unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.31 del 10 ottobre 1999

Russia
Stragi di stato e razzismo per preparare la guerra

Dopo un bombardamento a tappeto le truppe russe la scorsa settimana sono entrate nel territorio ceceno, invadendolo. Riportiamo una corrispondenza dalla Russia, pubblicata sulla Mailing List A-Infos, in cui viene con grande efficacia descritto il clima politico e sociale che fa da sfondo a quest'ultima accelerazione bellica.

Lunedì 13 settembre, riferendosi chiaramente ai cittadini di pelle scura per lo più provenienti dalle regioni del Caucaso, il sindaco di Mosca, Yuri Luzhkov, ha dichiarato: 'dobbiamo purificare Mosca da questi ospiti'. Per inciso Luzhkov è alla testa della potente Alleanza per la Patria Russa, FAR, ed ha grandi probabilità di vincere le elezioni parlamentari del prossimo dicembre.

Il governo e gran parte dei media hanno accusato il terrorismo islamico della serie di esplosioni che hanno squassato Mosca e le regioni meridionali del paese. Ora anche molti politici preminenti e i media 'indipendenti' hanno imboccato con decisione la strada dell'incitamento alla violenza indiscriminata contro chiunque abbia la pelle scura o un aspetto caucasico. In seguito all'isteria razzista che è stata scatenata, la polizia e gli apparati militari sono stati mobilitati in una massiccia campagna di repressione contro i 'neri' che vengono espulsi a valanga particolarmente dalle grandi città, come Mosca, a meno che non siano in possesso di permesso di residenza che però, a sua volta, viene sottoposto a verifica e riapprovazione da parte delle autorità competenti. E tutto ciò in flagrante contraddizione con le garanzie costituzionali relative alla libertà di movimento nell'intero del paese.

Circa 11.000 persone, principalmente caucasiche, sono state incarcerate a partire da quel 13 settembre, da quando cioè il secondo attentato contro un edificio abitativo di Mosca diede il pretesto per questa esplosione di razzismo. A Mosca un veterano dei diritti umani obbligato a fare la coda, fianco a fianco con centinaia di famiglie principalmente del Caucaso, per ore sotto la pioggia per avere la verifica dei suoi documenti, ha testimoniato che quelli senza documenti in regola venivano apostrofati dagli addetti con un: "tornatene a quel posto di merda da dove sei venuto".

Naturalmente il sindaco di Mosca non è estraneo al razzismo. E' sotto la sua amministrazione che, in seguito all'assalto al parlamento, avvenuto nel 1993, tutti i commercianti caucasici vennero espulsi da Mosca. Da allora quanti non sono bianchi "puri" vengono sottoposti a vessazioni e violenze crescenti quando sono vittime del fermo di polizia. Giorgiani, Azerbagiani, Armeni, Ceceni, Rom, ma anche Italiani e Greci, sono tutti sulla stessa barca, vittime di un razzismo di massa che li accusa di terrorismo, spaccio di droghe, mafia, ruberie, ecc. Oggigiorno, poi, ogni persona di pelle scura deve essere per forza un fondamentalista islamico responsabile in qualche modo degli attentati contro i cittadini russi, sebbene anche nello stesso Daghestan la grande maggioranza della popolazione si opponga agli esponenti fondamentalisti.

Nello stesso giorno della dichiarazione di Luzhkov, Viktor Ilyukhin, esponente comunista, presidente del comitato parlamentare per la sicurezza, ha detto, soffiando sul fuoco dell'odio etnico, che le autorità hanno perso il controllo e che a Mosca ormai risiedono più di un milione di caucasici. E' lo stesso che pochi mesi fa si era lasciato andare a ad affermazioni di puro antisemitismo.

