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Da "Umanità Nova" n.34 del 31 ottobre 1999

La Voce dei Lettori

Sulla lettera di Lele e non solo...

La lettera di Lele in margine alla guerra pone il tema del comportamento in una lotta contro un problema socialmente rilevante, come la guerra, socialmente comprensibile, con metodi e strumenti condivisibili anche da chi anarchico non è eppure, come dice Stirner, percorre un pezzo di strada con noi senza prestare giuramento alla nostra bandiera.

Almeno nella provincia di Cuneo in quei 70 giorni, abbiamo avuto momenti di alta condivisione della lotta e dei momenti di stupore enorme. Condividere vuol dire trovare obiettivi comprensibili comuni, una grammatica comune di dialogo interno, azione diretta pubblica che sia comunicazione, ovvero sia leggibile anche da chi non è d'accordo, altrimenti non serve urlare. Questo passo avanti c'è stato, per altri versi la chiarezza delle differenze non fa male, anche se divide proprio da chi si pensa sia più vicino.

Nonviolenza

C'è un feeling culturale tra Anarchia e Nonviolenza. La violenza del Potere essendo logica non può convivere con il decentramento, l'autogestione, la responsabilità individuale, il rispetto dell'uomo individuo, il senso dell'uguaglianza e di compatibilità con la natura e gli altri animali, con il consumo equilibrato, la produzione biologica ed il commercio equo e solidale che la Nonviolenza propone. Su questi temi, almeno qui nel cuneese, da anni ci confrontiamo e la Fiera per l'Autogestione ha dato una seria mano.

Nell'area nonviolenta, anche nell'ultima guerra, c'è stata, e c'è, una profonda confusione tra il rispetto che si deve all'Uomo, anche al nemico fosse anche un nazista, ed il rispetto verso i ruoli e le istituzioni. Un'area nonviolenta, non tutta per fortuna, che si è costruita uno spazio didattico, una rete di cultura e finanziamento, una credibilità di enti locali, diocesi, istituti scolastici e fondazioni riconosciute, ha temuto - in quest'ultima guerra soprattutto - di rompere questo equilibrio portando a coerenti conclusioni le analisi sul comportamento dei vari poteri nello sfruttamento del terzo Mondo.

Sia nella presentazione del libro "Una guerra in casa" di Luca Rastello, sia nell'incontro con Peyretti "L'Italia è in guerra, IO NO!" si è analizzata la guerra come logico completamento dello sfruttamento economico, si è analizzato il ruolo della NATO, dei caschi blu, dell'esercito e dei governi europei come quello degli "aiuti", fino ad arrivare alle colpe dei rispettivi governi, a cominciare da casa nostra... eppure nessuna di queste analisi ha portato ad un solo documento comune di condanna, di analisi delle responsabilità del nostro Stato, del governo D'Alema e della macchina militare italiana, né contro la NATO né contro l'uso delle basi italiane e dei piloti italiani per il massacro. Men che meno un'indicazione comportamentale per il boicottaggio, la non collaborazione, la diserzione, la disobbedienza verso i comandi militari. Ed eravamo in guerra!

Pace come preparazione della prossima guerra

A fine guerra ci siamo ritrovati con enti locali diversi, amministrazioni comunali cambiate ed ora tra i nonviolenti si vive una contraddizione: il partecipare agli Uffici-Pace di Comuni di destra; parlare di Diritti dell'uomo, di pace, di uguaglianza e reciprocità mentre il proprio Comune nella prima riunione amministrativa delibera l'espulsione di "prostitute e venditori ambulanti" dal proprio territorio, colpendo nella pratica le donne di colore e i vu cumprà, secondo una logica di selezione umana.

Tutto è vissuto nella Normalità eppure è nella normalità che nascono tragedie disumane. Abbiamo visto che le autorità serbe avevano regolarmente deliberato con stesse formalità delle giunte dei Comuni italiani di centro destra o leghisti: i concorsi pubblici, le case, il diritto alla scuola o agli asili è dato ai residenti soprattutto, a chi dimostra il lavoro, perfino l'uso della lingua, l'iscrizione a scuola. Delibere che vengono emesse con Normalità ed è da questa Normalità che nell'ex Jugoslavia è nata la patria etnica, la selezione e la pulizia razziale. Su questa Normalità si intende lavorare nelle scuole e nell'animazione. Su questa pace!

Antimilitarismo

Chi rimane, anche di area nonviolenta, sa che dietro ogni arma c'è un uomo e che l'esistenza dell'arma pone il problema della macchina militare.

Ora si discute se vale l'Obiezione di Coscienza un domani che non c'è più la naja obbligatoria: Signori! La Macchina militare, la struttura di guerra continua a esistere ed è questo il problema da estirpare.

La macchina militare quale obiettivo della lotta era presente, condiviso e diffuso. Non del tutto attaccato all'esistenza stessa del potere in se, logica espressione di uno stato che per altri versi non discutiamo, ma questa è la nostra identità anarchica, specifica, una delle identità del movimento antimilitarista.

Sta di fatto che i documenti usciti hanno posto la macchina militare al centro degli obiettivi di condanna della guerra, ed è stato un dato culturale nuovo per molti compagni di strada. Quelle relazioni sono rimaste fino alla Fiera dell'Autogestione di Carrù.

Antonio Lombardo



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