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Da "Umanità Nova" n.19 del 30 maggio 1999

La sconfitta di Robocop

In un recente racconto di Stefano Benni, pubblicato su "Il Manifesto", veniva immaginata un'esilarante invasione serba degli Stati Uniti. Tale storia, oltre a farci sorridere in un periodo in cui certo ci è difficile, aveva l'indubbio merito di rivoltare i ruoli assegnati alle parti in causa di questo conflitto, mettendo in discussione proprio la presunta "invincibilità" degli USA, assieme alla loro immagine di Robocop mondiale impegnato a riportare l'ordine in quel paese "in preda all'anarchia" che, secondo Clinton, è la Jugoslavia.

A quanto ci risulta, non esiste tutt'ora in USA un monumento-memorial dedicato ai caduti americani della Guerra del Golfo, recente tutti i loro nominativi, così come è stato fatto per quelli del Vietnam.

Questa circostanza induce ad un interrogativo: quanti furono i militari americani e inglesi morti nel conflitto contro l'Iraq?

Subito dopo la guerra "anti-Saddam" del 1991, i comandi statunitensi ammisero poche decine di caduti, ma in tempi più recenti questi - sempre secondo fonti ufficiali - sarebbero stati alcune centinaia, senza ovviamente contare quei 10.000 militari deceduti in seguito alla cosiddetta "Sindrome del Golfo".

A questo punto viene quindi il dubbio - considerato anche il carattere virtuale di quella guerra - che forse gli USA con i loro alleati siano stati sconfitti, come peraltro la permanenza del regime dell'odiato Saddam Hussein dopo 8 anni di perduranti bombardamenti e di durissimo embargo sembra confermare.

Di fronte a questa verità, in molti a sinistra hanno ritenuto che gli USA non avevano voluto portare a fondo l'attacco militare contro Baghdad, in quanto la caduta di Saddam sarebbe stata troppo destabilizzante per quell'area e quindi per gli interessi americani; ma in questa spiegazione c'è qualcosa che non torna, così come non tutti avevano creduto alla teoria della "guerra per il petrolio". Proviamo quindi ad immaginare un altro scenario, non meno credibile di quello che la CNN ci fece vedere, attraverso gelatinose visioni verdastre e scenografie desertiche.

Potrebbe infatti essere accaduto che l'offensiva USA non sia risultata esaltante ed inarrestabile come ci fu raccontato , ma pagata a prezzo di molti morti, al punto di far decidere alle gerarchie politico-militari di arrestarla e occultarla dietro la propaganda di una vittoria mai conseguita.

A questo punto tutto sarebbe più chiaro: perché Saddam è ancora al suo posto, perché continuano i bombardamenti sull'Iraq, perché l'embargo non viene revocato, perché la NATO cerca di non giungere all'intervento militare terrestre contro la Serbia.

Per cui, davanti allo spettro del Vietnam e alla "vittoria di Pirro" contro l'Iraq, gli Stati Uniti che credevano di poter chiudere rapidamente la partita con il regime di Milosevich, si trovano nella situazione di dover risultare comunque vincenti davanti al mondo - e alla propria opinione pubblica - senza pagare elevati costi in perdite umane tra le proprie truppe.

A questo scopo, Clinton e la NATO hanno principalmente tre possibilità: piegare la resistenza serba a suon di bombardamenti, paralizzando l'economia e terrorizzando la popolazione, cosa alquanto problematica e comunque non praticabile in tempi brevi; accettare un compromesso politico-diplomatico, spacciato come frutto della "forza determinata" sul piano militare; intervenire con reparti di terra nel Kosovo, con l'appoggio aereo e con la copertura dei media, ma tale ipotesi implicherebbe larghi margini di imprevedibilità e dovrebbe concludersi prima dell'inizio della stagione invernale, per non rimanere impantanata nei Balcani a tempo indeterminato.

Vedremo in queste settimane quale di queste strade sarà imboccata dalla "tigre di carta" imperialista col suo seguito di jene europee; ma dopo quasi cinquanta giorni di belligeranza si può affermare che, comunque vada e per quante stragi possano compiere, gli USA hanno già perso la loro guerra.

KAS.



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