Da "Umanità Nova" n.28 del 19 settembre 1999
Pensioni e flessibilità
La svendita competitiva
"Nessuno sarà d'accordo con me ma quello che proprio vorrei sarebbe
poter assumere e licenziare secondo le esigenze produttive ..., se io avessi la
possibilità di utilizzare liberamente il part time, i contratti a
termine, il lavoro interinale, potrei far lavorare molta più gente nel
mio gruppo."
Con queste parole Antonina Dodaro, imprenditrice calabrese, commenta sul
"Corriere della Sera" del 12 dicembre 1999, la proposta di Giorgio Fossa,
presidente della Confindustria di abolire, per tre anni, ogni forma di tutela
dei diritti dei lavoratori nell'Italia del sud senza escludere la
possibilità di estendere questa ricetta ad altre zone del paese.
In primo luogo, vorremmo tranquillizzare la signora Dodaro, d'accordo con lei
sono, come si è già ricordato, il presidente della Confindustria,
il segretario della CISL, il leader dei DS Massimo D'Alema che ha dichiarato,
all'inaugurazione della Fiera del Levante a Bari che "...è finita
l'epoca del posto fisso...", le truppe pannellate che affermano di aver
raccolto le firme necessarie ai referendum per liberalizzare assunzioni e
licenziamenti ed una massa multiforme di personaggi di destra e di sinistra che
non citiamo per ragioni di spazio.
Effettivamente la proposta di Fossa appare provocatoria ma non dimentichiamo
che il personaggio in questione di mestiere fa il sindacalista del padronato e
apre la contrattazione chiedendo cento per ottenere cinquanta.
Per tranquillizzare coloro che temono che la Confindustria sia vittima del
malvolere governativo, ci limitiamo a ricordare che fra le altre mille forme di
finanziamento pubblico e di deregolamentazione del mercato del lavoro il
padronato ha ottenuto:
- 61 (41 nel mezzogiorno) patti territoriali per un totale di 1350 iniziative e
per un finanziamento pubblico di 3.900 miliardi;
- 15 contratti d'area (12 nel mezzogiorno) per un totale di 400 iniziative e di
3.700 miliardi di finanziamento pubblico.
Sia i patti territoriali che i contratti d'area prevedono una forte riduzione
della tutela della forza lavoro. Il fatto è che l'appetito vien
mangiando e la Confindustria vuole fare dell'intero sud una zona franca dove
investire senza vincoli e rischi.
Come si è già ricordato, Sergio D'Antoni non ha perso l'occasione
per chiedere al governo di avere il coraggio di trattare sulla
flessibilità che la CISL è disposta a concedere.
D'Antoni, insomma, propone di svendere la flessibilità e di
salvaguardare, molto parzialmente le pensioni.
Dall'altra parte, Sergio Cofferati, segretario della CGIL, tiene duro sulla
flessibilità (si fa per dire) ed è disposto, come già
abbiamo avuto modo di rilevare, a cedere sul versante pensionistico.
Mentre la CGIL vuole svendere alcuni interessi generali della working class, la
CISL vuole salvaguardare settori garantiti ed anziani della stessa working
class e consegnare disarmata la padronato la massa dei lavoratori delle piccole
aziende, dei neoassunti ecc.
Il padronato, è la cosa va da sé, vuole il taglio delle pensioni
e le flessibilità e tenta di portare a casa il massimo possibile sui due
versanti.
Il discorso di parte padronale, ovviamente, ha un'apparenza di ragionevolezza.
è, infatti, vero che se i padroni potessero assumere tutti i lavoratori
(per molti già è così) alle condizioni che vogliono
farebbero più assunzioni ma vorrebbe solo dire che una quota di lavoro
nero emergerebbe visto che l'attuale lavoro normato sarebbe ridotto alle
condizioni dell'attuale lavoro nero.
In questa situazione di effettiva e grave difficoltà per una ripresa
forte dell'iniziativa di classe, è interessante notare come la sinistra
sindacale della CGIL cerca di riprendere un ruolo che la sua evidente
subalternità all'organizzazione di appartenenza le ha fatto perdere
negli anni passati.
Su "Il Manifesto" di domenica 12 settembre, nell'articolo "Buone ragioni prive
di ascolto", Gianni Pedò della CGIL di Brescia, storico leader della
sinistra sindacale, afferma nell'ambito di una riflessione non priva di
interesse sul quadro sociale e sulla maniera di funzionare delle burocrazie del
movimento operaio:
"Le recenti formule dell'unità competitiva sono parole in libertà
di fronte alla disponibilità della CISL sulla flessibilità,
all'apertura della CGIL sul sistema pensionistico e ai lavoratori evocati solo
quando si è in difficoltà."
Parole dure e chiare. è interessante porle in relazione con la
conclusione dell'articolo:
"Le ragioni vere della fine dei partiti storici della sinistra italiana non ci
hanno insegnato proprio nulla. Fra queste anche il preteso 'zoccolo' del
consenso dato a priori alla sinistra, con la variante moderna 'che alternativa
hanno?'. Quella di non andare a votare, di rifugiarsi nell'aziendalismo o di
tornare a vita privata."
Pedò si preoccupa, in fondo, della crisi della sinistra parlamentare
alla quale continua a riferirsi e di quella dell'apparato sindacale di cui
è espressione. In luogo di proporre un alternativa a quest'ordinamento
sociale e, di conseguenza, a questa sinistra, si rifugia nella denuncia delle
colpe dei gruppi dirigenti politici e sindacali, denuncia che gli permette di
permanere nel suo attuale ruolo sociale e politico.
Sta a noi operare perché la delusione di milioni di uomini e donne nei
confronti della sinistra trovi sbocchi diversi dal ripiego nel privato e
dall'aziendalismo (del non andare a votare ben possiamo che compiacerci) e
ritengo che se lo sapremo fare troveremo molti disposti ad operare assieme a
noi in questa direzione.
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