Da "Umanità Nova" n.21 del 13 giugno 1999
Un salto indietro nei Balcani
Traffici di armi e droga sullo sfondo delle guerre in ex Jugoslavia
Un salto indietro nei Balcani [1]
La Jugoslavia, sin dagli anni '50, ha sempre avuto un ruolo centrale nei
traffici mercantili tra Occidente ed Oriente: prima di tutto per la posizione
geografica "testa di ponte" tra Est asiatico e l'Europa sia continentale
(Austria, Svizzera, Ungheria...) che mediterranea (Grecia ed Italia) e, in
secondo luogo, per il fatto che si trattava di uno stato non allineato.
Già il maresciallo Tito aveva intuito le potenzialità commerciali
del suo paese pensando bene di agevolare i traffici delle sigarette di
contrabbando attraverso il territorio jugoslavo.
Con lo sfaldamento dello stato Jugoslavo, anche se in realtà
occorrerebbe andare a qualche anno addietro, il territorio balcanico divenne il
luogo privilegiato dello smercio e del traffico di armi e di eroina.
Alcuni politologi si chiesero anni addietro, per l'esattezza nel 1994, il
perché non fosse scoppiato, a 'tempo debito', ovvero durante la guerra
di Bosnia, anche il conflitto nel Kossovo dal momento che le condizioni
scatenanti vi erano tutte: negazione di ogni autonomia politica, sociale e
culturale da parte dello stato Serbo, repressione, deportazioni ecc.
La risposta che diedero gli studiosi andava a ricercare le cause proprio nello
smercio dell'eroina: il Kossovo, insieme alla Macedonia e all'Albania era
diventato il luogo privilegiato dei traffici della polvere bianca,
poiché la Bosnia in guerra ne aveva forzatamente deviato il traffico, e,
pertanto, un conflitto bellico avrebbe soltanto danneggiato lo scambio.
Il Kossovo, forte di una tradizione mafiosa organizzata, era anche in posizione
monopolistica nei traffici di eroina con Zurigo: nell'ottobre del 1991 la
polizia svizzera concluse l'operazione 'Benjamin' con 120 arresti. Una vasta
rete di corrieri kosovari spacciavano eroina in cambio di Kalashnikov e Uzi
israeliani.
Nel 1991, proprio nelle carceri Svizzere, si trovavano oltre duemila "pusher"
kosovari.
Poco più tardi, nel dicembre del 1992, Zeljko Raznjatovic, detto Arkan,
noto criminale serbo pluridecorato, venne eletto, grazie ai brogli, al
parlamento di Belgrado proprio nel distretto del Kossovo ed il suo primo
messaggio, piuttosto minaccioso fu: "Ora il mio lavoro consisterà nel
togliere agli albanesi il traffico di droga, per tagliare le gambe al
separatismo".
Il messaggio di Arkan conteneva alcune preziose informazioni:
Che il traffico di eroina doveva 'tornare' a chi di dovere, ovvero la mafia,
l'esercito ed i servizi segreti jugoslavi;
Che il separatismo kossovaro iniziava a prendere corpo in forma militare;
Che il separatismo kossovaro si finanziava principalmente grazie ai traffici di
eroina.
D'altronde che lo scambio armi - eroina fosse una condizione abituale nella
ex-Jugoslavia in guerra non ci deve più di tanto stupire: che i
criminali di guerra, che i massacratori e gli stupratori in nome della purezza
etnica abbiano fatto affari tra di loro prorprio quando si stavano combattendo,
fa parte integrante delle logiche belliche.
Il serbo purificatore Arkan, tanto per fare un nome conosciuto, oltre ad essere
proprietario di una compagnia offshore a Nicosia insieme ad esponenti di
spicco croati ed essere proprietario di una ditta per la macellazione della
carne di maiale nella slavonia croata, in passato aveva collaborato con i
Sevizi di controspionaggio croati (SIS) in qualità di killer e per
questo possiede un passaporo a nome falso che gli permette di entrare ed uscire
liberamente dalla Croazia.
Una storia emblematica.
Nell'estate del 1991, tutta la zona attorno alla città di Pakrac, era
saldamente in mano ai secessionisti serbi. Un giorno, il capitano Arkan,
consigliò agli abitanti della zona, perlopiù contadini serbi
abituati a convivere con gli altri gruppi etnici, che il pericolo croato era
imminente e che avrebbero fatto meglio ad andarsene.
In fretta e furia le famiglie di Pakrac raccolsero le loro masserizie per
trasferirsi nella zona di Banja Luka, in Bosnia.
Dei croati non si vide neppure l'ombra: furono invece gli uomini di Arkan a
ripulire le case dei loro compatrioti. Quando nel 1995 i croati riconquistarono
la sacca di Pakrac, nessun serbo mosse un dito: avevano già svenduto
tutto quattro anni prima.
Sulla attuale guerra nel Kossovo si parla poco, se non nulla, dei retroscena
bellici e degli affari criminali sottostanti: l'unica cosa che i mass-media ci
comunicano è che si tratta di un conflitto tra i buoni (i kossovari) ed
i cattivi (i serbi); nulla di più e nulla di meno.
Ho paura, pur non avendo notizie fresche, che le cose sia un po' più
complicate: forse i macellai serbi, kossovari ed europei o atlantici ed i
mafiosi italiani, macedoni, bulgari, turchi, israeliani e quant'altro, in
questo momento stiano facendo dei lucrosi affari proprio alle spalle delle
popolazioni che pretendono di difendere e che le uniche vittime siano ancora
quelli che da una parte e dall'altra non possono far altro che subire la
violenza.
Non mi stupirebbe sentire, magari tra qualche anno, che il capo dell'Uck,
Suleyman Silemi, nipote di uno dei più potenti boss della mafia
kossovara sia andato a cena, ovviamente durante la guerra, con il capitano
Arkan e i suoi sgherri, qualche notabile nazista croato, per concordare la
spartizione delle zone di influenza post-bellica sia per la ricostruzione che
per i traffici di eroina e di armi.
Il tutto lo vedrei bene con il compiaciuto interesse dei delegati occidentali
di varie nazioni che avranno usato l'imprescindibile mediazione della Sacra
Corona Unita, della Camorra e di qualche altra famiglia organizzata.
In fondo la guerra è prima di tutto un businness.
Pietro Stara
[1] L'articolo si ispira ai dossier contenuti nella rivista Narcomafie, numero
4, aprile 1994, nella rivista Narcomafie, numero 9, settembre 1996 e nel
mensile Le Monde diplomatique del mese di maggio 1999.
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