Da "Umanità Nova" n.30 del 3 ottobre 1999
Dibattito
Chi pagherà il reddito di cittadinanza
L'etica del lavoro è lo spettacolo della merce umana. (Area)
L'intervento sul reddito di cittadinanza di Peter Schrembs (UN 27 del 12
settembre), seppur molto condizionato dalla situazione socio-economica
svizzera, ha avuto il merito di far tornare a discutere su un argomento -
quello del reddito garantito - su cui è da molto tempo che l'anarchismo
organizzato non si pronuncia, anche se su molte pubblicazioni del sindacalismo
di base certo non mancano nostre riflessioni sulla questione.
Una lettrice di UN infatti mi ha chiesto che tipo di posizione avevano gli
anarchici federati a riguardo, dato che dalla lettura dell'articolo di Schrembs
aveva tratto un'impressione fortemente critica.
Per tentare di darle una risposta, cercherò quindi di essere il
più schematico possibile, augurandomi che altri compagni e altre
compagne vogliano in seguito dire la loro.
Innanzitutto sgomberiamo il campo dagli equivoci: non si tratta qui di
stabilire se è più o meno condivisibile che un sindacato
autogestito, un comitato di disoccupati o un'organizzazione di base rivendichi
un obiettivo come quello di vedere riconosciuto il diritto a vivere, attraverso
forme di reddito non legate alla produzione e quindi al lavoro, quanto
piuttosto se e come tale obiettivo può avere per gli anarchici - e non
solo - una qualche valenza sociale sovversiva.
Infatti nessun libertario, analogamente, metterà in discussione il fatto
che dei lavoratori si organizzino e lottino autonomamente per lavorare meno,
avere salari più alti, una casa dove abitare, servizi sociali adeguati o
gratuiti; il problema è appunto domandarsi se questo tipo di
rivendicazione può contribuire ad un rovesciamento di questo sistema di
produzione e quindi, in definitiva, a quella rivoluzione sociale che non ci
vergogniamo di volere ancora, non solo perché anarchici ma anche
perché vediamo ridursi spaventosamente ogni margine per le politiche
riformiste.
L'interrogativo iniziale non è peraltro nuovo, se si pensa a cosa ha
scritto Lenin sui limiti del sindacalismo o se si ricorda la lotta dei
socialisti massimalisti italiani negli anni '20 per "sventare il piano di
quella borghesia che tenta con i finanziamenti alle cooperative e i sussidi ai
disoccupati di allontanare il proletariato dalla via maestra della lotta
rivoluzionaria".
Rispetto al lavoro nell'area anarchica ci sono, inutile nasconderlo, posizioni
diversificate e talune quasi antitetiche, ma è altrettanto vero che la
critica al lavoro appartiene da sempre al pensiero antiautoritario, tanto che
già un secolo fa un marxista come Lafargue dopo aver scritto il famoso
"Diritto alla pigrizia" fu accusato di essere anarchico o di pensare come un
anarchico.
Infatti, seppur divisi tra neoluddisti in guerra contro il dominio delle
macchine, post-situazionisti fautori dell'abolizione del lavoro, illegalisti
appassionati dell'esproprio, faucaultiani nemici del controllo e del
disciplinamento sociale, autogestionari sostenitori di un'economia alternativa,
classisti in lotta contro lo sfruttamento e la schiavitù salariale, etc.
ancora oggi gli anarchici - anche i più operaisti sono accomunati da una
forte critica contro il lavoro e contro la sua funzione in questa
società, la sua organizzazione, la sua incidenza nella nostra vita e
persino la sua morale, pur senza cadere nell'ambigua ideologia del non
lavoro, per certi versi speculare a quell'etica del lavoro tanto cara ai
padroni e ai loro servi.
Premesso questo, ed avendo molte cose più importanti del lavorare, non
si può far finta di non vedere come la ricorrente proposta in sede
politica di un "reddito di cittadinanza" ponga diversi problemi a partire dalla
constatazione che negli ultimi anni stia divenendo un'ipotesi possibile anche
in Italia, congiuntamente allo smantellamento del welfare, all'attacco alle
pensioni e alla feroce privatizzazione dei servizi sociali in perfetto stile
USA, a partire dalla sanità.
