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Da "Umanità Nova" n.29 del 26 settembre 1999

Liberali, liberisti, "libertari"
Le truppe pannellate. Un corpo mercenario al servizio della destra sociale

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una fioritura di aree politiche libertarie di cui non si danno, a quanto ne so, precedenti.

Naturalmente, noi non possiamo né vogliamo pretendere alcun monopolio dell'utilizzo del termine "libertario" e sarebbe una fatica inutile porre l'accento sull'appropriazione indebita della parola in questione da parte di individui e forze politiche che tutto sono tranne che libertari. Può, invece, valere la pena di provare a definire le ragioni che hanno determinato questo successo e su di alcune sue possibili conseguenze politiche.

A livello generale, il crollo del blocco a capitalismo di stato ha indubbiamente eliminato dalla scena un mito politico e sociale, che, sebbene ridimensionato già nei decenni precedenti ci ha accompagnato sino alla fine degli anni `80.

Parallelamente alla fine del socialismo di stato abbiamo visto entrare in crisi il compromesso socialdemocratico che aveva caratterizzato le democrazie occidentali nel secondo dopoguerra. Questo compromesso, basato sull'espansione dell'intervento statale nell'economia, sull'integrazione del movimento operaio nello stato e sul riconoscimento di una serie di diritto sociali minimi è parso sempre più costoso, insostenibile dal punto di vista capitalistico, inutile ai fini che si proponeva.

Noi non siamo, ovviamente, nostalgici né del capitalismo di stato né del compromesso socialdemocratico e, a maggior ragione, non possiamo essere annoverati nel numero degli apologeti del capitalismo di mercato e delle politiche neoliberiste che hanno occupato lo spazio lasciato libero dai protagonisti usciti di scena.

Al contrario, non cessiamo di insistere sulla considerazione che la burocratizzazione e statalizzazione del movimento operaio, la passività politica delle classi subalterne determinate dalla politica parlamentare, l'abitudine alla delega agli apparati che si è consolidata in una vera e propria mentalità sono condizioni straordinariamente favorevoli all'affermarsi del neoliberismo.

Un proletariato che esprime livelli di autonomia politica, sociale e sindacale inadeguati allo scontro sociale in atto è, infatti, disarmato di fronte a politiche statali e padronali di attacco ad una serie di conquiste e diritti la cui difesa era ed è delegata all'apparato statale ed alla burocrazia del movimento operaio.

Un aspetto centrale della nostra azione pratica e della nostra riflessione teorica consiste, di conseguenza, nella lettura, la più precisa possibile, delle modalità immediate del conflitto di classe, nella partecipazione alle forme di organizzazione che da questo conflitto sortiscono, in uno sforzo continuo di coordinamento delle lotte locali, settoriali, e categoriali, nella ridefinizione dei caratteri adeguati alla fase storica che attraversiamo di una prospettiva di riorganizzazione delle classi subalterne sulla base dell'autonomia dallo stato e dal padronato.

La valutazione dell'iniziativa politica, economica e culturale dei nostri nemici è parte costitutiva di questo lavoro e su questo aspetto è bene non abbassare la guardia anche perché carattere peculiare del modo di produzione capitalistico è l'assumere alcune rivendicazione e tensioni alla liberazione delle classi subalterne per rovesciarle di segno e renderle funzionali alla propria riproduzione.

Torniamo, dunque, alla crisi del compromesso socialdemocratico. Uno degli aspetti di questa crisi è l'aggravarsi delle tensioni derivanti dalla burocratizzazione della vita quotidiana e della produzione che questo modello sociale implica.

La grande fabbrica fordista appare, alla fine degli anni `60, fragile a fronte della ripresa delle lotte operaie, i grandi apparati burocratici addetti al controllo della vita quotidiana delle classi subalterni ed alla riproduzione della forza lavoro vengono attraversati da tensioni nuove rispetto alle tradizionali forme del conflitto di classe.

