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Da "Umanità Nova" n.29 del 26 settembre 1999

Finanza: attacco generale

L'ops lanciata dalle Generali su Ina è il sintomo più recente della febbre da scalata che sta investendo i mercati finanziari dell'Europa continentale. Dopo aver cambiato la fisionomia dei mercati anglosassoni e non poco anche le realtà economiche sottostanti, la finanziarizzazione spinta dell'economia sta facendo prede anche sul suolo carolingio. L'Italia sembra voler brillare come prima della classe anche in questa disciplina e si è impegnata da tempo nella più massiccia campagna di privatizzazione che la storia mondiale conosca. Recenti studi hanno calcolato che nel periodo 1993-1999 sono affluiti nelle casse dello Stato proventi pari a circa 90.000 miliardi, come frutto della privatizzazione dei più importanti e redditizi enti pubblici nazionali. E' superfluo ricordare come in questo periodo l'ex Pci sia stato costantemente parte della maggioranza di governo (se si eccettua la breve fase del governo Berlusconi, che non ebbe il tempo di privatizzare quasi nulla), fornendo così il contributo decisivo alla distruzione di un sistema di governo e alla sua sostituzione con un modello non certo migliore. La fase di transizione si caratterizza per una notevole vivacità dello scontro tra le opposte fazioni del capitalismo finanziario italiano, guidate dagli stessi uomini che si sono fatti le ossa come grand-commis dello Stato e che cercano di recitare lo stesso ruolo al servizio di nuovi padroni privati, sfruttando le vecchie relazioni di potere. Un processo molto simile, fatti i dovuti distinguo, a quello della Russia eltsiniana.

Assistiamo così allo scontro senza esclusione di colpi tra Sanpaolo-Imi e Generali per il controllo dell'Ina. In ballo ci sono interessi molto concreti: le Generali puntano a creare il terzo gruppo europeo dopo Axa e Allianz, con il 41% del mercato italiano delle polizze vita ed il 17% del ramo danni, e con davanti il promettente mercato dei fondi pensione privati ancora tutto da costruire e drenare. Il Sanpaolo-Imi punta a sua volta alla creazione del primo gruppo bancario-assicurativo italiano, con la conquista della seconda posizione nel ramo vita e l'acquisizione di almeno una parte delle attività bancarie dell'Ina (51% del Banco di Napoli e 7% di Bnl). La posta vale quindi i 23.800 miliardi che hanno promesso le Generali in caso di riuscita ed il rilancio che il gruppo torinese sta preparando per tenere testa all'offerta già formalizzata dell'avversario. Questa carambola di avvenimenti viene sempre salutata con favore dalla Borsa e sui giornali si sprecano le lodi al ritrovato dinamismo della finanza italiana, con pubblici auspici di vittoria delle forze di mercato. Una analisi meno superficiale rivela che il mercato non conta proprio un fico secco e le grandi operazioni di finanza straordinaria continuano ad essere gestite con i vecchi metodi dalle solite 4/5 persone, che generalmente riescono a comprarsi ciò che gli interessa senza sborsare nulla di tasca propria.

L'esperienza degli ultimi 2/3 anni è a questo proposito esemplare. La privatizzazione della Telecom da parte del governo Prodi nel 1997 riuscì a creare un "nocciolino" duro che insieme controllava l'11% della società, comprendente tutto il salotto buono della finanza italiana, diviso su tutto ma compattamente d'accordo sul fatto di non dover spendere niente per entrare nella stanza dei bottoni. Poco più di un anno dopo, licenziato per i troppi guai combinati il presidente Rossignolo (nominato dagli Agnelli), Mediobanca guidava l'assalto alla Telecom, lanciando all'attacco il nuovo delfino Colaninno con una cordata di finanzieri rampanti, con tante idee, pochi soldi, ma il solido appoggio politico del governo D'Alema, che ha schierato a fianco dei vecchi poteri forti anche i rampolli della finanza rossa (Coop e Unipol in testa). Si è così assistito all'incredibile vicenda di un imprenditore ricco solo di debiti che alla guida della seconda società telefonica italiana riusciva a scalare la prima, pagando con molta carta (obbligazioni e azioni) e qualche liquido (creato con altra carta). Gli ex componenti del nocciolo duro piegavano il capo, non senza qualche soddisfazione finanziaria, obbedendo alla "moral suasion" del governo. Se le cose andranno bene, Colaninno pagherà il grosso dei suoi debiti fra 5 anni, attingendo ai soldini trovati nella cassaforte di Telecom e Tim (che continueranno a macinare buoni utili, anche se non sono più monopolisti). I nuovi capitalisti del nord-est sono la faccia nuova dei vecchi finanzieri di Mediobanca, che chiude malamente i rapporti con le vecchie famiglie ( Ferruzzi, Agnelli, Pirelli, ecc.) per lanciare nuove cordate e ristabilire il vecchio dominio.