Il Partito Comunista della Federazione Russa, con tutte le sue pretese di rappresentare tutte le nazionalità presenti nel paese, ha in realtà uno spaventoso primato nell'arcipelago razzista. In un buon numero di regioni esso collabora direttamente con i partiti della destra razzista; a Krasnodar, per esempio, dove il governatore comunista ha conferito i poteri di polizia per il pattugliamento delle strade alla milizia Cosacca locale, notoriamente razzista. In quella ed in altre regioni, i cittadini di pelle scura ed altri considerati stranieri vivono nella paura, e qualche gruppo di minoranza, come i Turchi Meskiti, è stato privato della residenza, dell'impiego e di altri diritti. Lo stesso leader comunista Zyuganov ha utilizzato membri del partito dell'Unità Nazionale Russa, apertamente fascista, come sue guardie del corpo, ed in una dichiarazione pubblica del dicembre scorso ha accusato gli Ebrei della crisi economica del paese.

Lo slogan "per ogni edificio esploso a Mosca, un villaggio distrutto in Cecenia" sta diventando popolare.

L'ondata d'isteria razzista arriva in un momento importante della vita politica russa. Il collasso economico di 13 mesi fa ha lasciato mezzo milione di russi senza lavoro e senza mezzi di sussistenza.

Inoltre sta per essere approvato un nuovo Codice del Lavoro draconiano che impoverirà ulteriormente quelli che tuttora lavorano. Già ci sono più lavoratori in agitazione che in qualsiasi altro momento da quando il vecchio regime è tramontato; e le elezioni si stanno avvicinando. Ed è facile vedere come un numero crescente di politici e di figure di spicco dei potentati economici del paese pensano di trarre il maggior beneficio possibile dal clima di panico e di ossessione razzista incrementato poi da una guerra feroce contro la Cecenia: una prospettiva, questa, per la quale hanno lavorato i vertici militari, le forze di sicurezza (di cui il capo del governo, Putin, è stato comandante) e le industrie degli armamenti.

In considerazione dell'enorme peso specifico che questi settori hanno sulle scelte dei politici russi, è assai probabile che gli attentati non siano stati organizzati dai fondamentalisti Islamici. Per capirci qualcosa bisogna invece chiedersi a chi giova il soffiare sul fuoco delle diversità nazionali, fino ad arrivare alla proclamazione dello stato d'emergenza.

Con i capitalisti occidentali che puntano il dito di biasimo sulla corruzione dell'oligarchia affaristica russa (per mascherare meglio le proprie responsabilità nella crisi), i capitalisti russi stanno ora cercando di stornare l'attenzione dei lavoratori con una chiamata alla guerra in Daghestan ed in Cecenia , trasformando in capro espiatorio quei lavoratori, anch'essi russi, dalla pelle troppo scura, oppure non abbastanza "russi". Dal loro punto di vista quale altro miglior sostituto alla lotta di classe?

Tra l'altro non è un caso che questi conflitti si siano scatenati nella regione confinante con il Mar Caspio, una regione di giacimenti di petrolio e di depositi di gas. E non c'è solo la Russia che vuole, con ogni mezzo, il controllo totale su quest'area riottosa ai suoi comandi. Ci sono anche gli Stati Uniti che vogliono assicurarsi il controllo del maggior numero di fonti energetiche nella zona del Caspio e dell'Asia centrale, in previsione dell'aumento del fabbisogno interno nelle prossime decadi. E poi i paesi dell'Europa occidentale, la Cina e il Giappone che stanno disperatamente cercando di ottenere il controllo di queste risorse che costituiscono una fonte di potere, non solo economico, ma soprattutto politico, consistente nel privare gli altri paesi di una simile ricchezza. Tutto questo in un contesto che vede gli stati del Medio Oriente impegnati nel contenere la produzione di petrolio per far fronte alla caduta del suo prezzo di cui hanno ultimamente sofferto.

La guerra scatenata nel Daghestan ed in Cecenia è una tragedia per le milioni di persone di tutte le nazionalità coinvolte, mentre quelli che fanno profitti sfruttando il lavoro altrui e le risorse naturali se la ridono registrando il loro successo: la dissoluzione della lotta di classe in guerra nazionalista... Lavoratori contro lavoratori.

(da un documento dell'ISWoR. Trad. M.V.)



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org