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Da "Umanità Nova" n.23 del 27 giugno 1999
Dibattito
A proposito del legame fra piacere e militanza
Proverò a riprendere la riflessione sul difficile rapporto fra
realizzazione delle proprie esigenze esistenziali e caratteri della militanza,
contraddizione intorno alla quale ho scritto un precedente articolo [1] in una forma più schematica rispetto a quella che ho proposto in quella sede:
- le ragioni del rifiuto dell'ordine sociale gerarchico e capitalistico sono,
in prima istanza, etiche. Lo sfruttamento ed il potere appaiono ingiusti se
anche si parte dalle contraddizioni interne al discorso dominante: lo stato non
si occupa affatto del bene comune come pretende e l'impresa esercita sui
lavoratori un dispotismo che contraddice la sua pretesa di operare sulla base
di uno scambio eguale fra lavoro e salario. Di conseguenza la critica radicale
del capitalismo e del dominio prende le mosse dalle contraddizioni interne
dell'autorappresentazione dell'attuale società;
- la critica del riformismo e dello statalismo di sinistra non è che la
prosecuzione coerente di questo rifiuto, Appare, infatti, evidente che le forme
di organizzazione e di azione che vengono proposte dai partiti e dai sindacati
istituzionali si modellano sulle relazioni sociali dominanti e ne riproducono
la logica interna con l'effetto di favorire l'integrazione delle classi
subalterne nell'attuale ordine sociale in cambio, nella migliore delle ipotesi,
di conquiste immediate decisamente limitate;
- una prassi sovversiva afferma, d'altro canto, l'esigenza di spezzare
immediatamente l'ordine del mondo a partire dalla condizione immediata del
soggetto concreto che la sperimenta. Il sabotaggio della produzione, la
destabilizzazione del potere sia sui luoghi di lavoro che nella società,
la denuncia e la ridicolizzazione delle pretese delle istituzioni sono il punto
di partenza di ogni proposta sovversiva. Queste pratiche sono tali da non
richiedere l'adesione ad un programma politico e sociale ed, anzi, si danno
nella condizione quotidiana dei proletari e, per la verità, di chiunque
sia sottoposto ad una limitazione della propria libertà di scelta come
scelte possibili, soddisfacenti, efficaci a prescindere da qualsiasi discorso
che pretenda un valore sociale generale;
- se, insomma, una scelta sovversiva ha una precondizione etica, una prassi
sovversiva ha una base ludica ed estetica e non vi è affatto coincidenza
necessaria fra le due. Al contrario, il fatto che le pratiche quotidiane di
resistenza al dominio siano diffuse a prescindere da ogni azione politica,
sociale e sindacale volontaria è una risorsa potenziale per ogni
progetto di trasformazione dell'ordine del mondo, ne è una condizione
necessaria ma non ne è una condizione necessaria e sufficiente;
- una valutazione realistica e disincantata dei caratteri della trasgressione
quotidiana e, come dire, fisiologica nei confronti dell'ordine produttivo e
sociale esistente ci conduce alla conclusione che se non le sono necessari
convincimenti politici generali di carattere rivoluzionario per manifestarsi
non produce affatto in maniera necessaria un'identità rivoluzionaria. Un
lavoratore salariato può praticare l'assenteismo o un giovane uno stile
di vita trasgressivo senza che ne derivi necessariamente nulla di diverso
dall'assenteismo o dalla trasgressione;
- a questa contraddizione le correnti deterministe del movimento operaio hanno
dato una risposta suggestiva ma fallace. Le lotte immediate dei subalterni e,
in genere, il loro disagio e la loro sofferenza nei confronti della propria
condizione sociale vengono interpretate come tradeunionismo o sindacalismo,
incapace di per sé di andare oltre una difesa delle condizioni immediate
dei soggetti coinvolti. La possibilità di un cambiamento rivoluzionario
viene affidate alle crisi interne al modo di produzione capitalistico, crisi
che un soggetto politico (il partito) può trasformare in un cambiamento
rivoluzionario, Il determinismo della premessa si rovescia in una particolare
forma di volontarismo politico. Il partito, infatti, avrebbe la consapevolezza
generale dei termini della questione sociale e opererebbe nel senso della
storia;
- in questo modello riappare una vera e propria metafisica, Vi sarebbe infatti
una separazione radicale fra concreto agire del proletariato e suo ruolo
storico e fra teoria delle leggi generali della società (dell'essere
sociale del capitale e della classe) e fenomenologia del conflitto sociale. In
realtà il modello in questione non fa, sul piano pratico, che
reintrodurre nel movimento operaio la divisione sociale del lavoro fra
dirigenti e diretti, fra lavoro intellettuale e manuale, mentre, sul piano
teorico, ci si trova di fronte ad un pensiero regressivo a fronte dello stesso
modello delle scienze fisiche e sociali propostoci dall'evoluzione scientifica
nel ventesimo secolo;
- dal punto di vista anarchico il modello al quale ho appena fatto cenno non
è, di norma accettato, proprio per i suoi caratteri intrinsecamente
autoritari. Per la verità vi sono compagni che ne utilizzano una
variabile, come dire, depotenziata che consiste nell'affidare al soggetto
politico una funzione non di direzione nei confronti della classe ma di
orientamento, dal punto di vista teorico, e di assunzione dei livelli
più alti dello scontro politico, dal punto di vista pratico. In altri
termini, viene separata la parte distruttiva dello scontro politico, affidata
all'organizzazione specifica, e quella costruttiva che viene affidata agli
organismi di autogoverno proletario. Un modello del genere ha, comunque, a mio
avviso, il limite di non definire il nesso fra soggetto politico sovversivo e
concreto agire del suo riferimento sociale in una forma soddisfacente.