Infatti non è certo un caso che, se si eccettuano alcune testate
post-autonome, la proposta della concessione di un "reddito di cittadinanza"
viene da tempo caldeggiata da ambienti quantomeno sospetti, si vedano alcuni
settori confindustriali, economisti liberali, esperti del "Sole-24 Ore", la
CISL e la cricca diessina dei vari Bassolino e Veltroni che a suo tempo ne
fecero uno degli obiettivi del programma dell'Ulivo; lo stesso D'Alema tempo fa
ebbe a dichiarare a "La Repubblica" che "Il sussidio è una realtà
in molti paesi d'Europa, è un fatto di grande civiltà".
Da notare inoltre che, negli ultimi anni, un grosso lavoro progettuale sulla
questione era stato compiuto dalla Commissione per la riforma del Welfare
all'epoca del governo Prodi, giungendo a preventivare nel '97 una spesa di 12
mila miliardi, e adesso, in tempi di nuovi attacchi alla previdenza e ai
salari, non è affatto escluso che quel progetto torni di moda, magari a
partire dalla prossima Finanziaria.
Lo scenario prefigurato nel suo articolo da Peter Schrembs, secondo cui il
consumare sarà il mestiere di domani, non mi convince per varie ragioni;
ma certo s'intravede un futuro in cui il lavoro sarà sempre più
"flessibile", mentre lo Stato fornirà ai cittadini soltanto un reddito
di sopravvivenza e un manualetto sull'arte di arrangiarsi.
Per cui, è più che legittimo chiedersi se, come anarchici,
dobbiamo ancora sostenere le rivendicazioni per un "reddito di cittadinanza"
oppure avversarle come funzionali alla ristrutturazione che il potere economico
e il governo stanno delineando per lavoratori e senza lavoro, tanto più
che i presenti famigerati "rapporti di forza" non ci fanno essere ottimisti sul
fatto che una simile misura non finisca per essere, più o meno
direttamente, "autofinanziata" dagli stessi proletari (tanto un sacrificio in
più...).
Personalmente credo che il nostro atteggiamento debba far fronte a tre
necessità:
- smascherare sul piano ideologico quelle teorizzazioni che, partendo
dall'analisi del post-fordismo e sul terzo settore, stanno approdando a
posizioni apparentemente molto avanzate, quali la morte della sinistra o la
scomparsa della classe operaia, che finiscono in realtà per andare a
nozze con l'ideologia socialdemocratica, l'interclassismo (spacciato come
"interazione") e le nuove esigenze di riforma del welfare dettate dal potere
economico;
- combattere la propaganda dei sindacati di regime che continuano a
contrapporre gli interessi dei disoccupati, dei precari e dei senza lavoro ai
diritti conquistati dalle lotte dei lavoratori occupati e alla legittima difesa
del salario;
- legare ogni richiesta di "reddito di cittadinanza" sia alla difesa della
gratuità dei servizi sociali e della previdenza sia all'obiettivo di una
drastica riduzione dell'orario di lavoro, mettendo altresì in chiaro che
gli oneri economici necessari per la "copertura" di tale reddito non devono
ricadere sulla spesa pubblica ma devono in qualche modo uscire dalle tasche del
padronato, già ampiamente foraggiato da finanziamenti, elargizioni,
sgravi fiscali e regalie statali di ogni genere.
Ma la cosa più importante, per noi, dev'essere ancora una volta quella
del metodo con cui l'autorganizzazione sociale da Torino a Napoli
affronterà la questione del "reddito", collegando e non dividendo i
diversi settori proletari, sviluppando l'autonomia di classe e praticando
l'azione diretta, senza regalare tregue ad un governo la cui politica è
sempre più caratterizzata dall'uso di pesantissimi bastoni e di
leggerissime carote.
Bugs Bunny
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