![]() Da "Umanità Nova" n.30 del 3 ottobre 1999 Pacifisti guerrafondaiDomenica 26 settembre tra i partecipanti alla marcia per la pace di Assisi, enfaticamente definita da vari commentatori l'ultima di questo secolo, ha sfilato il presidente del Consiglio, l'onorevole D'Alema, il politico che sarà ricordato per aver portato l'Italia in guerra dopo cinquant'anni. Solo tre giorni prima il primo contingente della "Folgore" era partito in missione "umanitaria" per Timor Est. Il ministro degli esteri, Lamberto Dini, lo stesso giorno interveniva all'assemblea delle Nazioni Unite per rivendicare all'Italia un posto all'interno del Consiglio di Sicurezza. Un posto guadagnato grazie all'impegno attivo delle forze armate del nostro paese nelle varie "missioni di pace" in Somalia, Bosnia, Mozambico, Iraq, e Kosovo. Un altro bell'esempio di pacifista guerrafondaio il buon Dini. Molti ricorderanno come il ministro italiano in occasione della crisi kosovara si fosse mostrato tra i più "prudenti" all'interno della compagine governativa, pronunciandosi più volte per una rapida fine del conflitto. Il ruolo giocato in quei giorni da Dini, le ragioni di tanta prudenza sono facilmente individuabili nei buoni rapporti che lo stesso Dini aveva instaurato con la Confederazione Jugoslava in virtù dei grassi interessi dell'Italia in lucrosi affari quali la privatizzazione della Telecom serba. Sin dal dicembre '96 Dini aveva mostrato il suo sostegno al regime di Milosevic, messo in crisi dalle manifestazioni di massa che accusavano il premier di Belgrado di brogli elettorali, sostenendo che le richieste delle opposizioni non erano realistiche. Nel corso del '97 il sostegno di Dini a Milosevic ha dato i suoi frutti: la Telecom serba è stata acquistata da una cordata tra la STET italiana e la OTE greca. Tale transazione ha messo in condizione l'Italia di occupare una posizione strategica all'interno dell'economia jugoslava e al governo di Milosevic di incassare 800 miliardi di lire. Quando i serbi abbandonarono il tavolo di pace di Bonn per l'inserimento all'ordine del giorno della questione kosovara, provocando l'unanime condanna di tutti i partecipanti, una settimana dopo, il 16 dicembre del 1997, Dini fece un'improvvisa e non programmata visita a Belgrado, segnalando come i rapporti di collaborazione economica con la Jugoslavia fossero in crescita e i rapporti bilaterali tra i due paesi proseguissero positivamente. Tutto ciò la dice lunga sulla cartamoneta con la quale era edificato il "pacifismo" diniano. Nella seduta del 22 settembre dell'assemblea delle Nazioni Unite Dini è intervenuto per commentare le dichiarazioni del Segretario generale Kofi Annan, il quale ha sostenuto la tesi della legittimità dell'interferenza umanitaria ovunque si verifichino violazioni dei diritti umani. Il nocciolo centrale dell'intervento del ministro degli esteri è stata l'indicazione di rafforzare le istituzioni regionali (NATO, UE) e quelle universali (ONU). In modo particolare egli ha sottolineato la necessità di rendere più democratico e rappresentativo il Consiglio di sicurezza. In una parola è venuto per l'Italia, o, così spera il governo italiano, il momento di incassare la ricompensa per gli sforzi militari compiuti negli ultimi anni e, particolarmente, in Kosovo. Nel frattempo, non si sono ancora del tutto spenti gli echi dell'ultimo scandalo che l'ha vista coinvolta, la Folgore inizia il suo intervento a Timor Est: non abbiamo dubbi che l'esperienza accumulata nelle tante operazioni "umanitarie" (chi ricorda più le torture in Somalia?) sarà messa a buon frutto anche in questa missione. Un'ennesima occasione in cui limare l'ormai consolidata categoria della "guerra umanitaria", che si presenta come operazione di polizia internazionale, in cui l'intervento armato non servirebbe interessi di parte ma la difesa dei deboli oggetto di soprusi, violenze, violazione dei diritti umani. Forse qualcuno ingenuamente potrebbe chiedersi perché Timor Est abbia avuto solo ora l'onore delle platee, perché solo negli ultimi mesi la questione timorese sia stata giudicata degna dell'attenzione dei media. Dopo 25 anni di occupazione militare indonesiana, ampiamente accettata da tutti, 25 anni di massacri e sofferenze, dopo 200.000 morti su una popolazione di 800.000 (un timorese su quattro è stato vittima della repressione del governo di Giacarta), dopo 25 anni di silenzio da parte della cosiddetta comunità internazionale i riflettori si accendono su Timor Est. All'improvviso questo remoto lembo di terra diviene oggetto d'attenzione, un'attenzione che si traduce in "intervento umanitario" armato. L'ultimo di una lunga serie. Ormai il copione da seguire è stato ben limato: è già avvenuto per la Somalia, la Bosnia, il Kosovo; prima parte una ben orchestrata campagna giornalistica, poi arrivano i militari salvatori. L'ingerenza umanitaria di cui ha parlato Kofi Annan nel suo discorso alle Nazioni Unite è già da tempo un dato di fatto. Naturalmente con le correzioni del caso indicate da Clinton nel suo discorso in cui il Presidente americano sottolineava come solo in alcune circostanze può essere lecito intervenire. Nel caso di Timor viene il dubbio che il venir meno del ruolo di baluardo anticomunista rivestito in passato dal gigante indonesiano, peraltro indebolito dalla crisi economica, dal moltiplicarsi di spinte separatiste in altri territori, dal crescere dell'opposizione alla dittatura, abbiano aperto la strada alle aspirazioni... dell'Australia al controllo di un'area in cui ha interesse allo sfruttamento delle risorse petrolifere sottomarine. Intanto il nostro buon D'Alema cerca di rifarsi una verginità partecipando a marce organizzate da pacifisti della domenica, più attenti al mantenimento dei finanziamenti alle varie organizzazioni del volontariato, all'occupazione di ruoli e poltrone di sottogoverno che alla coerenza di un impegno contro la guerra e il militarismo. Politico di razza, il nostro D'Alema prepara un esercito di professionisti bene addestrati, adatti ad operazioni di polizia internazionale e, perché no, interna e marcia dietro le bandiere dall'arcobaleno pacifista. Maria Matteo
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