe sbagliate, immagino come
quelle che avevano i piloti della strage del Cermis), trascura il piccolo
particolare che i 6 dei G8 sono già la NATO, laddove la Russia
è un gigante militare ma non economico - e senza soldi le armi non
sparano se non nella follia nucleare di un nostalgico Stranamore russo - e il
Giappone è un gigante economico (nonostante la crisi asiatica) ma non
militare, dipendendo per la propria sicurezza nell'estremo scacchiere asiatico
dall'ombrello militare nucleare statunitense.
L'obbiettivo è recuperare a posteriori una legittimità formale
dietro ad una eventuale Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite, che registri ciò che è; un po' come la tregua
siglata a Dayton nel 1995 per la Bosnia registrava i limiti raggiunti dalle
operazioni militari di pulizia etnica sul campo.
Se Milosevic accetterà questa base di trattativa avrà ancora
alcune carte in mano da giocare sul tavolo, grazie alla sua politica omicida e
deportatrice in Kosovo. Ossia la contrattazione dei confini del "nuovo" Kosovo
depurato dai cittadini serbi di lingua albanese. Anche se i rifugiati, interni
ed esterni, ritorneranno un giorno non vicino - ma ciò non è
affatto scontato, al di là di dichiarazioni retoriche di principio, sia
perché nell'immediato troverebbero macerie per giunta radioattive, sia
perché la ricostruzione impiega anni, sia perché gli odi
reciproci non inducono a ripristinare una convivenza già difficile
anteriormente alla guerra, sia perché le operazioni di rientro durano
decenni, come è il caso della Cambogia e come è il caso ancora
non definito delle genti serbe e bosniache fuggite in occasione della prima
guerra dei Balcani (1991 - 1995) - il danno è già compiuto, e la
controdeportazione potrà concentrarsi solo su una parte del Kosovo
originario (chi dice un terzo, chi due terzi), alimentando future
rivendicazioni. E' la conferma che la NATO o non aveva idee politiche chiare
su cosa ottenere con la guerra contro la Serbia, o le aveva fin
troppo in una "casuale" convergenza con quelle di Milosevic per superare
l'impasse delle trattative di Rambouillet: è più facile discutere
ex novo con gli equilibri stravolti dal sangue di vittime innocenti.
La guerra non scioglie il problema, ma lo pospone di cinque - dieci anni.
Infatti nei Balcani solo gli albanesi cittadini serbi restano l'unico gruppo
nazionale che non riesce a ottenere l'indipendenza attraverso la
secessione (violenta), come invece hanno ottenuto tutti gli altri gruppi
più o meno minoritari ma concentrati territorialmente (anche i serbi di
Bosnia, meno numerosi dei kosovari albanesi, hanno la loro indipendenza entro
il regime confederale triangolare della Bosnia Erzegovina).
La liberazione di Rugova è una mina anti-USA, che hanno sostenuto l'UCK
per scardinare un equilibrio instabile e distillante sangue massacri dopo
massacri. Se li hanno armati come fecero ai tempi con i mujahiddin afgani in
funzione anti-sovietica, è evidente che l'UCK non deporrà le armi
- forse le nasconderà per riprenderle al momento opportuno. I segnali
non sono incoraggianti e preannunciano altre violenze: i guerriglieri sembrano
avvicinarsi a un esercito in miniatura (uniformi, gerarchie tradizionali non
più legate a raggruppamenti familiari), e in più hanno un
comandante militare, un ex-generale croato di origine albanese che i serbi
accusano di essere uno dei macellai della Krajina, mentre del leader politico
dell'UCK, Hashim Thaqui, antagonista di Rugova, sembra non sapersi nulla, se
non la percezione dei toni nazionalisti accesi che lo fa assomigliare a tanti
altri leader della regione che sposano nazionalismo e sciovinismo per
conquistare il potere.
La liberazione di Rugova mira a dividere gli albanesi sul piano delle
trattative e a unire gli europei contro il facile sostegno americano all'UCK,
mina vagante alle porte dell'Europa, nonché testa di ponte per un
eventuale attacco via terra, il cui sacrificio verrebbe ricompensato con
l'innalzamento delle pretese di sovranità. Non è una
novità che, insieme alle truppe dell'UCK, già operino sul terreno
commandos militari inglesi e statunitensi che si attivano per le operazioni di
"intelligence" (le virgolette sono d'obbligo dopo i numerosi "stupidi" ma
fisiologici errori della NATO), di sabotaggio e di azioni sporche da far
ricadere su responsabilità altrui.
Cosa ne sarà degli albanesi del Kosovo? Rinunceranno all'indipendenza
accontentandosi di un'autonomia federata alla Jugoslavia (vicina - lontana ai
serbi)? Quanto reggerà il protettorato della NATO, al pari degli
albanesi "doc" (per parte italiana) e dei bosniaci (lo S.F.O.R. è
praticamente la NATO, non l'ONU)? Che fine farà il gruppo dirigente
jugoslavo? E sarà la macedonia il prossimo tassello a saltare nel puzzle
balcanico?
Di questi problemi di fondo i governi che hanno scatenato il conflitto
acuendoli ulteriormente, tacciono per ignavia e per responsabilità
diretta, badando a seminare morte con la mano destra e aiuti umanitari con la
sinistra, tipico esempio di lingua biforcuta ad uso di un'opinione pubblica da
commuovere emotivamente impedendo di farsi troppe domande ragionevoli e,
soprattutto, inopportune.
Per quanto possibile, cercheremo di ragionare sul presente e sul futuro
affinché le vittime di ogni parte di ogni folle calcolo militare e
politico non siano morte invano, costringendoci così a prendere le
nostre responsabilità di cittadini sul piano pratico, e non solo
intellettuale, in maniera che non trionfi il bispensiero di Orwell: la guerra
è pace.
Salvo Vaccaro
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