Nella primavera scorsa abbiamo assistito ad un altro duro scontro tra le due principali cordate, la finanza "torinese" del Sanpaolo-Imi e Ifil, e la finanza milanese di Mediobanca, Comit, Generali. Le due ops parallele di Sanpaolo-Imi su Banca Roma e di Unicredito su Comit avrebbero potuto scrivere la parola fine al dominio incontrastato di Cuccia. La manovra di accerchiamento avrebbe potuto privare l'arzillo novantenne di due essenziali punti di forza nella sua strategia di comando. Invece Cuccia è volato a Roma a incontrare D'Alema, a spiegare che la sopravvivenza di Mediobanca è ancora essenziale nel difendere la struttura societaria delle aziende italiane e che minarne l'autonomia avrebbe comportato la perdita di un ruolo finanziario indipendente minacciosa per tutto il paese. Nel giro di qualche giorno la Banca d'Italia bocciava le due ops come ostili e quindi inattuabili. Mediobanca riusciva a cacciare tutti gli uomini del suo staff che avevano "tradito" colludendo con il nemico: gli amministratori delle Comit Abelli e Saviotti, il presidente delle Generali Antoine Bernheim. Dopo pochi mesi portava a buon fine la fusione amichevole con Banca Intesa.

Adesso il copione si ripete: da una parte Mediobanca che possiede il 13% delle Generali e non intende ammettere concorrenti forti sul mercato domestico (Generali ottiene ormai il 31% dei propri ricavi in Germania e solo il 26% in Italia, quindi vuole consolidare la sua posizione dominante in Italia e continuare a giocare in proprio su scala europea).; dall'altra Sanpaolo-Imi, che ha già l'8,25% di Ina e dava per scontata una fusione amichevole per definire finalmente un rapporto forte con un partner assicurativo di primo piano. Cuccia pesta i piedi agli Agnelli per la terza volta in pochi mesi e sancisce una rottura forse definitiva con il Lingotto, dopo che a sorpresa nel luglio scorso la Fiat aveva comunicato l'esclusione di Mediobanca dal patto di sindacato che la governa.

E' presto per dire come finirà: occorre ottenere l'autorizzazione da varie commissioni di vigilanza (Consob, Bankit, Antitrust, ecc.) e passeranno 3/4 mesi prima che l'Ops diventi operativa. Non si può escludere a priori alcuna soluzione, da un accordo amichevole capace di soddisfare tutti i contendenti alla guerra più feroce senza prigionieri.

Sino all'ultimo momento si era pensato ad un accordo diretto che assegnasse il Banco di Napoli al Sanpaolo Imi, la Bnl ad Unicredito, le attività assicurative dell'Ina alle Generali. Poi qualcosa non ha funzionato ed è scoppiata la bagarre, con qualcuno che si è spinto ad ipotizzare persino una contro-opa sulle Generali o sulla stessa Mediobanca da parte della finanza torinese, con alleati francesi o comunque stranieri. Oltre agli interessi immediati, è in discussione l'egemonia finanziaria in Italia su di un piano di sviluppo strategico. Chi vince questa partita avrà buone chance di consolidare un ruolo centrale in tutti i giochi che contano. Se vincerà una soluzione di compromesso, lo scontro sarà solo rimandato di qualche anno.

Il governo si muove in modo molto ambiguo e spinge per un accordo amichevole che non sveni le casse delle istituzioni finanziarie. D'altronde il Tesoro possiede ancora il 9,9% dell'Ina, mentre la Banca d'Italia ha il 2,54% dell'Ina e il 4,74% delle Generali. Insomma vincerà chi deciderà il Governo ed è molto probabile che D'Alema appoggi anche questa volta il novantenne di Mediobanca. La strategia del governo sembra quella di creare dei "campioni nazionali" in ogni settore, capaci di competere con la forza titanica dei colossi mondiali. Evidentemente la globalizzazione piace quando serve a spianare diritti e tutele dei lavoratori, un po' meno quando distrugge le basi stesse del consenso e della tenuta sociale, o minaccia gli strumenti base di una politica economica autoctona. Finora i risultati non sono quelli attesi: l'Italia è stato l'unico paese industriale che ha finito con il cedere a mani estere il secondo gestore di telefonia (Omnitel-Infostrada), e la stessa proprietà di Telecom è tutt'altro che al sicuro.

Insomma, si è aperta una grande corsa spartitoria dell'esistente. Ben più difficile è recuperare il ritardo accumulato nei settori strategici, a più alto valore aggiunto, capaci di costruire una ripresa dello sviluppo. Non basteranno né questi giochetti finanziari, né la partecipazione a dieci altre guerre, a ritagliare all'Italia un ruolo autonomo nell'economia globalizzata.

Renato Strumia



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