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Da "Umanità Nova" n.21 del 13 giugno 1999

Pensioni nel mirino del governo

Come è sin troppo noto, ogni taglio delle pensioni viene preceduto e preparato da una campagna stampa che verte, essenzialmente, su due argomenti:

- l'eccessivo costo attuale e, ancora di più, in tendenza del sistema previdenziale;

- i privilegi degli anziani che, godendo di un trattamento pensionistico privilegiato, sottrarrebbero risorse ai giovani che si troveranno di fronte all'impossibilità di godere delle proprie pensioni se non vi sarà un riordino del sistema delle stesse pensioni tale da equilibrare entrate ed uscite.

Un quadro della situazione viene fornito dall'inserto "Affari & Finanza" de "La Repubblica" del 31 maggio 1999.

Nell'articolo "Pensioni, la sottile linea rossa" di Adriano Bonafede si rileva che il peso delle pensioni sul prodotto interno lordo sarebbe stato del 15,7% contro il 12,6% medio degli 11 paesi aderenti alla moneta unica.

Vi sarebbe, di conseguenza, una spesa assolutamente spropositata e che richiederebbe un taglio del 3% del prodotto interno lordo per far allineare l'economia italiana alle altre economie europee che parrebbero decisamente più virtuose.

Il taglio dovrebbe, insomma, essere dell'ordine dei 60.000 miliardi annui con effetti che possiamo immaginare.

Onorato Castellino, presentato come uno dei più autorevoli esperti in materia previdenziale, riconosce le difficoltà e afferma: "Mi accontenterei se con una serie di misure si potesse arrivare ad un sol punto" e, cioè, ad un taglio di 20.000 miliardi annui. Non è necessario un genio della matematica per comprendere cosa comporterebbe un taglio del genere sulle pensioni a prescindere dai meccanismi messi in atto per realizzarlo.

Non è il caso di tornare in questa sede sui meccanismi che hanno determinato in Italia il deficit del sistema previdenziale, sull'utilizzo dei versamenti dei lavoratori salariati per finanziare le pensioni dei membri delle classi medie, su pratiche clientelari si troppo note ecc..

È, infatti che quando si propongono misure "moralizzatrici" sono sempre le pensioni dei lavoratori salariati ad essere ridimensionate.

Nello stesso articolo, d'altro canto, si riconosce che la spesa sociale sul prodotto nazionale lordo è, in Italia, del 23,8% contro una media europea del 27,4%.

Scopriamo, di conseguenza che il welfare all'italiana è assolutamente modesto per quantità oltre che per qualità ed è facile comprendere come il sistema pensionistico svolge un ruolo di parziale supplenza rispetto ad altre prestazioni garantite dalle democrazie industriali europee. In altri termini, a fronte dell'inesistenza del salario minimo garantito, per citare la principale ma non la sola "anomalia" italiana una politica pensionistica "generosa" ha svolto il ruolo di redistribuzione di redditi minimi nelle situazioni di maggiori tensioni sociali potenziali.

Che la discussione in corso, nonostante si ammanti dell'esigenza di garantire un rapporto più equo fra i diversi settori del lavoro salariato abbia fini decisamente meno nobili lo riconosce anche Giovanni Geroldi del Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale presso il Ministero del Lavoro che sullo stesso numero di "La Repubblica" rileva: "Ho l'impressione che le discussioni di questi giorni nascano soprattutto dalla necessità di interventi a breve sulla spesa pubblica corrente, dati il rallentamenti della crescita e i vincoli del Patto di stabilità."

Insomma, un altro pezzo delle retribuzioni dei lavoratori salariati viene preso di mira ed entra a far parte del mercato in atto fra governo, padronato e sindacati di stato. È, infatti, possibile che la Confindustria, come è già avvenuto, sollevi la questione previdenziale per avere, in cambio di un "cedimento", concessioni per quel che riguarda il costo del lavoro, la flessibilità, i carichi fiscali sui profitti di impresa o altro.

In questo caso, d'altronde, l'offensiva contro le pensioni sarebbe solo rimandata ad un momento migliore.

In ogni caso, sarà necessaria la massima mobilitazione e chiarezza sugli obiettivi. La pensione è una parte della retribuzione dei lavoratori salariati e come tale va considerata senza che si possa, in alcun modo, accettare la pretesa padronale e statale di presentarla come una sorta di beneficenza alla quale è doveroso rinunciare per un inesistente bene comune che unirebbe imprese e lavoratori.

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