unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.24 del 4 luglio 1999

Letture

Marco Revelli, La sinistra sociale, Bollati Boringhieri, Torino, 1997, pp. 240, L. 24mila

Il lettore che è attento ad una interpretazione del passaggio epocale di fine secolo conosce già i lavori di Marco Revelli sulla transizione tra fordismo e postfordismo, non solo come macchina di produzione, ma come emblema di un sistema di dominio legato al capitale industriale, alla disciplina di massa, al controllo statale di territori, genti e immaterialità situate nell'ambito nazionale. Queste sono del resto le prerogative costituzionalizzate da almeno 150 anni.

Ebbene, nell'era di una incipiente globalizzazione, come rileva Revelli in questo interessante testo, stanno saltando uno dopo l'altro i caposaldi di un sistema di dominio, scalzati da un altro (detto appunto postfordista) in cui è il capitale finanziario ad accumulare flussi monetari incomparabili con la creazione di ricchezza e la crescita del capitale industriale (produttivo di beni e servizi commerciabili); in cui sono i territori discontinui sul pianeta a sfuggire agli apparati di controllo dello stato-nazione, non più in grado di gestire la crescita sociale attraverso il patto redistributivo tra produttori di ricchezza e detentori del potere democratico (il popolo sovrano); in cui le masse disciplinabili implodono (come osservava Baudrillard tanti anni orsono) rendendosi amorfe, insuscettibili, indifferenti, sfuggenti, apatiche: la divisione è segmentaria e non più verticalmente classificata.

Questo passaggio è in atto, con le sue contraddizioni e le sue opportunità. Le contraddizioni ne fanno parte pregnante (personalmente non scommetterei su di esse per un ribaltamento dialettico della situazione), come dimostra la vicenda dello stato, da una parte dismettente le proprie prerogative, dall'altro riacquistando una centralità prettamente politica (la militarizzazione dell'ordine pubblico mondiale, almeno nelle intenzioni dell'occidente, cerca di mobilitare quelle stesse masse apatiche all'interno, in un modo o nell'altro, al fine di trarne la legittimità persa sul piano della redistribuzione delle ricchezze via prelievo fiscale progressivamente egualitario).

Le opportunità si aprono nel marasma della trasformazione, e si presentano sia come margini di manovra che come marginalità abbandonate al proprio destino. Su di esse si discute, stretti tra una tentazione neocompromissoria - a cui sembra che nemmeno Revelli sfugga, quando invoca una riverticalizzazione del conflitto sociale tra soggetti forti: uno stato a sinistra potrebbe porre fine al capitale finanziario e ai mercati deregolati al massimo ai tempi dei ceti politici neoliberisti al potere? (ma in altri scritti Revelli si mostra contraddittoriamente meno sicuro di questa ipotesi plausibili) - e una tentazione postmoderna di sottrazione sia ai vincoli di mercato che ai parametri della politica (come del resto sembra alludere lo stesso Revelli quando parla delle ambiguità di un Terzo settore no profit talvolta legato a logiche politiche di complementarità, e non di estraneità, alle funzioni del vecchio apparato statale in ritirata da una serie di ambiti sociali).

Il punto comunque che centra la questione è la sfida a ricreare nuovi legami sociali che prospettino orizzonti di vita libera e liberata al cui interno ricostruire passi, fughe e soluzioni "politiche" che ridislochino il conflitto non come variabile interna al sistema di dominio, forma di oleatura che garantisce un miglior funzionamento, come è stato ed è tuttora, bensì come elusione/allusione a uno spazio altro dalla globalizzazione (eterotopia, direbbe Foucault) in cui uomini e donne, reinventando una post-sinistra extraistituzionale, sappiano vivere donandosi socialità e non scambiandosi merci, servizi e monete.

Salvo Vaccaro



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org