Da "Umanità Nova" n.22 del 20 giugno 1999
Elezioni
I parlamenti al tramonto
Mentre scriviamo queste righe non sono ancora pervenuti i
dati definitivi delle elezioni europee e, soprattutto, quelli delle elezioni
amministrative che, per evidenti motivi, potrebbero permettere
un'interpretazione più precisa dell'andamento del comportamento
elettorale.
Le note che seguono, di conseguenza, cercheranno di cogliere alcuni elementi
generali di riflessione che riteniamo possano essere utili al fine di orientare
il nostro intervento.
Il primo dato da considerare è, come avviene già da qualche anno,
la tenuta e la crescita dell'astensione come segnale, anche ad una lettura
prudente, del graduale svuotamento della funzione di mediazione sociale del
parlamentarismo. Questo dato assume un significato maggiore se si considera che
tutta una serie di soggetti politico parlamentari sorgono al fine esplicito di
offrire "novità" tali da recuperare la disaffezione al voto e ottengono
a volte, come in questo caso, risultati elettorali tutt'altro che
disprezzabili,
In altri termini la nascita a getto continuo di partiti "antipartito" come
Forza Italia e la Lega Nord prima e i Democratici e la Lista Bonino, poi, non
basta a rendere meritevole di interesse il circo equestre parlamentare per un
settore consistente dell'elettorato.
Il secondo dato è l'ennesimo fallimento del parlamentarismo
"rivoluzionario" di destra e di sinistra. Vengono, infatti, puniti il PRC e la
Lega Nord che non traggono alcun vantaggio dal fatto di essersi opposti alla
guerra del Kosovo e risultanti seccamente ridimensionati.
E probabile che il 2% dei voti presi dai cossuttiani corrisponda in linea di
massima a elettori tradizionali del PRC ma è un fatto che l'opposizione
alla guerra non ha avvantaggiato il PRC in alcuna maniera e che la sua linea
"movimentista" non ha premiato in termini di consenso.
Una riflessione analoga si può fare per la Lega Nord che ha perso voti
verso la Lista Bonino e verso Forza Italia. Da un lato i radicali hanno potuto
presentarsi come la "novità" delle elezioni, una novità vecchia
di più di due decenni, dall'altro la scelta antiatlantica della Lega non
le ha portato voti anzi ha probabilmente allontanato settori di destra moderata
classica dai leghisti senza conquistare nuove simpatie.
L'unico partito filoserbo premiato è stato l'MSI-Fiamma Tricolore di
Rauti che si è, probabilmente, avvantaggiato della sciagurata, per chi
l'ha promossa, scelta di Alleanza Nazionale di allearsi con i pattisti di Segni
al fine di accreditare la propria svolta moderata, liberale, occidentale.
Evidentemente i fascisti più coerenti hanno scelto il camerata Rauti
mentre l'elettorato liberale di destra ha premiato i radicali e i berlusconiani
che appaiono più coerenti e credibili.
Se si esclude, provvisoriamente, l'exploit dei radicali, il dato che emerge per
quel che riguarda i due schieramenti maggiori è assai meno "devastante"
di quanto abbiano cercato di affermare i giornali e la televisione.
In estrema sintesi:
il buon risultato di Forza Italia rispetto alle precedenti elezioni politiche
è ridimensionato da una comparazione con le precedenti elezioni europee
e se si calcola l'assieme dei voti del Polo si scopre che ha avuto un risultato
decisamente modesto e che i berlusconiani hanno cannibalizzato i loro
alleati;
il cattivo risultato dei DS è in gran parte spiegato dal successo dei
prodiani e, nel complesso, il centro sinistra ha tenuto. Il problema che hanno
i diessini non è nuovo, la loro maggioranza è un orrendo fritto
misto di riciclati socialisti, democristiani, staliniani. basta pensare che la
maggioranza è costituita da una decina di partiti e partitini e che di
questi la gran parte è costituita da ceto politico che gioca sul sistema
elettorale per vendere al massimo prezzo possibile i propri voti. Sino a quando
non riusciranno a realizzare una riforma elettorale i diessini saranno
inchiodati ad una situazione difficile ma della quale sono tutt'altro che
innocenti vista la campagna acquisti di riciclati nella quale si sono distinti
al fine di mantenersi al potere.
Il dato nuovo resta il successo radicale ma si tratta di un dato da guardare
con prudenza. Le prospettive che si aprono per la destra, infatti, sono
tutt'altro che semplici. Un allargamento del Polo ai radicali ne porrebbe a
repentaglio gli equilibri interni anche in considerazione della tradizionale
aggressività dei pannelliani e del fatto che i pannelliani, se
ricondotti in un'alleanza più vasta per le elezioni del parlamento
nazionale, potrebbero rivelarsi meno capaci di attrarre voti.
In estrema sintesi, dunque:
gli schieramenti elettorali sono cambiati meno di quanto sembri;
il successo della destra non è stato affatto trionfale;
le contraddizioni della sinistra di governo crescono sia per la concorrenza
fra prodiani e dalemiani che per la difficoltà di tenere a bada i
cespugli sottogovernativi sempre più numerosi, nervosi (si pensi ai
popolari) e affamati di posti di governo e sottogoverno;
gli spazi per le opposizioni parlamentari "dure" si riducono ulteriormente.
Paradossalmente lo spostamento verso i popolari dell'elettorato europeo non ha
un diretto riscontro in Italia dove la confusione e la putrescenza del
sottosistema politico parlamentare è particolare e, se possibile,
accentuata.
Quando alcuni leaders di partito scoprono che le elezioni premiano forze non
radicate sul territorio e che il partito di massa tradizionale è
moribondo dicono la verità ma non ne traggono le conseguenze inevitabili
e cioè la consapevolezza che il ruolo del partito di massa come
mediazione sociale capace di porre un freno agli effetti devastanti del modo di
produzione capitalistico è sempre più ridotto ammesso che
permanga significativamente.
Questo tramonto della politica parlamentare ci riguarda non, ovviamente, per
rimpiangerne la funzione ma perché ci pone di fronte a
responsabilità nuove sul piano della proposta e dell'iniziativa.
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