![]() Da "Umanità Nova" n.21 del 13 giugno 1999 Il Vaticano e la guerraC'è uno schema interpretativo sul rapporto tra etnia e religione, usato per spiegare le guerra in Kosovo anche da parte di persone non sospettabili di simpatie clericali, che ha puntato, come conseguenza politica, ad attribuire alla chiesa cattolica una funzione pacifista. Secondo questo schema, nelle semplificazioni sul ruolo delle religioni nella guerra, la si è presentata come una guerra tra cristiano ortodossi (serbi) e musulmani (albanesi), con la chiesa cattolica a fare da paciere. Questa semplificazione dimentica però, completamente, alcuni dati di fatto. È probabilmente vera per quanto riguarda la chiesa ortodossa: l'ortodossia cattolica, infatti, pur celebrando con lo stesso rito in tutti i paesi in cui è presente (prevalentemente in Europa dell'est, in Grecia ed in Russia), è composta di chiese nazionali, autocefale, che si eleggono al proprio interno il loro patriarca. A differenza della chiesa cattolica, dove il Vaticano sceglie vescovi e cardinali, il primato del patriarcato di Costantinopoli è solo morale, non effettivo. Questo ha comportato un accentuarsi dei tratti nazionalistici delle chiese stesse e le ha rese fortemente dipendenti dal potere politico del paese in cui erano presenti. La proclamazione della "sacralità" del Kosovo è venuta proprio dal patriarca di Belgrado, che non mancava di ricordarla, anche quando faceva timidi accenni al problema dei profughi. Per quanto rigurda i musulmani questo schema non spiega invece la freddezza dell'islam nei confronti degli albanesi. Si sono limitati a qualche aiuto umanitario e nulla più, confrontato con il ruolo giocato dagli islamici in Bosnia (invio di armi, volontari ed istruttori militari) è veramente poca cosa. Soprattutto questa semplificazione sottovaluta il ruolo della chiesa cattolica in questa e nelle altre guerre combattute nella ex Yugoslavia, dove è stata sempre parte in causa, responsabile e protagonista. Fin dall'inizio degli anni `80, infatti, la chiesa cattolica si era posta il problema del rientrare in forze in quelle zone a tradizione cattolica dell'Europa orientale, viste come terra di proselitismo, data la crisi di vocazioni in Europa occidentale. Così, poco dopo la morte di Tito, è "apparsa" la madonna a Medjugorjie, zona dell'Erzegovina con un'organizzata presenza cattolica. Con il precipitare della crisi nella Yugoslavia, il Vaticano divenne il garante internazionale della Croazia e della Slovenia (riconosciute insieme alla Germania il 13 gennaio 1992, due giorni prima della data concordata dai paesi dell'Unione Europea per il riconoscimento). Nel corso della guerra in Croazia ed in Bosnia le organizzazioni cattoliche (caritas in testa) hanno costituito le retrovie dei croati, sia dove combattevano con i musulmani (come a Mostar), sia dove combattevano con i serbi (come nelle Krajne). Il Papa è addirittura intervenuto in prima persona, con una visita a Zagabria nel 1994, in pieno conflitto, per appoggiare Tudjman, in crisi di consensi interni. Nell'ultima visita a Zagabria, quella dell'ottobre 1998 dove ha beatificato il cardinale Stepinac, Wojtyla si è espresso a favore "dell'ingerenza umanitaria ad opera della comunità internazionale in Kosovo", coerentemente con il nuovo catechismo cattolico, che ammette la "guerra giusta". Rispetto alla situazione in Kosovo la chiesa cattolica ha dovuto rimontare un grosso errore tattico iniziale: aveva puntato tutte le sue carte su Rugova. La comunità di sant'egidio, una setta che svolge funzioni di relazioni internazionali per il Vaticano, l'ha scelto come unico referente ed in suo nome ha trattato una serie di rivendicazioni minori (la riconsegna agli albanesi di alcune facoltà universitarie, l'autonomia scolastica), peraltro soddisfatte dallo stato serbo nell'imminenza dei bombardamenti. Con il precipitare della crisi e con la sostanziale perdita di potere e consenso da parte di Rugova il Vaticano si è trovato spiazzato. La citazione fatta dal papa allo scoppio delle ostilità ("Con la pace nulla è perduto, con la guerra tutto è perduto") in Italia era stata interpretata come una condanna, seppur velata, dei bombardamenti. Peccato, però, che la stessa frase fosse stata pronunciata all'inizio della seconda guerra mondiale da Pio XII, cioè dal papa che aveva giustificato ed appoggiato il fascismo ed