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Da "Umanità Nova" n.17 del 16 maggio 1999

Indonesia: Timor, West Papua... Una polveriera nel Sud Est asiatico

Un focolaio per un possibile intervento "umanitario" prossimo venturo

Vari sono gli scenari mondiali di annunciati conflitti locali nei quali prima o poi assisteremo, volenti o nolenti, al pesante intervento del braccio armato dell'imperialismo USA. Uno di questi è senz'altro l'Indonesia.

Dopo la caduta del dittatore Suharto che ne aveva retto le sorti per più di 30 anni, una crescente instabilità ha caratterizzato il maggiore stato del Sud-est asiatico, che ha una popolazione di oltre 200 milioni di abitanti, i quali vivono su 13 mila fra isole ed isolette dell'arcipelago malese. (v. anche Corrispondenza su U.N. del 6/12/98)

LE SPINTE INDIPENDENTISTE

Dopo Timor Est, West Papua (Irian Jaya), Aceh, che da sempre si stanno battendo per l'indipendenza, altri movimenti in alcune parti delle isole Sulawesi e Bali stanno a loro volta avanzando rivendicazioni simili. L'esercito, una delle cui funzioni dichiarate è quella di sussistere per mantenere la pace interna, difficilmente riuscirebbe a fronteggiare la situazione se i vari movimenti indipendentisti si muovessero in concomitanza. E' questa la tesi che ha espresso John Ondawame, un esponente dell'OPM (Organisasi Papua Merdeka, uno dei movimenti di opposizione dei nativi della Nuova Guinea occidentale) il quale lo scorso febbraio è stato protagonista di un ciclo di conferenze attraverso varie università degli Stati Uniti e nel nord Europa.

TIMOR EST

Soltanto a Timor Est, la situazione probabilmente più difficile, sono impegnati circa 100.000 militari e malgrado il genocidio che nei 25 anni di occupazione ha comportato oltre 200 mila morti, la spinta indipendentista permane. Trattandosi di una ex colonia portoghese, che il dittatore indonesiano aveva tentato di annettere quando il Portogallo si era ritirato da quel territorio, il passaggio ad una autonimia spinta, premessa per una vera e propria indipendenza, sta avvenendo in questi giorni ed è destinato a perfezionarsi in un futuro non lontano. Timor est in tutti questi anni ha mantenuto rappresentanze diplomatiche all'estero, in particolare presso le Nazioni Unite, ed ha un forte appoggio in Vaticano (più o meno palese a seconda delle circostanze, come ci si può attendere da quegli ambienti) e in questo modo i dirigenti indipendentisti, si sono garantiti una certa agibilità diplomatica.

WEST PAPUA

Ben diverse invece appaiono le sorti di West Papua (Irian Jaya). Il territorio è la parte occidentale dell'isola di Nuova Guinea, la maggiore isola dei complessi arcipelaghi che si trovano a nord dell'Australia, già colonia olandese (mentre la parte orientale era sotto dominazione tedesca ed ha seguito un diverso destino); dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, con la liquidazione delle colonie, l'ONU l'aveva assegnato in protettorato all'Indonesia, a partire dal '63, con l'aiuto del governo Kennedy. Nel '69, con l'ausilio di un referendum di facciata, nel quale interpellò 1025 supposti capi popolo e li fece accettare il nuovo ordinamento, Suharto l'annesse come 26deg. provincia, con la copertura dell'allora segretario di Stato e inviato degli USA presso le Nazioni Unite Henry Kissinger, lo stesso personaggio che oggi riveste una figura centrale quale membro del consiglio di amministrazione della Freeport McMoRan, la multinazionale Usa che in quell'isola sta sfruttando il maggior giacimento mondiale di rame e oro.

La popolazione nativa, formata da 252 diversi gruppi, fra cui gli Amungme, i Kamoro e i Dani, è di circa 1 milione e duecentomila abitanti, ma in seguito alla spinta all'immigrazione degli anni passati ben 800.000 sono i nuovi insediati di provenienza indonesiana e, soprattutto a causa della forte presenza militare, oggi si può dire che i nativi sono diventati una specie di minoranza negletta sulla propria terra. Una terra in meno di trent'anni sventrata dall'attività mineraria, deforestata senza criterio, devastata in seguito a questi interventi da alluvioni, incendi ed inquinamento da metalli.

