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Da "Umanità Nova" n.17 del 16 maggio 1999

Centri sociali di Torino
Sotto la tutela di Rifondazione

A più riprese, sulle pagine di UN, sono state pubblicate riflessioni ed informazioni sul rapporto fra centri sociali, area postautonoma e sinistra istituzionale. Per diversi motivi, l'attenzione è stata posta soprattutto sulla deriva dei centri sociali del nord est e del sin troppo noto Leoncavallo.

Può valere la pena di ragionare anche su quanto avviene nel più roccioso nord ovest.

Onde evitare di essere accusati di faziosità, riportiamo alcuni brani tratti da un'intervista a Renato Patrito, della segreteria provinciale torinese del PRC, pubblicata col suggestivo titolo "Rifondazione dotto la pioggia" sul numero 6 del giornale "Numero Zero" editato da militanti dell'area del centro sociale Gabrio.

Il numero in questione è uscito ad aprile e rappresenta, di conseguenza, un punto di vista che Patrito non dovrebbe aver abbandonato nel frattempo e che sembra condiviso dall'area dei centri sociali

Domanda

La spaccatura ha cambiato i rapporti sul terreno istituzionale. Ora puntate ad uscire dalle istituzioni o a riprodurre la veccia linea di lotta e di governo?

Risposta

Non vogliamo rinunciare alla battaglia politica dentro alle istituzioni. Vogliamo che queste facciano il loro dovere confrontandoci con esse su dei progetti... Stiamo dentro le istituzioni perché queste operino nel modo dovuto, non comunque sia.

Domanda

Come pensate di sviluppare un rapporto con i centri sociali?

Risposta

Credo che una logica antagonista si sviluppi su contenuti e proposte. Non mi spaventa che la posizione dei centri sociali di Torino sia estranea alle istituzioni. Sappiamo tutti che la realtà di Torino dei centri è un po' diversa da quella nazionale. A noi ci interessa misurarci sulle cose e sui fatti concreti... Non penso che debba esserci la pregiudiziale istituzionale. In altri termini, ci sono centri sociali a Torino che comunque usano le istituzioni e giustamente. Poi, dipende quanto si usano e lì si può non essere tutti d'accordo. È naturale che questi centri possano sopravvivere con le loro attività perché c'è comunque da parte loro un `uso' delle istituzioni... Non c'è in questo strumentalità da parte degli uni o degli altri... Questo vale per Rifondazione, l'Askatasuna, il Gabrio o qualsiasi associazione. Fai delle cose e su quello ottieni il consenso."

Proviamo a tradurre quanto Patrito afferma: i centri sociali operano al di fuori delle istituzioni. Il PRC all'interno, anche se con qualche difficoltà, fra le due forze c'è una dialettica su precise proposte.

Si tratta, in fondo, di una variante sul tema del "partito di lotta e di governo".

Il PRC, in questo modo, tiene aperta una dialettica con aree vivaci e capaci di aggregare settori giovanili e i centri sociali hanno una sponda istituzionale.

Questa dialettica, d'altro canto ha dei limiti evidenti, limiti sperimentati appieno durante i fatti del primo maggio a Torino. Quando i partiti di governo e basta decidono di non tollerare alcuna forma, anche blanda, di opposizione la politica del doppio binario del PRC porta a degli imprevisti deragliamenti e la sua funzione di copertura istituzionale per l'opposizione sociale viene meno.

Il PRC, a questo punto, rischia di pagare un prezzo notevole per le sue scelte "movimentiste". Come si è già fatto notare, non è un problema nostro.

È, invece, un problema almeno parzialmente nostro, la debolezza progettuale di quei settori dell'opposizione sociale che si collocano in questa particolare dialettica fra movimento e istituzioni.

Non crediamo, infatti, che la differenza fra le scelte dei settori postautonomi del lombardo veneto e quella dei centri sociali torinesi sia così radicale come può sembrare.

È vero che i centri sociali del nord est ed il Leoncavallo dialogano con Cacciari e con i vescovi mentre i centri sociali piemontesi si fermano, per ora, al PRC ma non muta la logica di fondo e non mancano anche a Torino settori post autonomi che si ispirano al modello veneto.

La vera questione consiste nella capacità dei settori di movimento in questione di caratterizzarsi per un'autonomia sociale, progettuale, organizzativa tale da renderli punto di aggregazione per le lotte che si sviluppano sul territorio. Lavorare nella direzione di costruire un polo dell'opposizione sociale indipendente da ogni tutela partitica non è, evidentemente, facile e la tendenza a cercare amici nelle istituzioni è forte.

In questo mondo crudele, però, nulla è gratuito, checché ne dica qualcuno ed è evidente che le proposte e le pratiche di chi accetta di stare sotto tutela non possono che essere influenzate da questa scelta.

Sta oggi a chi di tutele non ne accetta nessuna il compito di dare battaglia per l'autonomia e la capacità di iniziativa dell'opposizione sociale.

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