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Da "Umanità Nova" n.27 del 12 settembre 1999

Campagna contro la previdenza

La campagna contro la previdenza, che mira ad inserire nella prossima legge finanziaria impegni precisi per il taglio delle prestazioni di previdenza ed assistenza, è supportata da una campagna di opinione contro il costo del lavoro e il carico fiscale che merita alcuni approfondimenti.

Quello che è volgarmente definito come costo del lavoro è il prezzo che il capitalista paga per l'uso della forza lavoro dell'operaio; questo prezzo, come il prezzo di qualsiasi altra merce, è la traduzione in denaro del suo valore, determinato sulla base del tempo di lavoro necessario alla sua produzione, nel caso della forza-lavoro, il tempo di lavoro necessario alla produzione dei beni e servizi che concorrono al sostentamento del lavoratore e della sua famiglia. Con quel che guadagna dalla sua ora di lavoro, l'operaio acquista i mezzi sussistenza necessari a riprodurre l'energia spesa nell'ora di lavoro, a sé e ai familiari che ha a carico, costituisce un piccolo fondo per i periodi di malattia, disoccupazione e inabilità al lavoro.

La forma fenomenica del salario maschera questa realtà: il capitalista paga il lavoratore ad ore, mentre la parte di salario che copre il costo dei mezzi di sussistenza per la famiglia dell'operaio e per i periodi di inabilità al lavoro è versato dal capitalista alla previdenza sociale. Il primo aspetto genera l'apparenza che l'operaio venda il proprio lavoro e non la propria forza lavoro, mentre il capitalista sembra che paghi tutto il tempo in cui utilizza la forza lavoro; il fatto che la previdenza sociale sia gestita dallo Stato maschera la natura salariale dei contributi versati dai capitalisti e li fa assimilare ad una forma di tassazione (gli "oneri impropri").

In realtà, il costo della forza lavoro funziona un po' come gli altri fattori della produzione: per svolgere la sua attività il capitalista affitta un capannone, che paga per 24 ore il giorno, anche se poi lo utilizza per molto meno; oppure il capitalista calcola nel prezzo della merce prodotta l'ammortamento della macchina anche per il tempo in cui la macchina è ferma.

Il numero dei familiari a carico, naturalmente, è diverso per ogni operaio, così come sono diversi i periodi di malattia o disoccupazione, ed è diversa la durata della vita una volta abbandonato il lavoro. Tutto questo si traduce in una diversità del prezzo del lavoro, che finirebbe per gettare fuori mercato i più malaticci, i più prolifici e così via.

Fin dalla nascita il movimento operaio ha pensato di risolvere questi problemi con casse di mutuo soccorso, di resistenza ecc.: con l'avvento del fascismo queste casse, legate ai sindacati, sono state poste sotto il controllo dello Stato, che preleva parte del salario dai capitalisti sotto forma di contributi per poi distribuirlo a chi ne ha bisogno sotto forma di

prestazioni. Il meccanismo è indubbiamente farraginoso e genera dei costi necessari al mantenimento della struttura stessa, ma l'indagine sulla convenienza o meno di una struttura centralizzata per gestire equamente le componenti individuali del salario esula dalla mia indagine. Quello che mi preme sottolineare è che il costo del lavoro pagato dai capitalisti in questo modo, è quanto di più vicino si possa immaginare ad un prezzo di mercato della forza lavoro.

Qualsiasi misura che intacchi il meccanismo delle pensioni e della previdenza sociale si tramuta in un taglio dei salari, diretto od indiretto, ogni forma di integrazione gestita dallo Stato si traduce in nuove tasse, in nuove imposizioni che taglieggiano il reddito proletario; inoltre la percentuale in cui il reddito proletario deve essere integrato dalla carità di Stato dà la misura di quanto il pauperismo si è diffuso tra la classe che produce la ricchezza nazionale.

Il ruolo che gioca il Governo mostra l'incapacità del modo di produzione capitalistico di perpetuarsi senza ricorrere all'azione violenta dello Stato per peggiorare le condizioni del proletariato.

Una conferma a quanto andiamo dicendo è che i capitalisti, quando acquistano la forza-lavoro, non tengono conto del lavoro concreto che l'operaio andrà a svolgere: quello che interessa loro è il valore d'uso specifico della merce forza-lavoro la sua capacità di rendere più di quello che è costato, produrre un plusvalore. Questo meccanismo è tipico del

lavoro umano, del ricambio organico fra uomo e natura, ed è il presupposto del progresso della civiltà, nel modo di produzione caratterizzato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione assume la forma della produzione di plusvalore. Da dove nascono allora le grandi lamentele dei capitalisti e del Governo sul costo del lavoro? Da una parte dal fatto che ai capitalisti, più che il plusvalore, interessa il profitto, cioè la redditività del capitale investito, che deve tener conto anche degli altri costi di produzione, oltre che delle tasse e degli oneri finanziari. La riduzione del prezzo della forza-lavoro al di sotto del proprio valore è uno degli strumenti utilizzati per contrastare la caduta del saggio di profitto; ecco che, da un altro lato, abbiamo la conferma che l'intensità dell'intervento del Governo a sostegno dei capitalisti è una misura dell'incapacità del modo di produzione capitalistico a perpetuarsi spontaneamente.

Ecco che la critica teorica ci ha permesso in primo luogo di smascherare le menzogne che sono ripetute dagli economisti di regime sui costi delle pensioni, successivamente di individuare nell'intervento antiproletario del Governo un'ennesima stampella per il traballante dominio capitalistico.

Un'ultima considerazione ci rimane da fare: in realtà proprio la capacità della forza-lavoro di produrre più valore di quello che è costato lascia ampi margini all'azione sindacale; la convinzione dell'aleatorietà di ogni conquista proletaria, delle motivazioni sociali del peggioramento delle condizioni di vita del proletariato, non può esimere le minoranze coscienti

da una battaglia contingente contro i tagli alle pensioni, dall'agitazione contro il Governo per strappare migliori condizioni di vita, adottando quelle forme di lotta politica, come l'azione diretta, accantonate dalle dirigenze collaborazioniste del movimento operaio che ci hanno portato alla situazione attuale.

Tiziano



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