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Da "Umanità Nova" n.29 del 26 settembre 1999

OP Computers. Un epilogo annunciato

In data 16.9.1999 ha definitivamente cessato l'attività la OP Computers s.p.a., l'azienda di Scarmagno (TO) erede della divisione personal computer della Olivetti e ancora oggi la maggiore fabbrica italiana di PC: i lavoratori hanno immediatamente occupato lo stabilimento. La vicenda appare drammaticamente paradossale a fronte dei reiterati pronunciamenti governativi sulla necessità di informatizzare sempre più il paese con una diffusione capillare dei PC. Mentre si afferma solennemente che va colmato il gap informatico che dividerebbe l'Italia dal resto d'Europa, la più grande azienda nostrana del settore chiude. E chiude dopo un'agonia durata quattro anni, cioè da quel dicembre 1995 in cui la Olivetti cedette i settori PC e macchine da ufficio a due società interamente controllate, Olivetti Personal Computers e Lexikon. OPC nasceva con gravissimi problemi di liquidità e con un eccesso di personale proveniente dai più disparati settori della Olivetti al solo scopo di essere, letteralmente, dismesso. Dopo un anno e più in cui lo smantellamento dell'azienda era proseguito con vendita di interi reparti ecc., ad aprile 1997 Olivetti, tramite la controllata OPC, vende ad un finanziere americano la fabbrica di Scarmagno con un'operazione finanziaria oggi al vaglio della Procura della Repubblica di Ivrea: nasce così OP Computers. A maggio 1998 viene aperta la procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria per 400 lavoratori, il 12 maggio 1999 il Tribunale di Ivrea dichiara il fallimento di OP Computers, affittata poi fino al 15 settembre 1999 ad una società costituita dagli stessi manager che l'avevano portata al fallimento al solo scopo di reperire qualche finanziatore dell'ultima ora.

In questi mesi è cresciuta tra i lavoratori la consapevolezza che solo autorganizzandosi possono sperare di contrastare l'attuale congiuntura. Dalla dichiarazione di cigs è attivo un Comitato cassintegrati che lavora al di fuori delle strutture confederali e anzi spesso solo tollerato dalle stesse. Questo Comitato ha cercato di mantenere uniti i cassintegrati; ha costretto sindacati, politici e padroni a far i conti costantemente con la realtà dei 400 messi fuori dalla fabbrica; ha promosso l'esposto alla magistratura sulla vendita da OPC ad un finanziere americano nell'aprile 1997; ha promosso una causa civile contro Olivetti per risarcimento danni ritenendola responsabile delle drammatiche vicende di questi anni.

Naturalmente dal momento della chiusura definitiva e dell'occupazione dello stabilimento di Scarmagno da parte dei lavoratori è iniziata la passerella dei politici e sindacalisti di governo. Il fatto è che la fabbrica simbolo del capitalismo dal volto umano viene chiusa da un'Olivetti che si è comprata Telecom con il beneplacito del governo di sinistra e dei sindacati confederali, gli stessi sindacati che non hanno contrastato il processo dismissivo dal dicembre 1995 ad oggi. Che oggi la crema del sindacalismo nostrano si rechi in pellegrinaggio a Scarmagno è ancor più la dimostrazione della spregiudicatezza di questi signori che hanno sempre saputo dove si andava a parare e che diligentemente firmavano accordi al ribasso dicendo ai lavoratori che non si poteva fare altrimenti.

Per il futuro si prospetta il solito spezzatino, cioè l'acquisto di blocchi di azienda da parte di diversi imprenditori. Quel che però preme sottolineare è che questa vicenda la dice lunga sulle strategie imprenditoriali di lungo respiro (finanziarizzazione, Olivetti che si trasforma da azienda manifatturiera a holding e si mangia Telecom) e sulla sostanziale accettazione di questo quadro da parte di classe dirigente di sinistra e sindacati confederali.

Per chi questo quadro non accetta resta la domanda sul cosa e sul come. Resta anche da chiedersi perché i lavoratori di Scarmagno non abbiano trovato in questi anni interlocutori nell'area dell'autorganizzazione pur essendo la loro una vicenda davvero paradigmatica e attuale, coinvolgente i poteri reali economici e politici di questo paese, certamente una bella palestra per chi volesse provare a abbozzare un domani di lotta.

Simone Bisacca



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