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Da "Umanità Nova" n.27 del 12 settembre 1999

Consumare: il mestiere di domani

Aiuto, stanno tirando fuori dal cappello un altro coniglio per mantenere vivo e vegeto il capitalismo! La nuova magica soluzione si chiama reddito garantito di cittadinanza e sta già mietendo molte vittime tra i "progressisti". Di cosa si tratta? Innanzitutto, non va confuso con la rivendicazione sindacale del "salario minimo garantito", poiché questa rivendicazione interessa unicamente le persone che esercitano un'attività retribuita in forma dipendente. Il salario minimo garantito è la soglia salariale minima fissata per legge dallo Stato e applicabile a tutti i dipendenti. Nella sua forma più semplice, esso prevede che nessun contratto di lavoro possa essere stipulato per meno di poniamo due milioni per 40 ore. Questa forma semplice può naturalmente conoscere molte varianti, quali la presa in considerazione dello stato familiare o di altri parametri di graduazione del reddito. Si tratta comunque di una tipica norma obbligazionaria simile a quella che nella legislazione svizzera prevede per esempio che "ogni datore di lavoro deve accordare al lavoratore, ogni anno di lavoro, almeno quattro settimane di vacanza". Pur nella sua evidente "giustezza", il salario minimo garantito adottato a livello nazionale o di unioni economiche difficilmente potrà non comportare una ulteriore erosione dei posti di lavoro con il trasferimento della produzione verso aree a costo del lavoro più basso (industria tessile, componenti elettroniche di serie, chimica di base ecc). Inoltre, proprio dai settori più deboli anche a livello di sindacalizzazione potrebbero venire delle riserve per il timore della perdita del posto di lavoro in seguito a cessione d'attività o automazione (vendita, ristorazione, turismo). Come tutte le misure riformistiche, anche questa corre quindi il rischio di accelerare i processi ristrutturativi del capitale. Per contro, il reddito di cittadinanza (detto anche "assegno universale" o "reddito di base" o "dividendo sociale") consiste nella ripartizione di una parte del reddito nazionale in modo incondizionato e ugualitario a ogni individuo (generalmente, ma non da tutti, inteso come avente "cittadinanza" e maggiorenne). In altre parole, si tratta dell'erogazione di una somma monetaria a scadenza regolare e perpetua in grado di garantire una vita dignitosa indipendentemente da una prestazione lavorativa. Sotto forma di imposta negativa sul reddito, il reddito di cittadinanza corrisponde alla differenza tra un determinato livello di reddito fissato per legge e il minor reddito effettivamente conseguito. In entrambi i casi, il reddito di cittadinanza sostituisce tendenzialmente le assicurazioni sociali esistenti e naturalmente anche la pubblica assistenza in caso di indigenza. Inoltre, nella forma dell'assegno sanitario e educativo (spendibile nell'uso di strutture private o pubbliche, non molto diverso da quanto propone per esempio Forza Italia) interessa già il cittadino bambino. Il finanziamento dell'assegno universale dovrebbe essere assicurato mediante prelievi fiscali sul reddito e la sostanza (presumibilmente in combinazione la tassazione sui redditi da capitale e sulle transazioni valutarie e finanziarie, nonché tramite un massiccio aumento dell'IVA). L'obbligo di contropartita (per esempio con prestazioni lavorative nel "terzo settore") è ancora oggetto di discussione tra i fautori dell'assegno, anche se tendenzialmente non è previsto.

