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Da "Umanità Nova" n.27 del 12 settembre 1999

All'assalto delle pensioni

La confusa discussione sulle pensioni, i TFR (Trattamento di Fine Rapporto, la vecchia liquidazione) che ha animato gli scorsi mesi sembra avviarsi ad una stretta nel senso che i vari soggetti istituzionali interessati stanno definendo con maggior chiarezza che in passato le proprie posizioni.

Quelle che prenderanno i lavoratori dipendenti coinvolti dalle manovre di ingegneria salariale annunciate sono, ovviamente, una questione parzialmente diversa e, comunque, legata al livello di sviluppo del conflitto fra le classi.

Può, per ora, essere opportuno disegnare alcuni elementi dello scenario che ci attende per attrezzarci ad affrontarlo nel modo migliore.

Andiamo per ordine:

- nei mesi passati siamo stati sommersi da una serie spaventosa di valutazioni "tecniche" sullo stato della previdenza. Sappiamo bene come nulla sia meno neutrale delle valutazioni sulle grandezze salariali e come sia uso corrente dare, letteralmente, i numeri quando si parla di previdenza. Fatto salvo che i dati a disposizione sono poco affidabili, è chiaro che le posizioni istituzionali in campo si riducono a due: coloro che sostengono che la previdenza è allo sfascio e che bisogna tagliare subito le pensioni e coloro che affermano che la previdenza non va così male e che le pensioni si possono tagliare con calma. La discussione è arricchita marginalmente da coloro che denunciano le pensioni d'oro e che vogliono colpire anche i privilegiati oltre alla massa dei lavoratori al fine di rendere meno dolorosa la mazzata;

- anche nel campo dei sindacati di stato si sono determinate due posizioni: la CISL, con il supporto della UIL nel ruolo di avvocato dei diritti dei lavoratori e la CGIL più disposta al "confronto" sulla politica di rigore prospettata dal governo. Abbiamo già rilevato come la posizione CISL esprima l'esigenza di ritagliare uno spazio autonomo alla Grande CISL alla quale lavora D'Antoni, una Grande CISL capace di accorpare settori del sindacalismo autonomo, del mondo associativo cattolico di destra e di sinistra, della diaspora democristiana al fine da funzionare come base sociale di un'ipotesi politica neocentrista. Lo spazio ed il ruolo della CGIL è, ovviamente, diverso e consiste nel porsi come sindacato responsabile e capace di cogestire la "modernizzazione" dell'economia italiana senza attardarsi in una sia pur limitata tutela dei settori direttamente colpiti dalle innovazioni che il governo prepara;

- a fine estate il leader della CGIL, Cofferati, ha lanciato l'iniziativa "rivoluzionaria" consistente nell'accettazione del taglio anticipato delle pensioni a fronte di un assorbimento nelle retribuzioni mensili di quanto attualmente i lavoratori pagano per il TFR. La discussione su questa proposta è già vivace ma è certo che si tratta di un'iniziativa che rimette al centro del dibattito politico la CGIL, offre al governo una sponda sociale forte e richiede una valutazione puntuale.

Andiamo per ordine:

se, come sembra inevitabile, le cifre per il TFR accantonate dalle aziende non verranno toccate, ai lavoratori spetterà solo quanto matureranno in futuro. In altri termini, ed è questa un'ipotesi che può sembrare accattivante a molti lavoratori salariati, un aumento della retribuzione netta mensile in cambio di una riduzione delle liquidazioni. Quindi, graduale eliminazione della liquidazione e riduzione alle pensioni da una parte contro il già citato modesto aumento della retribuzione diretta ed immediata dall'altra, aumento che, in una fase di ripresa dell'inflazione, rischia di significare che il TFR coprirà, nella migliore delle ipotesi, l'inflazione e che in questo modo non verranno dati aumenti salariali effettivi;

