![]() Da "Umanità Nova" n.27 del 12 settembre 1999 Banche "armate"Ubae Arab Italian Bank, Credito Italiano, San Paolo di Torino, Ambroveneto...: ecco la lista aggiornata delle banche italiane che si arricchiscono sostenendo l'export bellico. Soprattutto verso il sud e l'est. La relazione sull'export italiano di armi nel '98 è passata inosservata in sede politica. Presentata da D'Alema in parlamento il 31 marzo scorso, questa volta però ha una particolarità: è un volumone di 565 pagine, contro le circa 300 dei documenti prodotti dai governi precedenti. Inoltre più della metà del rapporto (l'"Allegato E" con 311 pagine) è una specie di resoconto del ministero del tesoro, che negli anni anteriori occupava appena una trentina di fogli. Sono trecento pagine cruciali, dense di nomi, cifre e dettagli delle operazioni di vendita all'estero per banca, impresa, paese di destinazione, autorizzazione e contenuto della fornitura. Insomma tutto quello che, nel resto della relazione, è confuso o "censurato" per "salvaguardare la riservatezza commerciale", come era stato spiegato da un sottosegretario nel '95. Dalla Arab Italian Bank a Unicredito Italiano, dall'Aermacchi a Finmeccanica, dall'Eritrea al Pakistan alla Turchia, i funzionari del ministero del tesoro - guidato al momento della stesura della relazione dall'attuale presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi - ; ci offrono uno spaccato dell'operatività e del giro di soldi delle esportazioni italiane di armamenti. Da tempo non si vedeva una cosa del genere. Nel 1998 le operazioni bancarie autorizzate connesse all'export italiano di armi sono ammontate a 1.236 miliardi di lire (1.114 miliardi di operazioni effettive), più gli "importi accessori" (compensi di mediazione). Un po' meno del volume complessivo di esportazioni autorizzato dal governo: 1.838 miliardi di lire. Ma nelle transazioni bancarie si riflettono operazioni che durano da anni, grosse commesse che i paesi importatori, soprattutto quelli più poveri del mondo, stanno pagando da molto tempo. E il Sud (e l'Est) sono tornati ormai da qualche anno ad essere i principali destinatari delle armi italiane, dopo la breve parentesi dei primi anni '90 in cui la legge 185; quella sul commercio delle armi veniva applicata con un po' di rigore e i clienti delle zone più povere e più "calde" del pianeta erano diventati pochi. E invece la classifica '98 delle esportazioni comincia con un mega-contratto con la Siria, l'ex "stato che appoggia il terrorismo internazionale": 229 milioni di dollari, circa 400 miliardi di lire, per la fornitura da parte di Finmeccanica, la holding pubblica dell'industria degli armamenti, e precisamente della sua divisione Officine Galileo, di 500 "sistemi di derivazione Turms". Si tratta di sistemi di controllo del tiro per carri armati: Damasco aggiornerà i suoi corazzati di marca sovietica con sofisticate apparecchiature occidentali. Come aveva già fatto la Repubblica Ceca, che nel '96 aveva acquistato 355 di questi sistemi, un altro maxi-contratto da oltre 400 miliardi. Siria e Repubblica Ceca sono infatti i paesi in testa per operazioni bancarie con l'Italia nel '98. Ma le operazioni dello scorso anno con Praga riguardano una nuova commessa: 75 radar avionici Grifo della Fiar (148 miliardi di lire) da installare sui nuovi aerei addestratori cechi L-159. E se per la Repubblica Ceca la Fiar si appoggia al Credito Italiano, ora Unicredito Italiano, la fornitura multimiliardaria alla Siria passa per l' Ubae Arab Italian Bank, che con 358 miliardi di operatività scalza le maggiori banche nazionali in testa alla classifica degli istituti di credito che hanno sostenuto le esportazioni di armi italiane. L'Ubae è controllata dalla Libyan Arab Foreign Bank di Tripoli (40% del capitale) - nessun problema dunque neanche con Tripoli, come confermato recentemente dal ministro degli esteri Dini - e tra i suoi soci italiani vede la presenza di Banca di Roma (16,6%), Monte dei Paschi, Bnl e San Paolo di Torino, nonché di Telecom Italia (2%). Da una corrispondenza di M. P.
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