Per quanto soggettivamente possa sembrare allettante (e a chi non piacerebbe trovarsi ogni mese recapitato a domicilio un assegno di 2 o 3 milioni a cranio senza muovere una paglia?), l'assegno universale è essenzialmente una riforma di erogazione di reddito tendente al consolidamento di un sistema economico basato sulla rapina. Nel seguito vorrei addurre qualche argomento a sostegno di questa tesi. Il primo luogo, così com'è proposto l'assegno universale richiede un sistema capitalista in perfetta efficienza. Il presupposto per il suo funzionamento è infatti l'esistenza di redditi, sostanze e transazioni tassabili, ossia, semplificando, di capitalisti, speculatori, tecnici, burocrati e liberi professionisti che guadagnino tanto e bene affinché il prelievo fiscale a loro carico e a carico delle "loro" società fornisca la base per l'erogazione dell'assegno. Inserito nell'attuale contesto della privatizzazione, l'assegno universale privo della rivendicazione della socializzazione dei mezzi di produzione di reddito cementa e rafforza l'"ingiustizia" economica del sistema. La sua erogazione presuppone necessariamente l'esistenza di una società di classe, poiché stabilisce un nesso di dipendenza economico-funzionale asimmetrico tra chi è escluso dal lavoro o ai margini del sistema produttivo da chi vi è integrato. Viste le prospettive a livello di automazione di processi di produzione, chi è integrato è in realtà una ristrettissima classe di tecnici e specialisti (oltre ai capitalisti). Ma qui ancora si tratta di uno scenario a media scadenza, poiché molto più probabilmente il reddito di cittadinanza nei paesi occidentali industrializzati verrà finanziato tramite il plusvalore conseguito con lo sfruttamento dei lavoratori sottopagati nei paesi a basso costo di produzione. A breve termine quindi, anche se ammettessimo che l'OMC aderisse alla proposta d'introduzione generalizzata di una clausola sociale avremo comunque una sicurezza sociale nei paesi ricchi basata sulla disparità economica tra il Nord e il Sud del mondo. Ovviamente questo sistema per funzionare necessita di un efficiente strumento di ridistribuzione: lo stato. Occorre cioè che esista un organo in grado di assicurare il prelievo fiscale, di reprimere l'evasione, di attuare e controllare la ripartizione secondo le modalità previste, di censire i bisogni per fissare le aliquote e via dicendo. Tutto questo meccanismo deve basarsi sul consenso, anzi: è certamente una formidabile macchina per la produzione di consenso sociale. Chi mai avrebbe qualcosa da obiettare contro chi ti dà il necessario per mantenere elevata la "domanda solvibile"? Altroché "favorire la conflittualità antagonista" e "forme di resistenza" come ipotizza qualcuno! Probabilmente l'assegno universale è uno dei più formidabili strumenti di consolidamento del capitalismo mai inventato, perché si basa sul suo motore essenziale: il consumo. Ma il peggio non è ancora stato detto. Forse mi sto sbizzarrendo troppo, ma lasciatemi provare a formulare una ipotesi: il lavoro di domani sarà il consumo. Non bisogna essere dei maghi per capire come ogni minimo spazio lasciato libero dal lavoro verrà occupato con "offerte" per l'occupazione (a pagamento) del "tempo libero". Le offerte di trekking e riverrafting saranno i campi, i parchi divertimento le fabbriche, i supermercati le officine. La paga di domani sarà erogata non più in funzione del tuo lavoro, ma in funzione dei tuoi consumi. Consumo beninteso non come "soddisfacimento dei bisogni", ma come adempimento all'imperativo della circolazione della moneta per assicurare il rifinanziamento dei consumi di domani. Il consumo è infatti una condizione inderogabile per garantire l'erogazione dell'assegno: per produrre il reddito necessario, i prodotti e i servizi tassati devono ben essere acquistati e consumati. Certo che i sinistri profeti dell'assegno universale han fatto presto a dimenticare trent'anni di sociologia per quanto concerne i concetti di "consumo indotto" e di "persuasione occulta". Improvvisamente, ecco rispuntare il mercato quale garante del soddisfacimento dei bisogni reali della popolazione. Non è difficile a questo punto immaginare le devastanti conseguenze ambientali e gli sprechi di risorse naturali di questa vorticosa spirale di produzione e consumo che si alimentano vicendevolmente. Un altro aspetto problematico dell'assegno universale è sollevato molto opportunamente da Willer Montefusco su Germinal 80 che di fronte alla prospettiva dell'erogazione dell'assegno a chi è cittadino maggiorenne rileva come di fronte agli altri (gli immigrati, nella fattispecie) "una tale proposta porterebbe ad una ulteriore esasperazione dei meccanismi di esclusione". Mi rendo conto che queste prime osservazioni su un tema di tale portata appariranno confuse e immature e in effetti lo sono: ma credo che se teniamo a contrapporre al capitalismo una prospettiva autogestionaria dobbiamo affrontare senza indugi questo tema coordinando ricerche economiche, sociologiche ed ecologiche in materia.

Perer Schrembs



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