Basta pensare ai movimenti degli studenti, alla critica della medicina tradizionale, alla domanda di forme di attività più libera rispetto a quelle tradizionali, per un verso, ed alle lotte operaie autonome dal controllo sindacale ed alla loro capacità di estendersi e di coinvolgere impiegati, tecnici, lavoratori del settore pubblico.

A questa pressione il padronato e gli stati reagiscono con la repressione, per un verso, e con nuove strategie produttive e sociali, per l'altro.

Innovazione tecnologica, tentativi di coinvolgere i lavoratori negli interessi aziendali mediante la riorganizzazione del lavoro, il coinvolgimento nella proprietà, forme più moderne di disciplina, esternalizzazione di segmenti della produzione verso imprese di dimensione più piccola sempre più diffuse sul territorio nazionale ed internazionale, spostamento di intere aree produttive vengono messe in atto.

Non ci troviamo di fronte ad una strategia unitaria di un capitale mondiale (che, in quanto tale, non esiste) ma ad una moltitudine di adattamenti che a volte hanno successo ed altre falliscono, alla ricerca di soluzioni parziali che, in caso di successo vengono riprese da altre imprese, ad una mutazione molecolare del corpo sociale che vede l'intrecciarsi di innovazione e recupero di strutture sociali arcaiche in forme inedite.

Basta pensare, per quel che riguarda gli USA, allo spostamento di interi settori produttivi dalla tradizionale area industriale del nord est al sud ovest ed all'utilizzo dei lavoratori messicani immigrati o a quelli delle zone di investimento statunitensi nello stesso Messico al fine di tagliare i salari o, per quel che riguarda l'Italia, alla crescita della fabbrica diffusa, allo sviluppo della terza Italia dalle Marche al Veneto caratterizzata da piccole e piccolissime aziende, da un capitalismo familiare, dal peso di reti di relazioni parentali e di paese come collante sociale (il padrone che lavora in fabbrica con i parenti e che sfrutta se stesso e operai legati a lui da vincoli locali).

Questo processo può funzionare proprio perché il suo lato arcaico si intreccia con quello moderno consistente nell'utilizzo delle tecnologie informatiche al fine di coordinare la produzione diffusa e fare di ogni unità produttiva un reparto coordinato agli altri.

Si tratta di una mutazione sociale, la cui descrizione richiederebbe volumi, e che determina la crescita di nuovi soggetti sociali di almeno due dei quali si deve tenere conto:

- una piccola imprenditoria diffusa che, pervenuta ad una consistenza adeguata, matura consapevolezza di sé come gruppo sociale ed entra in, problematica, contraddizione con le oligarchie industriali, finanziarie, politiche e burocratiche tradizionali. Il piccolo imprenditore della fabbrica diffusa si sente vessato dalla grande industria protetta dallo stato, dal capitale finanziario che lo strozza, dall'apparato statale che lo controlla, dai sindacati che pongono qualche, modesto limite, al suo dispotismo, da una legislazione del lavoro che ne blocca la libertà di movimento. Egli chiede, di conseguenza, una forma affatto particolare di libertà:

- una working class del lavoro diffuso, difficilmente organizzabile dal punto di vista sindacale, legata in maniera diretta alle sorti dell'azienda, esclusa dalle tradizionali garanzie sociali, sottoposta a forme di sfruttamento sempre più dure, esposta agli effetti della concorrenza e delle crisi in maniera maggiore rispetto ai lavoratori del settore pubblico e della grande azienda.

Fra questi due segmenti sociali sembra esservi una sorta di comunanza di interessi da più di un punto di vista. Non solo il rapporto fra proprietario e salariato è diretto ma vi è una comune ostilità verso la grande impresa che preme su quella piccola, le taglia i prezzi, le impone condizioni di lavoro sempre più dure, verso le banche che strangolano il piccolo imprenditore, verso l'apparato statale che sottopone la piccola impresa a continue vessazioni in cambio di poco o nulla nel mentre finanzia i grandi gruppi industriali, verso le tasse che tagliano i salari.

