Da "Umanità Nova" n.30 del 3 ottobre 1999 Italia/Indonesia. Commercio armatoLa legislazione italiana in materia di commercio d'armi impone una serie di vincoli stabiliti dalla legge 185/90, che prevede il divieto all'esportazione verso paesi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. La legislazione pare molto rigorosa sulla carta ma nella pratica consente numerosissime scappatoie. Infatti perché gli organismi responsabili delle autorizzazioni all'export di armi vietino il commercio con un paese occorre che le violazioni delle Convenzioni internazionali sui diritti umani siano riconosciute ed accertate in sede ONU o di Politica Estera e Sicurezza Comune Europea ed anche in questi casi occorre che l'Italia abbia espresso voto favorevole alla pronuncia di tale accertamento. D'altra parte, anche se si danno tutte le condizioni richieste perché scatti il divieto all'asportazione di armi, capita che tale commercio non venga di fatto interrotto o che tale interruzione sia limitata a un breve periodo: quel tanto che serve a salvare la faccia di fronte all'opinione pubblica, magari sollecitata da qualche campagna giornalistica. Vale la pena di dare un'occhiata ai dati riguardanti l'export verso l'Indonesia (paese sulle cui violazioni dei diritti umani si sono di recente accesi i riflettori) di un prodotto che ben più della moda e del parmigiano rappresenta l'Italia nel mondo. Nel 1992 le esportazioni effettive di armi ammontavano a 3,3 miliardi di lire, nel 1994 balzano a 6,1 miliardi, scendono a 671 miliardi nel 1995, e a poco meno di 2 milioni nel 1996. Le autorizzazioni alla vendita che nel '94 avevano registrato un picco di 54,8 miliardi di lire, si riducono a 2,7 miliardi nel '95, per scendere a 2 milioni nel '96. La brusca riduzione delle autorizzazioni al commercio e degli stessi scambi reali (i dati cui facciamo riferimento sono quelli ufficialmente forniti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, che, ovviamente, non danno conto di eventuali operazioni "coperte") sono dovuti all'applicazione della 185/90 in seguito alla condanna dell'Indonesia da parte della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo delll'11 marzo del 1993. Infatti le violazioni delle libertà fondamentali, l'invasione militare di Timor Est, le brutali repressioni che ne sono seguite, gli arresti senza accuse ne processi, le torture, più volte denunciate da Amnesty International, vengono infine riconosciute anche dall'ONU. Tuttavia, se la legge fosse stata applicata, la Relazione del governo del 1996, relativa alle nuove esportazioni di armi nel 1995, non avrebbe dovuto annoverare l'Indonesia tra i paesi destinatari né di spedizioni effettive, né di nuove autorizzazioni all'esportazione. Invece, come abbiamo visto, l'Indonesia compare tra i paesi destinatari di autorizzazioni alle esportazioni per 2,7 miliardi di lire. Ma non solo. Nel febbraio del '97 l'allora ministro della Difesa Beniamino Andreatta si è recato in visita a Giacarta. Nella delegazione italiana erano presenti anche i presidenti di importanti imprese d'armamenti, come Finmeccanica, Alenia Difesa, Fincantieri e il consorzio Ritad. La visita si conclude con un accordo politico (cooperazione nel settore della difesa) e con uno commerciale. Due mesi dopo l'ONU, pur non esprimendo una condanna formale, si pronunciava nuovamente contro le violazioni dei diritti umani in Indonesia (uccisioni senza processo, sparizioni, torture, detenzioni arbitrarie). Per il governo italiano la mancanza di una condanna formale è motivo sufficiente per mantenere e anzi consolidare l'export di armi verso l'Indonesia. Non c'è che dire: un bell'esercizio di raffinato bizantinismo. Una legislazione che pare attenta alle violazioni dei diritti umani (specie se sotto gli occhi dell'opinione pubblica), ma consente tutte le scappatoie per essere solo carta da sventolare di fronte alle anime belle in campagna elettorale. La ragion di stato non coincide mai, neppure nelle cosiddette democrazie, con le ragioni della libertà e del rispetto dei diritti umani. Le convenzioni internazionali, le condanne formali delle violazioni sono, nel migliore dei casi, fumo negli occhi dell'elettorato, nel peggiore, pretesto per ancora maggiori violazioni quali le "guerre umanitarie" Rosa Saponetta
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