L'aggregato politico che viene costruito, infatti, appare come esterno rispetto
al suo referente sociale e nn si comprende bene come possa recuperare un
rapporto con lo stesso di tipo non illuministico e volontaristico;
- più interessante e produttiva mi sembra essere l'ipotesi di coloro che
vedono nella concreta condizione proletaria l'emergere di contraddizioni
profonde che si manifestano in pratiche quotidiane di resistenza e di conflitto
in forme assai diversificate che vanno dal sabotaggio individuale allo
sciopero, dalla costruzione di reti informali di relazioni antisistemiche allo
sviluppo di strutture organizzate di lotta di tipo politico, culturale e
sindacale. Anche questo modello di interpretazione del conflitto di classe, al
quale sono decisamente più vicino, non risolve a pieno la questione del
carattere specifico della militanza politica che, con ogni evidenza, non
è il prodotto immediato del conflitto di classe e della condizione
salariata;
- i compagni, infatti, non solo non sono necessariamente dei proletari ma anche
quando lo sono si aggregano sulla base di esigenze che non discendono
immediatamente dalla loro collocazione produttiva e sociale. L'esigenza di
sviluppare una critica teorica generale della società, di confrontarsi
nel merito, di vivere relazioni immediate di solidarietà. mutuo
appoggio, definizione di un'identità caratterizza il movimento specifico
e non può essere ridotta, anche se può essere ricondotta, al
conflitto sociale. Dal punto di vista empirico ne consegue che il movimento
specifico tende ad apparire più come una comunità
politico/sociale che come un partito d'avanguardia o un aggregato sociale
espressione immediata di settori della working class;
- da questa condizione nasce una teoria della separatezza, rispetto all'ordine
sociale dominante, del movimento anarchico assunto, appunto, come
comunità relativamente omogenea di soggetti umani trasgressivi rispetto
all'ordine sociale esistente. Per ragioni storiche sufficientemente note, il
fallimento delle rivoluzioni del secolo che volge alla fine, questa attitudine
sembra ragionevolmente soddisfacente e più adeguata di altre a rendere
conto dell'effettiva pratica del movimento anarchico realmente esistente;
- la relativa egemonia nel movimento di componenti e di sensibilità
etico-estetiche a fronte di quelle che pongono l'attenzione sulla prassi
politico sociale non è, quindi, come credono alcuni, il prodotto di
chissà quale travisamento della retta dottrina ma un effetto
dell'adattamento del movimento alle difficili condizioni di sopravvivenza al
quale la contingenza storica lo ha costretto. Le tensioni fra le diverse
sensibilità politico culturali interne all'area libertaria che derivano
da questa egemonia sono, a ben vedere e di norma, poco produttive e raramente
vanno alla radice dei problemi. Se, infatti, si pone all'attenzione dei
compagni l'esigenza di far vivere una proposta politico sociale più
efficace rispetto a quella che attualmente ci caratterizza si deve rendere
conto delle ragioni della sua preferibilità rispetto ad altre ipotesi e
non pretendere una sua accettazione a priori;
- d'altro canto, se si ritiene che vada praticata una militanza di tipo
politico sociale volta esplicitamente a mettere in discussione l'ordine del
mondo e se vogliamo evitare il ricatto morale, ritengo sia necessario
dimostrarne il possibile carattere efficace, interessante, non sacrificale. A
questo punto, diviene opportuna una riflessione sui caratteri specifici della
militanza, caratteri sui quali conto di tornare in un prossimo intervento.
Cosimo Scarinzi
[1] Note intorno al legame fra realizzazione del piacere e militanza anarchica
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