le risorse così liberate andrebbero in gran parte a finanziare i fondi pensioni visto che le pensioni saranno ancor più ridotte all'osso. E qui c'è un rischio ulteriore consistente nel versamento diretto della quota per il TFR ai fondi pensioni gestiti da imprese e sindacati. Come è noto, infatti, i lavoratori, in una fase di taglio del reddito, sono tutt'altro che entusiasti dell'ipotesi di tagliarsi il reddito con un versamento ai fondi pensione e quindi i nostri eroi vogliono liberarli della fatica di decidere cosa fare del proprio denaro. Un affare straordinario per il capitale finanziario da una parte e per CGIL-CISL-UIL già candidate a gestire settori del mercato dei fondi pensioni;

legare le pensioni all'andamento dei fondi pensioni, il cui rendimento deriva dalla situazione economica generale, significa rendere ancora più flessibile la retribuzione dei lavoratori salariati. Se le borse tireranno e l'economia andrà bene i fondi pensioni potranno garantire buoni rendimenti, altrimenti pazienza:

i fondi pensione, così rilanciati, diventeranno soggetti economici centrali dell'economia, come già avviene in altre economia capitalistiche. I gestori dei fondi pensioni, fra i quali sono i sindacati di stato, giocheranno un ruolo crescente rafforzando l'impianto corporativo al quale lavorano con impegni gli apparati del sindacato.

Insomma siamo di fronte ad un operazione di ingegneria sociale decisamente notevole. Non a caso diversi contratti hanno introdotto la previdenza integrativa, oggi facoltativa e domani, probabilmente, obbligatoria.

Vediamo alcune difficoltà evidenti di questa operazione:

molte imprese non hanno alcuna intenzione di mollare il controllo sul TFR e di perdere del capitale fresco che oggi controllano. Molte piccole e piccolissime imprese non hanno una gestione regolare del TFR. Saranno necessarie delle concessioni per tacitarne le proteste;

un taglio secco delle pensioni anticipato provocherà tensioni soprattutto fra i lavoratori con elevata anzianità. La CISL pone l'accento sul fatto che un lavoratore con elevata anzianità di lavoro non è più in grado di garantirsi una pensione integrativa decente, il che è vero, ma è ancora più vero che soprattutto i lavoratori dell'universo delle piccole aziende. Che in Italia sono la maggioranza, rischiano molto da questa ulteriore deregolamentazione;

il sistema dei fondi pensione può funzionare, dal punto di vista capitalistico, solo in presenza di una gestione rigorosa cosa difficile se non impossibile in un regime di capitalismo familiare o informale come quello italiano.

Queste ed altre contraddizioni saranno al centro dello scontro politico e sociale dei prossimi mesi. Possiamo immaginare come tutti i gruppi di pressione legati alle varie frazioni della borghesia capitalistica e di quella di stato, alle corporazioni ed agli apparati burocratici lavoreranno per tutelare gli interessi che esprimono.

Vi è, fra l'altro, da domandarsi come la maggioranza conti di conquistare consensi a fronte di un'operazione del genere. L'ipotesi più probabile è che alcune recenti proposte di rilancio dell'assistenza ai gruppi sociali deboli rispondano proprio a questo fine. Per far ingoiare un taglio del reddito e dei diritti, il governo promette una manciata di denaro alle famiglie a basso reddito. Meno diritti e meno garanzie in cambio di elemosine vergognose visto che le famiglie con più di tre figli e con 36 milioni di reddito avrebbero bisogno di cifre ben diverse da quelle prospettate per condurre una vita decente.

Dovremo, quindi, lavorare nelle assemblee, sul territorio, nelle aziende per:

chiarire il rapporto fra salario e pensione;

denunciare i caratteri truffaldini del discorso dominante sulla previdenza;

affermare la necessità di sganciare il salario diretto e quello differito (la pensione) dall'andamento del ciclo economico;

denunciare il carattere burocratico e parassitario dell'attuale sistema previdenziale;

proporre forme di controllo collettivo sulla retribuzione e sul sistema previdenziale che non passino per l'apparato dei sindacati di stato;

rilanciare l'iniziativa per la difesa del salario.

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