La parte del leone nello sfruttamento minerario la fa appunto la Freeport MacMoRan che da sola versa un quinto delle entrate dello stato indonesiano; la miniera, le sue dipendenze e tutto ciò che vi fa riferimento sull'isola è altamente militarizzato.

La resistenza all'invasione indonesiana ha avuto vari sviluppi negli anni passati. Azioni di guerriglia e di sabotaggio si sono alternate ad esodi massicci, e il peso di una cultura "occidentalizzata" (uso di alcol e chiese cristiane compresi) hanno fatto molto per indebolire lo stesso desiderio di sopravvivenza e di identità dei nativi.

Recentemente però gli indigeni di West Papua sono divenuti più decisi all'interno del paese riguardo alla richiesta di indipendenza: a metà febbraio hanno presentato una petizione firmata da oltre 100 persone al presidente Habibie.

Ciò è avvenuto per due motivi principali. Uno, l'accresciuta violenza verso la popolazione locale da parte dei militari, che a Biak lo scorso anno è arrivata al massacro di indigeni colpevoli di aver issato la bandiera papuasiana. E' difficile dire quanti siano stati i morti perché i cadaveri sono stati gettati in mare dalle navi. Uno degli scampati ha detto che donne, bambini e uomini che avevano tirato su la bandiera e stavano dimostrando pacificamente per l'indipendenza sono stati presi dai soldati indonesiani, condotti al porto, caricati su imbarcazioni e poi uccisi di botte e gettati in mare avvolti in una tela. Simili episodi erano già avvenuti in passato, ma il fatto che ora questa gente ne parli apertamente e vada anche alla televisione in Australia sta ad indicare che non ne possono più ed anche che forse oggi pensano sia giunto il momento propizio per veder accolte le loro richieste ed essere presi in considerazione dalla comunità internazionale.

Il secondo fattore è la fragilità economica dell'Indonesia, che comporta un indebolimento dello stato e che suggerisce che questo sia il momento buono per un cambiamento. Il movimento di resistenza di West Papua oggi include una vasta varietà di gente, dai guerriglieri OPM della foresta poveramente armati, agli studenti delle classi medie, alle diverse chiese (mentre gli indonesiani sono generalmente islamici i nativi sono per la maggior parte cristiani) e numerosi gruppi di associazioni non governative.

FRA SPORADICI PROCESSI PER CORRUZIONE ED ELEZIONI

In ogni caso sarà ben difficile che l'Indonesia lasci libera West Papua come si accinge a fare con Timor Est (e anche qui proprio in questi giorni il processo è ostacolato da bande paramilitari armate dall'esercito regolare che a ritmo serrato mantengono alta la tensione con incursioni e massacri). Se l'autonomia e Timor può essere un sollievo per il governo di Giacarta, invece West Papua è troppo importante economicamente per l'attuale regime: la Freeport versa come imposte il 10 per cento del ricavato delle sue estrazioni. Con la multinazionale americana sono entrati in affari un elevato numero di membri del passato regime, che la Freeport non ha esitato a favorire per poter rinnovare i suoi contratti fino al 2040. In questi tempi, nell'imminenza di elezioni "libere" che dovrebbero svolgersi ai primi di giugno, alcuni personaggi vicini o appartenenti alla famiglia dell'ex dittatore sono stati chiamati davanti ai tribunali per rispondere di varie accuse: una tornata "giudiziaria" può sempre contribuire a ridare fiducia e continuità al regime, come Tangentopoli da noi ha insegnato. In ogni caso per ora non risultano coinvolti i personaggi principali, come Ginandjar, a suo tempo ministro alle miniere di Suharto.

Riassumendo: lo stato di indigenza in cui i cittadini indonesiani sono precipitati dopo il tracollo economico di due anni fa; il mai sopito malumore verso gli immigrati cinesi che sono divenuti ormai una minoranza consistente e meno disagiata della popolazione; le diverse religioni - islamica, cristiana (anche cattolica), buddista, confuciana e altre ancora - che sono praticate dalle varie etnie; la forte presenza di interessi economici Usa in alcuni settori; le spinte indipendentiste dei popoli presenti, sono tutti elementi che contribuiscono a rendere plausibile il riproporsi di una situazione di tipo balcanico nell'arcipelago malese.

Alfonso Nicolazzi, su materiali forniti da Alison e Steve



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