Da "Umanità Nova" n.28 del 19 settembre 1999
Daghestan
La dissoluzione dell'impero sovietico
Fa un po' effetto, come se a poco a poco gli stati federati agli USA
chiedessero la secessione e lottassero per essa (è lo scenario
raffigurato nel bel film di Joe Dante, La seconda guerra civile americana).
Il Daghestan è una provincia russa affacciata sul mar Caspio; è
abitata prevalentemente da una serie di tribù di fede islamista,
indipendenti l'una dall'altra ma non conflittuali tra di loro (caso raro); che
si trovano dentro l'impero prima zarista, poi sovietico a prezzo di lunghe
repressioni e deportazioni. Con la dissoluzione dell'URSS nel 1991, il
Daghestan non diventa stato a se stante ma solo provincia della Russia, come la
Cecenia, ed oggi che tutte le élite in cerca di un posto al sole della
globalizzazione lottano per l'indipendenza, in qualche caso riuscendoci e
quindi divenendo modello per gli altri (vedi il caso della ex Jugoslavia), non
si capisce perché giusto il Daghestan debba continuare ad avere a che
fare con i russi di cui a stento capiscono la lingua (ma il linguaggio comune
delle armi lo stanno apprendendo bene e rapidamente).
Se i ceceni non sono stati capaci di portare il terrore a Mosca limitandosi a
contrastare al proprio interno l'invitta Armata Rossa, ottenendo così
solo un insoddisfacente e transitorio status di provincia autonoma
semi-indipendente, il Daghestan e le sue truppe ribelli sembrano aver capito la
lezione per poter rischiare di vincere la guerra di secessione. Per poi fare
cosa non è affatto chiaro.
La posta in palio, innanzitutto, è una fetta di privilegi e ricchezze
per una élite guerrigliera. In secondo luogo, dal Caspio dipartono le
condutture di petrolio verso la Russia e gli oleodotti verso il mar Nero,
secondo un percorso tutto interno all'ex URSS, attraverso la Georgia (non a
caso alle prese con una secessione analoga degli Abkhazi) e l'Armenia (con il
problema del Nagorno-Karabah); mentre altre cordate di interessi
politico-eonomici provano ad immaginare di rifornire l'area del Mediterraneo e
quindi l'Europa ricca attraverso l'Iran e la Turchia; scavalcando di un sol
colpo le rivalità infra-russe ed emarginando Mosca; per non parlare di
chi vuol far passare gli oleodotti attraverso l'Afghanistan e il Pakistan
(mussulmani sunniti come i sauditi) e poi via mare dappertutto, evitando il
pedaggio da pagare a turchi, curdi delle varie anime e a iraniani (musulmani
sciiti).
Sulle vie del petrolio si ridisegnano gli interessi politici di grande potenza
della Russia, bersagliata a sua volta anche dalla instabilità politica
alla vigilia della lunga rincorsa elettorale per le scadenze politiche e
presidenziali, e dagli scandali finanziari che coinvolgono non solo il clan di
Eltsin, ma tutti con tutti, con la benevolente complicità di USA e Fondo
Monetario Internazionale. Le varie mafie locali e planetarie vengono
periodicamente in attrito reciproco; invece di regolare i conti a colpi di
kalashnikov (la cui patria è appunto la Russia), a certi livelli
preferiscono usare i dossier e le spiate di servizi (segreti e
giornalistici).
Nulla di nuovo e di impressionante. Lo scandalo finanziario, si badi bene, non
alimenta affatto una crociata moralistica e puritana, né farà
gridare al successo dell'export italiano di Mani Pulite (ammesso che quella doc
nostrana sia a sua volta immacolata da ogni interesse di parte), bensì
la prosecuzione della guerra intestina con diversi mezzi a disposizione. Basta
evitare di credere che vinceranno i più onesti; al limite, i corrotti
più potenti faranno il vuoto eliminando i corrotti un tempo in sella al
potere. Ma non è facile suddividere i corrotti in classi
contrapposte...
Certo la dissoluzione di un Impero bene ordinato desta qualche preoccupazione
complementare per via delle testate nucleari depositate e inutilizzate (ma:
inutilizzabili?), per i cervelli in fuga che potrebbero vendere
irresponsabilmente i segreti di cui sono depositari (anche militari).
Però questa è una teoria su cui è opportuno non fare
troppa luce nelle decine di pagine dei dossier dedicati alla Russia oggi.
Salvo Vaccaro
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