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Da "Umanità Nova" n.36 del 14 novembre 1999

Berlino 1989 - 1999
I Muri dell'Occidente

La storia, raramente, conosce l'ironia. E' facile farne sui simboli che cadono, però solo se dimentichiamo che quel maledetto muro di Berlino, che la divideva in due, è costato la vita a tanti individui che non avevano scelto, né intendevano gradire di essere incarcerati dietro e dentro. Il suo abbattimento, indolore, è un atto di liberazione qualunque sia la realtà odierna, dieci anni dopo, ben diversa da come un po' tutti la sognavano allora.

Ecco, si può fare dell'ironia sull'ingenuità di chi pensava che la sottrazione dell'Europa orientale dalle grinfie del controllo a distanza sovietico - e del controllo ravvicinato dei suoi alleati satellitari in Romania, Bulgaria, Ungheria, Cecoslovacchia e Germania Orientale appunto - avrebbe spalancato opportunità di libertà superiori a quelle esistenti o concesse ai popoli "liberi" al di qua della cortina di ferro. Tuttavia, quando implode un sistema, crollano anche quelle che sembrano oggi leggi ferree, dunque non bisogna lasciarsi inghiottire da una filosofia della storia che detta la inesorabilità di ciò che è, di fronte alla generosità disarmata di ciò che avrebbe potuto essere.

Certamente, allora e in quelle realtà in via di liberazione - nel giro di un paio di mesi caddero tutti i regimi filosovietici, con qualche confusione sanguinaria solo in Romania - l'entusiasmo impediva di accorgersi che altri muri stavano per essere costruiti: il trattato di Maastricht era in discussione e sarebbe stato approvato l'anno successivo, l'idea di Schengen nacque proprio per prevenire flussi immigratori che bucavano le frontiere statali sovvertendo equilibri nazionalistici - i tedeschi orientali, prima di recarsi direttamente nella loro patria oltre-muro, passavano attraverso l'Ungheria - e infine il nafta incombente consentiva agli USA di innalzare un proprio muro sul Rio Bravo al confine con il Messico (di lì a pochi anni).

A dieci anni di distanza, e svanite le illusioni di ogni genere - che una ventata libertaria avrebbe non solo toccato l'Europa orientale ma anche quella occidentale ne avrebbe beneficiato, che i paesi ricchi avrebbero aiutato realmente gli amici un tempo avversari, che gli scambi culturali peraltro esistenti avrebbero rafforzato le barriere all'invasione mercificante del denaro luccicante in cerca di nuove ricchezze da prelevare, di nuovi sfruttati, di nuovi consumatori - oggi ci si chiede se le cose dovevano andare così. E indubbiamente la risposta, sebbene deludente, deve essere negativa, a meno di non pensare a un qualche dio neoliberista che rema contro o a un destino crudele che, guarda caso, si schiera sempre con i vincenti.

Che la potenza non stia dalla nostra parte è palese: che però noi siamo dotati di idee, progetti, reti e capacità di mettere in campo senza esitazione e senza sorpresa allorquando le contingenze cristallizzate si sciolgono (più o meno) imprevedibilmente, ebbene questo è un ragionamento su responsabilità che sarebbe il caso di fare, non tanto per rammaricarsi del passato, quanto per attrezzarci a giocare le nostre carte quando improvvisamente si apre uno spazio in cui i margini di manovra, le resistenze, e la logica dei "giochi fatti", ancora non trionfante, si evidenziano come campo aperto di battaglia. Forse la miglior riflessione sul decennio passato che ha visto l'innalzamento di tanti muri nazionalistici ed economici da far rimpiangere l'ordine prevedibile che regnava a Berlino, sarebbe quello di lavorare in prospettiva come se un giorno qualcosa, implodendo per ragioni indipendenti dalle nostre azioni, aprisse una voragine di senso in cui allora il lavoro scuro e defatigante di tempi sicuramente non gloriosi acquistasse uno spessore progettuale o una capacità estensiva tale da fare deviare l'itinerario pretracciato e finalmente interrottosi.

Con quali contenuti e con quale prospettiva strategica spetta un po' a noi saperlo anticipare, fermo restando che la pazienza del giocatore si vede quando il mazzo sta per passare di mano e si offre l'opportunità di rovesciare tavolino e cambiare gioco, sapendo cosa altro giocare.

Salvo Vaccaro



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