Da "Umanità Nova" n.22 del 20 giugno 1999 La voce dei lettoriAltri prima di me, intervenendo in merito all'acceso dibattito sulla legge che regolamenta l'espianto degli organi, hanno saputo argomentare e motivare le diverse posizioni a favore o contro una questione così delicata e drammatica. Pure -- credo -- valga la pena dopotutto chiedersi in prima persona: se un mio caro (es. mio figlio) avesse bisogno urgentemente di un trapianto, il mio comportamento riguardo gli espianti sarebbe ugualmente freddo, scettico o addirittura ostile? È la domanda -- tutt'altro che capziosa -- apre un capitolo esattamente speculare a quello sinora affrontato, poiché ci costringe a far la fila per iscriverci nelle interminabili liste di attesa di pazienti che da anni attendono con angoscia e speranza la possibilità di ìritornare a vivereì. Certo: le perplessità non svaniscono. Come dimenticarsi del fiorente commercio degli organi gestito dagli Stati e dalle mafie locali, soprattutto nei Paesi Poveri, dove addirittura gli espianto sono effettuati su persone vive ed in perfetta salute? E, allora? potrà mai una legge dello Stato (che prevede che l'espianto potrà essere effettuato soltanto in ospedali pubblici e sotto la visione di centri di controllo) arginare la speculazione degli organi? No di certo! Ma come la legge sull'aborto almeno potrà limitare -- e di gran lunga -- il numero di pazienti costretti a fare una vita grama, se non addirittura a morire. Già, il morire... chi può mai stabilire la morte? Sarò forse del tutto morto a sei ore dalla mancanza d'attività elettrica segnalata dall'encefalogramma? Per non parlare del mio elettrocardiogramma completamente isoelettrico? Forse no. Ma che vita è mai quella che mi vede attaccato ad un respiratore automatico che -- se staccato -- mi condurrebbe a morte certa? E, allora, perché non desiderare (fors'anche illudendosi) di poter ridare una vita dignitosa a ben SETTE PERSONE, magari amici, parenti, compagni? Carlina. P.S.: Con questo contributo al dibattito ho voluto semplicemente esprimere il mio pensiero, rafforzato dalle mie esperienze lavorative (lavoro in un ospedale pubblico) dove spesso mi capita di vedere sia i pazienti in attesa di trapianto, sia quelli attaccati ad un respiratore con prognosi infausta.
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