il nazismo durante la guerra, taciuto sui campi di sterminio e salvato, alla fine del conflitto, i gerarchi nazisti. Così gli altri interventi del papa nel corso del conflitto sono stati più un'esercitazione di cerchiobottismo che non una condanna esplicita ai bombardamenti. Un'altra sponda al Vaticano era stata data da Cossutta pastasciutta (che di nome fa il gerundio del verbo armare) che, pochi giorni dopo l'inizio del conflitto, aveva suggerito una tregua per la pasqua (cattolica, quella ortodossa c'è stata la settimana dopo). Il papa, onorato dalla riverenza del vecchio leader camionista, aveva rilanciato la proposta, poi finita in un nulla di fatto. Anche la visita a Belgrado del cardinale Tauran (il ministro degli esteri del Vaticano) non ha portato nulla di concreto, salvo il consiglio, al regime serbo, di ricoinvolgere Rugova nel tentativo di salvare il salvabile, consiglio prontamente attuato. Tenete presente che i cappellani militari, che dipendono dal Vaticano, anche se sono remunerati dallo stato, hanno continuato ad essere presenti tra le truppe, sia tra quelle che bombardavano, sia tra quelle in attesa dell'intervento di terra. Il mantenere un atteggiamento non formalmente guerrafondaio è servito anche, alla chiesa, a coprirsi le spalle, per avere, a guerra finita, con le proprie organizzazioni, accesso ai finanziamenti per gli aiuti umanitari a tutte le popolazioni reduci dal conflitto. Che la chiesa non abbia fatto alcunché contro la guerra lo dice anche la rivista cattolica "Nigrizia", sicuramente non tacciabile di anticlericalismo, che nel suo ultimo numero attacca violentemente la Conferenza episcopale accusandola di non aver detto nulla contro la guerra in Kosovo, favorendola. Se erano chiare le motivazioni per l'appoggio alla Croazia, nazione con una forte presenza cattolica, cosa cerca la chiesa in Albania e nel Kosovo, visto che gli albanesi sono musulmani? Già, gli albanesi vengono sempre presentati come musulmani. Tutti dimenticano che in Albania vigeva l'ateismo di stato dal 1967 al 1990. Enver Hoxha (il dittatore stalinista albanese) voleva, infatti, imporre, come unica religione, il culto della propria persona. Le ultime statistiche sulla religione risalgono al 1945 e, nell'imprecisione di tutte le statistiche religiose (quelle, per intenderci, che dicono che in Italia ci sono 57 milioni di cattolici) dividevano la popolazione tra un 55% di musulmani sunniti, 20% di cristiani ortodossi, 15% di musulmani bektashiti ed un 10% di cattolici. Dopo il 1990, sono state attribuite alle famiglie le stesse appartenenze religiose degli avi, con alcune differenze: i bektashiti (i "diversi", setta di musulmani dervisci poco ortodossi ed antiturchi) sono quasi scomparsi, come nel resto del mondo arabo, ed i cristiano ortodossi, presenti nel sud del paese ed accusati di filoellenismo (anche per la presenza, nelle loro file, della minoranza greco-albanese) non sono più riusciti, a differenza degli ortodossi degli altri paesi, a ricostruire la loro chiesa nazionale autocefala. Il patriarcato di Costantinopoli (da non confondere con l'arcivescovo di quel famoso scioglilingua) ha denunciato più volte il proselitismo della chiesa cattolica ai danni degli ortodossi. Va inoltre tenuto presente che sono molto frequenti le conversioni al cattolicesimo degli albanesi immigrati in Italia, caso molto raro tra gli immigrati islamici. Un ultimo dato importante è la localizzazione storica dei cattolici in Albania. Sono presenti soprattutto al nord, dove ha la propria base elettorale il partito nazionalista di Sali Berisha, tra i maggiori fautori della Grande Albania. Il nuovo arcivescovo di Tirana, nominato di recente, è il signor Rrok Mirdita, albanese del Montenegro, in ottimi rapporti con la comunità albanese degli Stati Uniti, sostenitrice e finanziatrice dell'UCK (insieme al dipartimento di stato americano). Ci sembra chiaro che la strategia della chiesa cattolica punti al proselitismo tra gli albanesi ed al business degli aiuti umanitari. Insomma, aspettiamoci un viaggio in grande stile del papa a Tirana, magari per beatificare madre Teresa di Calcutta, che non si chiamava Teresa, ma Agnes Gonxha Bojaxhiu, non era madre, visto che non aveva figli (almeno ufficialmente) e non era neanche di Calcutta, ma albanese di Skopje. Francesco Fricche
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