![]() Da "Umanità Nova" n.24 del 4 luglio 1999 La pace con ogni mezzo necessario?Durante questi ultimi mesi si è riproposta in vario modo la questione della coerenza tra mezzi e fini, questione non meramente etica ma, per ogni antiautoritario, ricca di implicazioni culturali e politiche. Il caso più macroscopico avuto sotto gli occhi è stata la riproposizione su vasta scala della violenza della NATO spacciata come rimedio alla violenza della pulizia etnica attuata dallo stato serbo; in questo tunnel ideologico si sono infilate pure rinomate firme dell'intellighenzia sinistrese quali Bobbio, Foa, Sofri, Deaglio, con parallelismi di dubbia decenza storica con la guerra di Spagna o con la lotta antinazista. Tale tesi non è stata sostanzialmente incrinata neppure quando la violenza "giusta" tradotta in bombe di ogni grado di "intelligenza" ha palesemente seminato la morte tra i civili, gli innocenti, gli indifesi e persino tra gli stessi profughi kosovari che si volevano difendere con tale operazione militare; indifferente davanti alla strage, cinicamente liquidata come "effetto collaterale", il partito di governo ha rivendicato la giustezza dei mezzi attraverso un manifesto che certo rimarrà nella storia della mistificazione, recante lo slogan "La forza per difendere i deboli", buono forse per titolare un fumetto western dell'intramontabile Tex Willer, ma troppo beceramente retorico per giustificare moralmente l'assassinio proprio di quei deboli. L'incongruenza in cui si trovano immersi i Democratici di Sinistra è apparsa ancor più evidente quando, dopo l'ammazzamento di D'Antona rivendicato dalle "nuove" BR, hanno cercato di recitare la parte delle vittime della violenza sovversiva offrendo la saracinesche imbrattate di qualche sezione del loro partito come prova della collateralità esistente tra sinistra antigovernativa (sindacalismo di base, centri sociali, Rifondazione Comunista, organizzazioni antimperialiste, anarchici, etc.) e la politica terroristica di avanguardie del nulla. Ancora più lacerato dalle contraddizioni derivanti da tale scenario, è apparso quel pacifismo, più o meno legato alla "sinistra" politica, nato morto attorno ai missili a Comiso e resuscitato ai tempi della Guerra del Golfo; infatti dopo aver predicato per anni la non-violenza, la cultura della pace, il rifiuto ideologico del conflitto sociale, la cultura della legalità, etc. si è ritrovato, proprio con la "sinistra" al governo, dentro una guerra che veniva propagandata come umanitaria e persino "pacifista". Emblematico poi vedere la marcia della pace Perugia- Assisi utilizzata come palcoscenico per i comizi dei responsabili delle scelte di guerra, senza che dai pacifisti salisse un solo fischio di critica; così come è stato accettato che una politicante come la Bonino, a favore delle aggressioni militari sia contro l'Iraq che contro la Serbia, utilizzasse spudoratamente il simbolo pacifista nel suo logo elettorale. Le contraddizioni non hanno però risparmiato neanche l'opposizione alla guerra, a partire da Rifondazione Comunista che, dopo aver votato in Parlamento appena pochi mesi prima a favore del mantenimento delle basi militari USA e NATO in Italia, si è trovata a manifestare proprio davanti a queste basi, urlando "fuori l'Italia dalla NATO". Altri settori invece per cercare di allargare il "fronte" antibellicista sono ricorsi senza remore a "mezzi" che di fatto rendevano del tutto compatibile con la rappresentazione democratica l'esistenza di un'opposizione alle scelte governative. Nodo centrale di questa incongruenza era il presunto ruolo di pace che, secondo certi ambienti, dovevano affermare lo Stato italiano con la sua Costituzione che "ripudia la guerra", l'Europa (quale? Quella di Schengen e di Maastricht?!), le Nazioni Unite (quelle del criminale e perdurante embargo contro l'Iraq), la Chiesa (la stessa che con il riconoscimento della Slovenia e della Croazia ha non poche storiche responsabilità) e forse anche Babbo Natale, giungendo ad auspicare un intervento armato nell'area della crisi sotto le bandiere dell'ONU e non sottraendosi neppure alla rinuncia di ogni proposito sovversivo e di ogni identità di classe, al coro sulla morte del comunismo e alla "realistica" improponibilità della rivoluzione sociale. In sintonia con questo "progetto", non è stato colto il paradosso rappresentato dalle trasmissioni televisive in cui - mentre su Belgrado piovevano tonnellate di bombe - militaristi, politici, pacifisti e sedicenti antagonisti si confrontavano rispettosamente sul senso della guerra. Analogamente, e crediamo non per caso, la cosiddetta informazione ha reso visibile solo la faccia "per bene" dell'opposizione pacifista che spesso ha volutamente scelto di fare spettacolo, godendo persino di un trattamento di favore dagli organi di polizia. Ulteriore conferma dell'atteggiamento schizofrenico di certa sinistra politica si è poi avuto in occasione della scadenza elettorale di giugno quando, dopo aver denunciato la morte della democrazia, del parlamento e della sinistra sancita dalla guerra "incostituzionale", non è riuscita a sottrarsi al rito del voto per "il meno peggio", nonostante che da consistenti settori dell'opposizione alla guerra fosse emersa in modo chiaro e conseguente la proposta dell'astensionismo attivo. E tale atteggiamento ha messo a nudo tutto l'opportunismo di quanti, per invalidare il referendum sul proporzionale, avevano invitato a non andare a votare proprio sulla base di quelle motivazioni attorno alla democrazia e alla guerra, che solo poche settimane dopo, evidentemente non contavano più niente. KAS.
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