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Da "Umanità Nova" n.19 del 30 maggio 1999
La fiera della solidarietà
Aiuti "umanitari" in Albania: un affare lucroso
Fino a quando potremo assistere i profughi kosovari nei campi in Albania e
Macedonia? La domanda deriva dalla nostra recente visita in questi due paesi.
La Missione Arcobaleno e tutto il corollario di iniziative delle istituzioni
italiane (ministeri, regioni, protezione civile...) stanno assumendo l'aspetto
(mi si passi l'espressione provocatoria) di una grande "fiera della
solidarietà", tra cui principali beneficiari sembrano essere ... gli
italiani.
Il livello di spesa nei campi gestiti dagli italiani è ben superiore
agli altri. Molta parte della spesa finisce in laute contribuzioni di un
sovrabbondante personale, presente in un rapporto numerico rispetto ai profughi
ospitati che fa impallidire gli altri paesi che partecipano all'emergenza sul
posto. L'impressione generale è che l'assistenza italiana abbia altri
scopi principali che non siano precipuamente quello di alleviare le
difficoltà di chi è dovuto fuggire dalla propria terra per
riparare in due paesi che - alle prese già con i propri problemi - non
si presentano interamente ospitali. Rafforzare il ruolo dell'Italia al tavolo
delle trattative (se e quando esse ci saranno davvero), potenziare la presenza
italiana nell'economia e nella politica di questi paesi (che non sia la lotta
per l'egemonia - europea o statunitense - nei Balcani la vera posta in gioco
del conflitto?) ed infine ragioni di competizione nazionale tra le varie
istituzioni sembrano animare la presenza dell'ingente apparato italiano molto
più della solidarietà.
E siccome queste ragioni, sia pure con diversi criteri di spesa, sembrano
essere comuni anche ad altri paesi, il risultato è il fortissimo impatto
delle risorse provenienti dall'esterno sulla situazione locale, specie in
Albania.
Va detto che l'Albania è un paese poverissimo, con una struttura
produttiva quasi del tutto inesistente e uno Stato che non è in grado di
governare granché. Di fatto è una nazione diretta dall'esterno,
governata dalle istituzioni sovranazionali e nella quale i destini degli
individui e delle istituzioni si giocano sulla capacità di canalizzare
quegli apporti finanziari esterni (compresi quelli delle numerose ed agguerrite
mafie che vi operano). Secondo un dato che circola ufficiosamente a Tirana, gli
otto decimi dei fondi che vengono dall'esterno (esclusi quelli gestiti
direttamente dalle agenzie estere) finisce nei canali della corruzione.
In un paese del genere sono arrivati i profughi del Kosovo. Una vera e propria
manna dal cielo. Le agenzie "umanitarie" di tutto il mondo, già numerose
in Albania, si sono moltiplicate, riversando soldi e gente che spende altri
soldi. I prezzi degli appartamenti e dei servizi sono rincarati. Il consumo che
questi flussi di denaro generano è tutto di importazione: nulla
resterà all'Albania, passata la sbornia. I "servizi" che contano
(ristoranti, alberghi, telecomunicazioni) sono in mano straniera. L'Hotel
Tirana, con i suoi prezzi da capitale mitteleuropea e la sua folla di militari,
giornalisti, funzionari ONU, è gestito da una società di Torino.
Ripartiti gli stranieri all'Albania resterà solo la corruzione e la
violenza.
In questo contesto, chi rischia di restare dimenticato sono proprio le
popolazioni locali: quelle albanesi, povere e prive di prospettive di ripresa
economica, o quelle macedoni, che rischiano di subire le conseguenze della
presenza dei profughi nelle città (con il loro carico di bisogni)
nonché tensioni derivanti dai nuovi squilibri etnici che verranno.
Secondo i dati ufficiali, il 25% circa dei macedoni è albanofono.
L'afflusso dei profughi ha incrementato questa percentuale e rinvigorito le
rivendicazioni degli albanofoni presso il governo centrale. Se non si affronta
questo nodo, dando alle popolazioni della parte albanese della Macedonia che
ospitano profughi kosovari nelle proprie case quel sostegno che il governo di
Skopje non è in grado di assicurare, assisteremo a nuovi conflitti. Un
esempio: nel villaggio di Zerovjan, nella Macedonia occidentale, 1000 abitanti
ospitano 700 profughi. La loro scuola, il loro ambulatorio, già carenti,
rischiano di non reggere il carico. La loro acqua, estratta dai pozzi, comincia
a dare i segni dell'eccessivo sfruttamento.
Perché invece di spedire migliaia di persone ben pagate in Albania non
dirottiamo una parte di risorse verso le tante Zerovjan?
Alberto Sciortino del Ciss - Cooperazione Internazionale Sud Sud, Palermo
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