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Da "Umanità Nova" n.36 del 14 novembre 1999
Disoccupazione
I dati "truccati" del Fondo Monetario Internazionale
Circa una settimana fa, la nota organizzazione criminale
che va sotto il nome di Fondo Monetario Internazionale, ha sciorinato i dati
sulla disoccupazione mondiale, accompagnandoli ovviamente con delucidazioni e
ricette sullo sviluppo di una corretta economia liberista.
La prima cosa da notare, ed è forse questa la più preoccupante,
è la modalità con cui i quotidiani, ad eccezione di rari casi,
hanno recepito la vulgata del FMI: il Verbo. Sembra, infatti, che l'economia
sia diventata negli ultimi anni non tanto una materia da dibattere in base alle
differenti posizioni politiche, sia pur supportata egregiamente da altre
"dottrine" come la matematica, la statistica, la sociologia..., ma una scienza
esatta! Naturalmente parlo solo dell'economia monetarista classica. Allo stesso
tempo, i nuovi sacerdoti internazionali o locali di questa scienza hanno
assurto il ruolo di vati del Verbo: all'esattezza, l'economia aggiunge un altro
termine ancora più preoccupante, ovvero l'oggettività. Se parla
il presidente della Banca d'Italia dice delle cose oggettive, se parla un
qualsiasi sindacalista, anche appartenente ad organizzazioni moderate -
riformiste, dice delle cose di parte. Questo cambiamento culturale, sul modo di
"sentire" comune, spiana la strada all'ineluttabilità delle scelte
economiche future, che nel mercato del lavoro stanno tutte dentro ad una
parolina magica: flessibilità. Nel nostro linguaggio, tutt'altro che
fiabesco, questo vuol dire libertà di licenziamento, contrattazione
individuale dei diritti, precarizzazione, incertezza sul futuro, aumento dei
carichi lavorativi, contenimento salariale, disponibilità ad orari
prolungati e defatiganti, sfruttamento minorile, sfruttamento indiscriminato
delle risorse naturali, impoverimento collettivo, competitività,
distruzione di reti sociali ecc.
Ma veniamo ai dati: sembra che tutto il continente europeo, al di là di
alcune eccezioni rappresentate dai Paesi Bassi (Olanda in particolare) abbia
distrutto "posti di lavoro". Lungi da noi difendere l'operato dei vari governi,
anzi, ma cosa vuol dire posti di lavoro? Si viene a scoprire, infatti, che il
Fondo Monetario Internazionale abbia utilizzato, tanto per fare riferimento
all'Italia, le fonti Istat, le quali si basano puramente sul dichiarato e per
di più in maniera assolutamente incompleta: "io sto lavorando". In
questo modo l'Italia ha distrutto in 17 anni oltre 600.000 posti di lavoro. A
mio avviso, può anche essere che i posti distrutti siano ben maggiori,
non solo e non tanto per quelli scomparsi o mai emersi, ma anche per quelli
"dichiarati" che hanno visto nel corso degli anni erodere alcune garanzie
conquistate a fatica. Sto parlando dei vari processi di esternalizzazione
produttiva, ad operai licenziati dalle proprie imprese per essere poi
"riacquistati" da cooperative di produzione e lavoro come soci, ai detentori di
partita Iva, ai collaboratori coordinati e continuativi e così via.
Quando si parla di lavoro, guarda caso, non si parla mai della qualità
del lavoro: solo con comparazioni statistiche incrociate si potrebbe desumere,
ad esempio, che tipi di lavoro sono stati creati nei magnifici Stati Uniti,
come sono pagati, quanto durano, perché ogni volta che si licenzia in
massa (vedi caso ATT) la borsa sale. Se vale il concetto "io sto lavorando",
indipendentemente che lo faccia per due giorni, due mesi, un anno e con quali
garanzie ecc. allora dovremmo avere il primato dell'occupazione tali e tanti
sono i lavoratori sommersi in Italia. Basta ridefinire il tipo di statistiche e
così accontentiamo pure il FMI.
Per fornire alcuni dati locali sulla creazione di posti di lavoro, nella
provincia di Torino, ad esempio, dal 1993 al 1998 si è passati da 90.000
lavoratori "atipici" a 153.000, così suddivisi:
da 22.000 a 42.000 contratti di lavoro a tempo determinato, da 43.000 a 64.000
contratti di lavoro part-time, da 21.000 a 35.000 contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, da 4000 a 12.000 soci di cooperative. Nella stessa
indagine, i lavoratori esprimono come preoccupazioni prioritarie della loro
condizione lavorativa l'incertezza della continuità, la ridotta
protezione sociale, la modestia dei livelli salariali e la scarsa
capacità di controllo sulla propria condizione lavorativa, sia nei
termini della contrattazione lavorativa che delle norme di sicurezza (Fonte
Alai-Cisl).
Se poi, accanto al lavoro utilizziamo altri dati che riguardano la
qualità della vita, magari ci accorgiamo che circa il 50% degli
statunitensi si copre a mala pena le spese sanitarie e ci sono svariati milioni
che non se le coprono proprio. Oppure si viene a sapere che una buona fetta
della popolazione maschile e femminile in età lavorativa degli USA
alberga comodamente nelle carceri patrie: entreranno questi signori nel computo
delle statistiche, magari come lavoratori coatti?
Se, infine, lo sguardo si volge alle politiche economiche attuate dai paesi del
sud del mondo sotto la direzione della banda criminale del fondo monetario...
non ci resta che piangere!
Pietro Stara
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