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Da "Umanità Nova" n.31 del 10 ottobre 1999

Quando la tolleranza non è più una virtù
A proposito di "sicurezza"

Sicurezza, ordine pubblico, giustizia. Un tale "trittico" fino a poco tempo fa non poteva che appartenere ad un pensiero politico di destra, energicamente sorretto dai valori caposaldo della gerarchia nazionalista: dio, patria famiglia. Essere di sinistra era tutt'altro sentire. Ora non più.

Certo, è d'uopo non far di tutta l'erba un fascio e neppure credere che valori quali "lotta di classe", "internazionalismo", "solidarietà" appartengano ormai ad un passato rivoluzionario del tutto scomparso. Qui, però, non si vuole discutere dei principi, quanto piuttosto verificarli all'atto pratico di un agire politico che - seppur istituzionale, governativo e compromissorio - scandisce i tempi di un comportamento sociale non più in grado di liberarsi dalla paura di essere in uno "stato d'assedio" determinato dalla pressione esercitata da chi è rimasto fuori dalle mura della cittadella e con ogni mezzo cerca di entrarvi.

Per dirla tutta e in modo franco: vorremmo tanto che la colpa di non saper fare, o semplicemente dire, "qualcosa di sinistra" fosse soltanto dell'apparato politico-sindacale che, peraltro, ha sempre cercato di dimostrarsi più realista del re, assumendosi il compito di responsabilizzare (prima) l'opposizione sociale e (adesso) controllarla; perché non è certo da D'Alema, Diliberto, Bassolino, Cossutta, Bertinotti che ci aspettiamo di sentire "qualcosa di sinistra", quanto piuttosto è la palpabile mancanza all'interno del corpo sociale di sinistra (quell'ambiente comunque a noi più prossimo) di un pensiero/azione in grado di rivendicare un'appartenenza ad una comunità umana che non esclude e non si esclude.

Vero: l'apparato mediatico è un'arma costantemente puntata contro la coscienza per indurla a pensare e giudicare non la realtà, ma il suo rovescio: la sua rappresentazione; cosicché è facile - per chi ha il compito di comunicare degli ordini - tramutare una questione di convivenza in un problema di sicurezza. Pure, non si può nemmeno tacere che se il rapporto con l'altro non si regge più su valori etici umani, è la paura che si ha dell'altro a scatenare isterici comportamenti giustizialisti che hanno come principio la sicurezza nei confronti del diverso.

Si fa un gran parlare, infatti, di emergenza criminalità e da più parti si va sostenendo che l'ordine sociale è una valore che non appartiene soltanto alla destra, perché senza "sicurezza" non vi potrà mai essere giustizia; e pertanto è alla sinistra che spetta l'alto compito morale di muoversi verso un mondo di giusti. Soltanto che essere giusti presuppone la fiducia, non il sospetto, nei confronti dell'altro, dell'estraneo, del diverso. Altrimenti si diventa giustizialisti, vivendo uno stato di assedio permanente dal quale necessita - ad ogni costo ed in ogni modo - difendersi da tutti coloro che sono al di fuori delle mura e vogliono ciò che non hanno, fanno ciò che non è lecito fare, vivono nel nostro mondo come se fosse anche il loro.

Chiaro che in questo modo la tolleranza non è più una virtù e vale sempre meno sul banco di chi batte moneta falsa, confondendo ad arte il valore etico della convivenza con l'imperativo assoluto della sicurezza. Convivere con i propri mali - i mali della nostra convivenza - sarà senz'altro meno eroico, ardimentoso, ma sicuramente anche meno utopico di chi pretende di guarirli con dosi massicce di "sicurezza": quella che nessuno potrà mai darci finché ci sentiremo assediati.

Jules Élysard



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