Da "Umanità Nova" n.32 del 17 ottobre 1999
Dibattito sul reddito di cittadinanza
Mito e ingegneria sociale
"L'esperienza ci dimostra che costruzioni di un avvenire indeterminato nel
tempo possono possedere grande efficacia e presentare ben pochi inconvenienti
quando sono di una determinata natura; ciò ha luogo quando si tratta di
miti nei quali si ritrovano le tendenze più forti di un popolo, di un
partito o di una classe, tendenze che si presentano alla mente con l'insistenza
di istinti in tutte le circostanze della vita e che corrispondono un aspetto di
piena realtà a speranze di azione prossima..."
Georges Sorel "Riflessioni sulla violenza"
Il nostro giornale ha pubblicato già diversi contributi sulla campagna
che alcuni settori della sinistra moderata ed estrema tentano di porre in atto
al fine d ottenere un salario di coittadinanza e cioè un reddito
consistente svincolato dalla condizione di lavoratore salariato.
Ritengo che un aspetto del dibattito in corso meriti di essere preso in
considerazione in maniera più precisa di quanto è stato sinora
possibile fare.
Mi riferisco alla tesi secondo la quale una campagna per il reddito di
cittadinanza è necessaria per superare il carattere frammmentario delle
attuali lotte per il reddito, le derive corporative e clientelari con le quali
facciamo i conti, la modestia dei risultati immediati delle mobilitazioni
quand'anche dei risultati vi siano.
Francamente ritengo un ragionamento del genere quantomeno singolare: si prende
atto delle difficoltà del movimento di classe nella sua quotidiana
pratica di resistenza allo sfruttamento e si pensa di uscire dalle
difficoltà con una, o più, proposte generali risolutive e capaci
di attrarre e, al limite, suscitare le forze che attualmente ci mancano.
Si attribuisce, insomma, ad una campagna politica e culturale un'efficacia
notevolissima non solo per quel che riguarda i risultati generali che si
propone ma anche per quel che riguarda la costruzione di un fronte di lotta su
rivendicazioni unificanti.
A questo proposito, ritengo vadano fatte alcune distinzioni:
- il fatto che una corrente politica difenda un proprio specifico programma
generale e si proponga di porlo in relazione con le lotte immediate dei
lavoratori è normale. Ad esempio, il fatto di difendere la proposta del
comunismo libertario come progetto generale che si pone in alternativa al
capitalismo ed allo stato è assolutamente ragionevole. È
altrettanto ragionevole intervenire nelle lotte immediate dei lavoratori senza
pretendere di insegnare nulla a nessuno, come lavoratori fra gli altri,
cercando di praticare un metodo libertario di decisione e proponendo contenuti
anticapitalisti ed antistatali. Basta ricordare che, se si decide di favorire
l'autorganizzazione dei lavoratori, non si può pretendere che i momenti
di lotta e di iniziativa autorganizzata si riconoscano in un programma politico
generale dato a priori, foss'anche quello comunista libertario, per la
contraddizion che nol consente;
- lo sforzo di coordinare le lotte particolari, di collocarle in una
prospettiva più ampia, di praticare forme di solidarietà concreta
caratterizza l'intervento di coloro che hanno la presunzione di ritenersi
rivoluzionari. In questa logica hanno senso alcune parole d'ordine generali,
come quella della riduzione radicale dell'orario di lavoro, anche se hanno,
oggi, un carattere più propagandistico che operativo. Si tratta di una
prospettiva che viene indicata e che, comunque, nasce da un'esigenza che i
lavoratori sentono;
- bisogna, però, guardare con un'attitudine critica all'uso di miti
sociali come sintesi di un programma rivoluzionario. Penso al caso del mito
soreliano dello sciopero generale di inizio secolo o al mito autonomo, e non
solo, del rifiuto del lavoro degli anni '70. I miti sociali possono vere un
senso ed un'operatività ma rischiano di impoverire una discussione ed
una proposta politica che, se non vuole finire in una dimensione irrazionale,
non può essere riassunta in una parola d'ordine per quanto seducente. La
triste fine dei soreliani prima e degli autonomi poi dovrebbe pure insegnarci
qualcosa:
- - ma la proposta del reddito di cittadinanza non è nemmeno
l'espressione di un mito sociale nel senso che non risponde affatto a
comportamenti concreti di settori significativi delle classi subalterne. I
disoccupati ed i precari realmente esistenti tutto richiedono tranne il reddito
di cittadinanza e si applicano, casomai, su rivendicazioni particolari con le
quali possiamo essere o meno d'accordo ma che non possiamo ignorare;
- - il fatto è che questa proposta più che un mito sociale
è un esempio di astratta ingegneria sempre sociale. In luogo di
suscitare l'azione e la passione, di dare un'identità collettiva ai
soggetti che se ne fanno portatori li riduce al ruolo di gruppo di pressione
sulle istituzioni. Se il mito sociale, con tutti i problemi segnalati, dava
identità e favoriva l'azione, l'ingegneria sociale è solo una
fuga dai problemi effettivamente esistenti, pecca di intellettualismo e di
astrattezza, è inefficace oltre che non condivisibile.
Varrebbe, quindi, forse la pena di riprendere un confronto non su quelli che
possono apparire progetti interessanti e condivisibili da parte dei nostri
stessi avversari di classe ma su quali siano i mezzi più efficaci per
uscire dai limiti attuali del movimento di classe e quali le parole d'ordine
generali che, con tutte le accortezze del caso, meritano di essere poste
innanzi.
Guido Giovannetti
|