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Da "Umanità Nova" n.29 del 26 settembre 1999

Adriatico. La pesca di guerra continua

Lunedì 13 settembre un peschereccio di Caorle (VE) ha "pescato" a soli 11 chilometri dalla costa un missile teleguidato aria-terra, lungo circa tre metri e con una circonferenza di mezzo metro, sganciato in mare dai bombardieri NATO durante la guerra contro la Serbia, che l'indomani è stato fatto esplodere da artificieri militari su un fondale di circa 25 metri.

Sono stati quindi buoni profeti i pescatori caorlotti e chioggiotti quando dicevano che questa eredità di guerra sarà un problema con cui dovranno fare i conti per almeno un decennio, alla faccia delle tante poco rassicuranti rassicurazioni fornite loro dalle autorità militari e politiche; significativa ad esempio una dichiarazione dello Stato Maggiore della Marina ("La Nuova Venezia" del 31 agosto) secondo cui, dopo l'operazione di bonifica, i pescatori potevano calare le reti in sicurezza in quanto "le possibilità di salpare ordigni sarebbero perlomeno uguali a quelle che avevano prima che il conflitto iniziasse".

In realtà lo stesso bilancio ufficiale della bonifica dell'Adriatico compiuta dai dragamine della Marina Italiana e della NATO non era affatto tranquillizzante così come su questo giornale abbiamo cercato di evidenziare, per cui vale la pena rileggerlo.

Le unità navali impegnate nella ricerca, nel brillamento e nel recupero delle bombe e dei missili risultano essere state complessivamente 24 (la loro missione è durata circa due mesi; in tutto l'Adriatico sono stati rinvenuti 131 ordigni - compresi almeno 20 residuati della Seconda Guerra Mondiale -, di cui 34 - compresi 2 vecchi residuati - nell'Alto Adriatico, nella "jettison area" compresa tra Chioggia e Caorle, dove sarebbero stati sganciati almeno 36 ordigni.

Di fronte a questi risultati, a fine agosto, la stessa unità di crisi nominata dal Ministero per le politiche agricole esprimeva non poche riserve, prendendo atto delle scarse comunicazioni militari a riguardo. In nessuna nota ufficiale emessa in questi mesi si trova infatti traccia del numero complessivo degli ordigni sganciati dalla NATO e dalle loro tipologie.

I numeri circolanti sono stati sempre "stime ufficiose" e i militari si sono limitati ad assicurare che lo scarto tra sganciamenti e ritrovamenti era minimo, inferiore al 2 per cento; ma quel 2 per cento potrebbe in realtà nascondere alcune centinaia di micidiali "bomblet" a frammentazione, dato che ogni "cluster bomb" ne contiene circa 200 e che, tra quelle scoperte dai pescatori di Chioggia all'inizio dell'estate, 4 su 10 risultavano aperte.

La stessa Marina Militare italiana ha peraltro dichiarato di non essere in grado di individuare degli ordigni così piccoli, delle dimensioni di una lattina di birra, e che tali dimensioni favoriscono sia il loro occultamento sotto la sabbia che il loro trasporto dalle correnti marine, tanto che si è provveduto ad istruire i pescatori in caso di nuove e prevedibili pesche esplosive. Ma quest'ultimo ritrovamento dimostra sia la criminale inefficienza della cosiddetta operazione di bonifica condotta dai militari, dato che si trattava di un missile di alcuni metri di lunghezza, sia che le cosiddette aree di sgancio (oltre a quella "lagunare", due sarebbero localizzate al largo delle foci del Po; tre tra Ravenna, Pesaro e Fano; due tra le Tremiti e il Gargano; una nel golfo di Manfredonia) sono una presa per i fondelli perché anche quest'ultimo missile - forse ma non sufficientemente intelligente - era fuori dalla zona prevista.

Corrispondenza da Venezia



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