Se, poi, consideriamo che in Italia questo segmento sociale relativamente nuovo si affianca alla tradizionale piccola borghesia del commercio, dell'artigianato, dell'agricoltura ecc., scopriamo che è un mondo vasto e variegato e che inizia a muoversi collettivamente in proprio.

Dall'alto, dunque, assistiamo ad un'iniziativa del grande padronato per smantellare il welfare e per appropriarsi di quote crescenti di ricchezza sociale, dal basso ad una pressione della piccola e piccolissima impresa che chiede meno vincoli e più garanzie. A questa doppia dinamica, le burocrazie del movimento operaio rispondono adattandosi e scoprendo un crescente ruolo imprenditoriale che consiste nella gestione di fondi pensioni, di segmenti di servizi fino ad arrivare alla costituzione di aziende, di norma cooperative, che si inseriscono nel processo di esternalizzazione di produzioni e, soprattutto, di servizi pubblici ad opera dell'apparato statale al quale si è già fatto cenno.

Se teniamo conto di questo processo, ci appare chiaro quale sua la natura dei discorsi libertari oggi di moda. Proviamo a schematizzarli:

- i "libertari" sono antistatalisti nel senso che chiedono meno tasse e minori controlli sull'attività produttiva. Non chiedono affatto, però, che lo stato riduca la sua funzione di protezione della proprietà privata e di finanziamento all'impresa. Al contrario, proprio l'indebolimento dei meccanismi tradizionali di integrazione sociale delle classi subalterne, li induce a chiedere più polizia, più carceri, leggi più severe;

- i "libertari" attaccano la burocrazia sindacale ed il suo strapotere proprio mentre i sindacati di stato cedono sul terreno dei salari e dei diritti dei lavoratori tutto quanto è cedibile. finiscono, in realtà, per fornire a questa stessa burocrazia argomenti per giustificare nuovi cedimenti e per accelerare la propria trasformazione in una struttura di impresa,

- alcune, pochi, dei "libertari" sono schierati per la difesa di qualche libertà quale quella di assumere droghe o di avere pratiche sessuali non tradizionali, ammesso che esistano pratiche sessuali tradizionali. d'altro canto sono alleati con forze politiche e sociali che su questo terreno non li seguiranno certo, Basta pensare al fatto che si tratta di postfascisti e cattolici tradizionalisti ai quali i voti dei "libertari" fanno comodo ma che non sono disposti a perdere quelli della destra sociale tradizionale per amore degli omosessuali o dei tossicodipendenti.

Basta fare la fatica di guardare il neoliberismo realmente esistente, il suo rilanciare un moralismo vecchio stile, la sua pressione per misure repressive più efficaci per rendersi conto che il guitto disgustoso Pannella suona il piffero per una destra reazionaria ed illiberale rispetto alla quale si pone come concorrente per la direzione della destra e non come portatore di una proposta politica e sociale diversa.

Tornando a quanto ci interessa di più, lo svilupparsi di un'area politica e culturale liberale, liberista, libertaria è un segnale della crisi del legame sociale e della conseguente aggressività delle classi dominanti e del disagio di settori sia delle classi medie che della working class di fronte ad una situazione di tensione.

Nei fatti le truppe pannellate svolgono il ruolo di corpo mercenario al servizio della destra sociale ma resta il fatto che le tensioni che oggi si rappresentano sotto l'egemonia neoliberista possono, non debbono, trovare sbocchi diversi.

Un movimento dei lavoratori effettivamente libero dal controllo statale, portatore di un'idea forte di autonomia sociale e di pratiche concrete adeguate, capace di penetrare nell'area deregolamentata del lavoro creando forme di associazione adeguate è una prospettiva sulla quale dobbiamo lavorare con forza e determinazione. Si tratta, in forme da scoprire di operare per l'unità dei salariati e dei lavoratori autonomi eterodiretti e per la scissione fra la nostra classe e tutte le frazioni di quella dominante.

Guido Giovannetti



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