Da "Umanità Nova" n.24 del 4 luglio 1999
Rifugiati e profughi
Le ambiguità del governo italiano
Con grande ritardo rispetto all'inizio dei bombardamenti NATO, il presidente
del Consiglio dei Ministri ha emanato il decreto contenete le misure di
protezione temporanea a favore dei rifugiati provenienti dalle zone di guerra
dei Balcani (G.U. n. 121 del 26 5 '99). Il provvedimento era particolarmente
atteso anche perché la nuova legge sul diritto di asilo , già
approvata nel mese di novembre dello scorso anno dal Senato, giace ancora alla
Camera e non se ne prevede una rapida approvazione.
Nel frattempo l'Italia, come altri paesi europei, continua ad essere raggiunta
da migliaia di profughi provenienti da paesi in guerra o dilaniati da regimi
dittatoriali, non solo dal Kosovo, ma dal Kurdistan, dalla Sierra leone, dal
Centro Africa, dall'Etiopia. Per questi rifugiati, provenienti da situazioni di
guerra lontane, dimenticate persino dai mezzi di informazione, rimane soltanto
la procedura dell'asilo individuale prevista dalla legge Martelli del 1990
(art. 1, tuttora in vigore), e l'accoglienza dei gruppi di volontariato, sempre
che questi migranti siano riusciti a superare il preesame da parte degli uffici
di frontiera: spesso infatti l'ingresso di questi profughi avviene a caro
prezzo attraverso i canali dell'immigrazione clandestina.
Il destino dei profughi kosovari (ma ormai dopo la "fine della guerra" sta
diventando consistente anche l'esodo di altre etnie che fuggono dai Balcani
temendo altre persecuzioni e ritorsioni) non sono certamente alleviati dai
procedimenti legislativi temporanei varati dal Governo italiano; il resto
dell'Europa che sotto le bandiere NATO ha scaricato tonnellate di bombe sul
Kosovo, indugia intanto a trovare una soluzione coordinata che distribuisca tra
tutti i paesi gli oneri dell'accoglienza. Ma si sa, il profugo commuove quando
è ripreso dalla televisione, ma è maledettamente scomodo quando
arriva a casa nostra, e mette a repentaglio il consenso elettorale
faticosamente acquisito dai nostri politicanti con mesi ed anni di solenni
affermazioni verbali su solidarietà ed impegno per la pace.
Il decreto contenente misure di protezione temporanea, adottato dal nostro
governo nel mese di maggio, brilla per la genericità e la
lacunosità del contenuto, prontamente "integrato" dalle solite circolari
ministeriali che - come altre volte - ne hanno svuotato il contenuto,
affidandone l'applicazione alla discrezionalità delle forze di polizia.
Manca qualsiasi possibilità di ottenere visti di ingresso per l'Italia
direttamente in Albania e l'unica via di accesso dei profughi nel nostro paese
- a parte quelli trasferiti dall'operazione Arcobaleno con il ponte aereo dalla
Macedonia direttamente in Italia - rimane quella degli scafisti che già
tante vittime hanno lasciato alle loro spalle.
Il decreto tiene in considerazione solo in parte la situazione di coloro i
quali già si trovavano in Italia alla data dello scoppio della guerra
(il testo di legge individua esplicitamente l'inizio degli "eventi bellici"
proprio con l'inizio dei bombardamenti NATO. (Ma non ci avevano detto che la
situazione di conflitto del Kosovo era cominciata già da prima, con le
persecuzioni etniche a danno dei kosovari albanesi?).
Possono ottenere il permesso di soggiorno soltanto coloro che sono stati
trasferiti in Italia direttamente dai campi macedoni o albanesi, come i
profughi condotti a Comiso con un pote aereo, oppure quelli entrati
clandestinamente in Italia, ma solo se il loro ingresso è successivo
all'inizio dei suddetti "eventi bellici". Nell'interpretazione adottata nella
circolare ministeriale tale data sarebbe il 26 marzo del 1999, data nella quale
il governo proclamava lo "stato di emergenza per fronteggiare un eventuale
eccezionale esodo delle popolazioni provenienti dalle zone di guerra dell'area
balcanica".
Ma allora - ci si domanda - anche per la legge italiana lo stato di guerra nei
Balcani preesisteva alla dichiarazione da parte del governo dello stato di
emergenza per l'accoglienza in Italia? E dunque, perché la circolare (e
la prassi di molte questure) si ostina a riconoscere come profughi di guerra
soltanto quelli entrati dopo il 27 marzo 1999?
E che destino spetta agli altri, quelli arrivati magari qualche mese o qualche
settimana prima? E i rom, abituati a muoversi continuamente e qualche volta
fuggiti dal Kosovo dopo esservi rientrati dall'Italia (dove magari avevano
anche ottenuto un regolare permesso di soggiorno poi scaduto) per rintracciare
i propri parenti ? E le migliaia di familiari che i profughi si sono lasciati
indietro perché separati al momento della fuga? Nulla. Il decreto non
prevede nessuna regolarizzazione e neppure la possibilità dei
ricongiungimenti familiari.
Da anni le organizzazioni non governative denunciavano la situazione di guerra
civile - peraltro puntualmente ripresa con la fine dei bombardamenti - che
già caratterizzava il Kosovo, con la fuga di centinaia di migliaia di
persone, nel silenzio e nell'indifferenza della comunità internazionale.
Come non riconoscere a tutti - a tutti, ripeto - i profughi in fuga da violenze
in corso da anni (che il recente intervento armato a fini umanitari ha
accresciuto ulteriormente) il diritto alla protezione temporanea, e qualora lo
richiedano, il diritto di asilo?
E invece no, cavilli su cavilli, nel migliore dei casi ritardi nella
concessione dei permessi di soggiorno che nelle situazioni di maggiore
concentrazione, come a Comiso, accrescono le tensioni, rendono incerto il
futuro, esasperano le divisioni e la voglia di vendetta.
Occorre rispettare il principio dell'autodeterminazione dei profughi. Questo
diritto va riconosciuto da un paese che vuole continuare a definirsi civile non
solo a tutti coloro che sono fuggiti in questi ultimi tre mesi, ma anche a
quanti sono giunti in precedenza, prima dell'inizio dei bombardamenti, e non
possono fare certo rientro oggi in un territorio minato e in preda ad una
guerra civile dagli esiti imprevedibili.
Gli uomini, le donne e i bambini, passati i giorni della compassione di massa,
dovranno essere trattati come individui, liberi di decidere dove orientare la
propria vita. Per questo risulta essenziale garantire una corretta informazione
ai profughi, in tutti i luoghi d'accoglienza. Le associazioni di volontariato e
le organizzazioni non governative possono dare un contributo determinante in
tale direzione.
Fulvio Vassallo
|